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Sog. e
Sce. Claudio Chiaverotti
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Dopo il clamoroso flop di Brendon n.1 e la parziale ripresa del numero 2, non sapevo proprio cosa aspettarmi da questo albo.
Beh, il titolo, col suo deja vu nazional-popolare, non predisponeva certo al capolavoro. Ma mai giudicare un libro dalla copertina.
La storia inizia con la narrazione del momento topico che dà inizio alla "grande tenebra".
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La storia inizia con la narrazione del momento topico che dà inizio alla "grande tenebra". Un asteroide incandescente (?) si dirige minaccioso verso la Terra. L'incandescenza del corpo extraterreste è solo uno stratagemma di Chiaverotti per precludere ai poveri terrestri una soluzione alla Armageddon (in questo film degli astronauti minano l'asteroide atterandovici sopra). Che poi ne esistano davvero, di pietroni incandescenti che vanno in giro per millenni nei -273°C dello spazio, è un'altra storia. Non resta altro che usare le tanto vituperate armi atomiche per salvarlo, questa volta, il mondo. Ma i missili, complice il rito satanico degli adepti della Luna Nera (forse) e l'ignoranza dell'asteroide delle leggi di Newton (più probabilmente), riescono solo a frantumare il dardo del male che continua imperterrito la sua corsa distruttiva verso il povero pianeta indifeso.
Dopo aver fatto conoscenza degli antefatti dell'universo brendoniano, eccoci alle prese con la storia vera e propria che si sviluppa parallelamente su due piani temporali diversi. Facciamo la conoscenza di mamma D'Arkness (della quale già alla prima occhiata s'intuisce la tragica fine) e del maestro d'armi di Brendon, Boris. Così, tra amori adolescenziali, stermini familiari e conseguenti vendette, arriviamo con discreto ritmo a pag.84.
E tutta la storia, che pur navigando tra gli stereotipi fino a questo punto aveva retto, naufraga miseramente tra flutti di implausibilità.
L'orlo del baratro lo si intravede con il solito dialogo in cui il cattivo [...] educe il nostro sulle parti oscure della vicenda.
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L'orlo del baratro lo si intravede con il solito dialogo in cui il cattivo (donna, questa volta) educe il nostro sulle parti oscure della vicenda. Scopriamo finalmente il perché del valore inestimabile del coltello centro della storia: è
in realtà una chiave che apre una delle capsule temporali costruite dai
Terrestri prima della catastrofe. Ancora non ci eravamo ripresi dalla maschera veneziana del n.1 (applicata da un'equipe medica del 1998 con un singolare gusto retrò) che ecco vediamo spuntare questa praticissima chiave degli anni Duemila.
Ma il minimo lo si raggiunge con la "mutazione matematica" artefice dell'errore di mira dei missili. Anche sorvolando (ma come?) sul fatto che un programma che fa sì calcoli complessi, ma regolati da leggi acclarate quali quelle della cosmologia, "impazzisca" generando un cancro, non si può mandar giù che la procedura di controllo con cui viene scoperto il virus non sia stata mandata in esecuzione svariate volte prima di allora (il tecnico impiega pochi secondi a capire perfettamente la situazione). A condire il tutto, i dialoghi davvero artificiali e irrealistici che si svolgono nel quartier generale. Al confronto il rocambolesco scontro finale pare opera di Verga (vedi scheda della storia).
Se siamo giunti fin lì nella lettura, non potremo certo lamentarci degli incredibili errori di mira, delle evoluzioni da trapezisti o delle pugnalate intelligenti (che non recidono alcunchè pur essendo state inferte in piena mano da coltellaccio stile alabarda). E ci meriteremo anche la didascalia finale con cui l'autore copre con l'ultima palata di terra la propria opera. Sì, perché l'estremo stratagemma a cui Chiaverotti ricorre per stupirci è lo svelarci che "... non è finita affatto. Ritroveremo Margareth, Boris e Skarr, l'assassino, in una storia di prossima pubblicazione.". Tutti personaggi che a rigor di logica dovrebbero essere defunti. E' stata pensata, questa didascalia, per tenere incatenati i lettori alla continuity di Brendon? Anche se fosse, per molti probabilmente sortirà l'effetto opposto.
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