

Dylan Dog almanacco Paura 2006 "Vivaio, Il"
Scheda IT-DD-al06
- Vivaio, Il
valutazione 42%
La trama, è vero, è elementare e la sceneggiatura è un colabrodo in più punti.
A puro titolo di esempio, viene da chiedersi perché "Io" non sia piantonata in forze all'ospedale e il primo tipo che passa abbia la possibilità di rapirla (certo, serve a farla salvare da Dylan, ma appunto...); viene da chiedersi perché la grande struttura del Villain di turno che accoglie il Vivaio abbia un paio di pellegrini di guardia all'entrata e nulla più (e vabbe', a quel punto della storia bisognava risolvere senza perdere troppo tempo, però...).
La trama è elementare e la sceneggiatura è un colabrodo in più puntiE che dire dell'abusatissimo cliché narrativo in ossequio al quale lo psicopatico del caso è come sempre ingegnosissimo nel trovare ogni possibile (e strampalata) scusa per ritardare l'uccisione della bella in pericolo? (certo, la tensione, il thrilling, ma insomma...). Più brillanti o quanto meno sufficientemente incisivi i dialoghi, benché spicchi la fastidiosa "spiegazione di servizio" tra Bloch e Dylan al loro apparire, nell'ospedale dove è ricoverata "Io", che debbono farci sapere per filo e per segno il perché e il percome del loro essere insieme lì.
Non finiscono qui le debolezze della storia, e va citato un mad doctor che più che mad è proprio stupido all'apparenza, o che forse più che mad doctor è la quintessenza della stupidità dell'adepto. Si tratta in ogni caso di un personaggio puramente strumentale, e la sua superficialità è in fondo un difetto veniale.
Una storia di routine, quindi.
Un Dylan malinconico e fragile, a tratti poetico; che sorprendiamo spaesato e inadeguato alla vita: il Dylan malato di romanticismo
Eppure. Eppure ci sono elementi che la rendono apprezzabile. Un Dylan malinconico e fragile, a tratti poetico; che sorprendiamo spaesato e inadeguato alla vita: il Dylan malato di romanticismo. Un Groucho che mostra il suo lato umano con una leggerezza sorprendente, mutando la sua anima lunare in mestizia crepuscolare. E poi "Io"; tratteggiata con dolcezza e amore come una bambina sperduta, poi trasformata dall'erompere della violenza e infine ricondotta a una prosaica concretezza. Quasi un percorso di crescita completo, impreziosito dalla chiusa finale, dove una "Io" adulta calpesta Dylan con distacco. Ma aspetto interessante della storia è anche quello che a prima vista appare un suo difetto (e probabilmente lo è davvero). Nel presentare una visione dell'Inferno incoerente con quella consolidata nella tradizione dylaniana, Ruju presenta un "altrove" narrativo riconducibile ai primi almanacchi della storia bonelliana, quelli di Martin Mystère, dove un Alfredo Castelli ancora libero di sperimentare non si peritava di presentare la fine del mondo o della civiltà senza che Martin potesse salvarlo (Almanacco 1992 e Almanacco 1989), o le vicissitudini folli del più improbabile dei palazzinari in un'orgia di comicità pura (Almanacco Mistero 1990); poi vennero i tempi della normalizzazione, e gli albi a vario titolo speciali, di speciale non ebbero più che il titolo. Questo almanacco dylaniano, nel presentare un probabile, o forse soltanto possibile (se non esistente solo nell'immaginazione di chi scrive), universo narrativo alternativo è un piccolissimo bagliore di "specialità" nell'era dell'uniformazione.
Un Freghieri in discreta forma appare il migliore interprete dei passaggi più malinconici della storia, in particolare la fuga sotto la pioggia di "Io" e del suo compagno, la tristezza di Dylan, il volto ora spaesato ora mesto di "Io", che l'artista sa ritrarre da par suo, con studiato glamour, nei primi piani. "Il vivaio", Dylan Dog Almanacco Paura 2006, Sergio Bonelli Editore, 176 pag. b/n, brossurato, in edicola dal 23 marzo 2006, €5,4
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