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Se Philip K. Dick scrive Dylan Dog. . . recensione di Paolo Ottolina Gli dei dell'Olimpo erano irascibili e molto volubili. Gli dei zoroastriani sono assai più caparbi: se le danno di santa ragione per l'eternità. A meno che un certo indagatore non arrivi sul ring e gridi: "Break! Separatavi! Separatevi! Ai vostri angoli!"
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E' peggio il blocco dello scrittore per uno scrittore o il gomito del tennista per un tennista? D'accordo, la domanda è oziosa, ma il blocco dello scrittore è una gran brutta bestia per un creativo della penna. Il foglio rimane impietosamente bianco, le idee latitano oppure si affollano senza fissarsi sulla carta; peggio ancora se uno usa il dannato pc, con quel cursore lampeggiante che sembra sfotterti mentre le dita riposano inerti sulla tastiera. Giuseppe De Nardo è uno sceneggiatore in gamba, almeno per quanto ci aveva mostrato col suo "Billiband", uno dei migliori prodotti italiani visti in edicola nei '90. Come tutte le cose belle, non è durato a lungo. De Nardo ha fatto fagotto ed è approdato sotto le materne ali di Sergio Bonelli. Immaginiamo che De Nardo sognasse, per il suo debutto, di scrivere una storia bella e convincente. Ma una bella storia è come una dama ritrosa, a volte si concede e più spesso si nega. Messo alle strette, De Nardo ha alzato gli occhi dal foglio sconsolatamente intonso (o dal monitor col dannato cursore lampeggiante) e -ecco la salvezza!- su una mensola ha scorto un libro che tanto gli era piaciuto. Scacciati i sensi di colpa, memore della tesi "tutto è già stato scritto", De Nardo si è lanciato in un mero adattamento di quel testo, che per la cronaca è il breve romanzo di Philip K. Dick "La città sostituita" ("A glass of darkness", in originale).
Se vi interessa approfondire la questione: "La città perduta" vs "La città sostituita" Tutte le analogie (troppe) e tutte le differenze (poche) tra questo DD e il libro di P.K. Dick. Andando a memoria, è difficile trovare, in tempi recenti, un fumetto Bonellli in cui il lavoro creativo sui testi sia stato ridotto quasi essenzialmente ai dialoghi, limitandosi a rimodellare un vicenda altrui il minimo indispensabile. Certo in altri tempi, Nolitta approffittava di Hollywood per i suoi Zagor (vedi "La preda umana", ZG 29, alias "La pericolosa partita"). Ma erano, per l'appunto, altri tempi. Sul versante sceneggiatura, per altro, De Nardo fa anche un discreto lavoro. I personaggi hanno dialoghi ficcanti ed efficaci, la tensione nelle scene d'azione è ben costruita, i tempi si contraggono quando devono contrarsi e si dilatano nei momenti chiave, la scelta delle inquadrature è azzeccata. Da notare anche alcune finezze in chiave di layout, come le due vignette simmetriche di pag.42 e 43. Purtroppo, questo non basta a riscattarsi dallo scippo a Dick...
Per Bigliardo debutto su un albo regolare, dopo i due lavori visti sul Gigante n.5 e sul Gigante n.6. Curiosamente, a una storia poco "personale", si affianca un disegnatore bravo, ma dalla personalità ancora carente. La scuola è quella "Salernitana", e si vede tutta: nella caratterizzazione dei volti, nell'uso di un segno deciso e appuntito, nel triangolino che sottolinea gli zigomi sui visi. In certe vignette, sembra quasi di vedere Bruno Brindisi. Detto ciò, la parte grafica di quest'albo è meritevole di lode. Bene tutti i fondamentali, le anatomie sono precise, i volti espressivi quanto bastano, le inquadrature non banali ma molto leggibili. Note di merito per le tavole del ritorno della vecchia Bothridge (pag.90-91) e per i golem, il cui "effetto creta" è quasi palpabile. Perché parliamo di crollo del fair-play a proposito di quest'albo? Non solo perché è la più macroscopica citazione letta di recente su un albo bonelliano, ma soprattutto perché non una riga è stata spesa in proposito nell'Horror Post. Si parla degli autori, della cura per l'architettura di Bothridge (è vero), ma non una riga per dire "Care amebe, la storia è decisamente ispirata a un opera di Philip Dick, etc. etc.".
Non che questo avrebbe cambiato lo stato delle cose, adattamento è e adattamento sarebbe restato, ma almeno si sarebbe mostrata una certa correttezza nei confronti dei lettori. Invece si è spacciata per propria un'opera che è lo è solo a metà. La Mondadori (o la casa proprietaria dei diritti del romanzo) potrebbe quasi far causa per "adattamento non autorizzato". E il fatto che De Nardo fosse esordiente non è certo una scusante, anzi semmai un'aggravante...
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