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di Giovanni Gentili L'uscita anche in Italia del primo volume di Oltremare, saga fantasy di Beretta e Alessandrini è la piacevole occasione per cercare di conoscere meglio lo sceneggiatore... Cerchiamo di inquadrare Vincenzo Beretta, autore in "bilico" tra Fumetti e Videogiochi. Quale delle due attività ti impegna di più attualmente? Dedico più o meno metà del mio tempo ai videogiochi e metà al fumetto. Per i videogiochi faccio recensioni, speciali, reportage da fiere e qualche volta (la parte che mi piace di più!) l'inviato all'estero. Inoltre a volte ci sono interessanti sovrapposizioni, come quando preparai uno speciale sull'Intelligenza Artificiale e le ricerche che svolsi all'epoca si rivelarono così interessanti che probabilmente le utilizzerò come ispirazione per una delle prossime storie. Se c'è una differenza tra i due lavori, è che quello di giornalista è più regolare: seguo l'oggetto dell'articolo (magari un gioco o una fiera) e poi scrivo, risistemo il pezzo, e l'articolo è pronto. Quello di fumettista è più frammentario: molti tra coloro che si immaginano lo scrittore come un tipo che sta tutto il giorno seduto a macinare parole (un po' come il vampiro a suonare musica gotica sull'organone a canne del castello) si stupirebbero nello scoprire quanto è poco il tempo in cui materialmente "scrivo": la maggior parte del lavoro nel fumetto è formato da letture, visioni di film, raccolta di documentazione, conversazioni con i colleghi, viaggi, e lunghe passeggiate intorno al tavolo o per il quartiere a "provare" mentalmente una scena o una parte del racconto - finché ritmo, contenuti e struttura non iniziano a funzionare. A quel punto scrivere diventa davvero veloce, anche se poi c'è una seconda parte di revisione in cui il testo si sfoltisce, si armonizza e, dopo una lettura esterna, si chiarisce nelle parti più ambigue. In percentuale, credo che lo scrivere "puro" sia, per me, circa il 10% del tempo che dedico al fumetto.
Beretta in compagnia del Martin del ventennale foto DJF (c)2001 uBC Pagato per "scrivere giornaletti e giocare con i videogame", cosa volevi fare (o vuoi fare) da grande? Che si potesse vivere professionalmente lavorando in questi settori lo sapevo fin da bambino, visto che già allora c'erano persone che lo facevano! Ma sono tra i tanti che non avrebbero mai pensato un giorno di fare davvero questo. E' un hobby che si è pian piano evoluto fino a diventare il mio lavoro, quasi senza che me ne accorgessi. Fortunatamente i miei non si sono mai opposti in alcun modo - anzi! Mio padre è uno dei miei maggiori fan, probabilmente perché essendo lui ingegnere e mia madre bancaria sentivano la mancanza in famiglia di un po' di spirito artistico. A dire il vero sono più io che li prendo in giro, raccontando che quando i loro amici parlano di figli che hanno due lauree, hanno fatto un master negli Stati Uniti e ora sono nel consiglio di amministrazione di una grande società, i miei spiegano che io invece mi occupo presso "alcuni grandi editori" di "formalizzazione visivo-testuale di prodotti creativi orientati al mercato teen-ager". Spesso basta solo trovare il modo giusto per dirlo :-) La tipica frase di Castelli su di te è "Beretta ma quando ti decidi a scrivere di più"? Deciderai mai di fare l'autore di fumetti a tempo pieno? Da un certo punto di vista faccio già l'autore di fumetti a tempo pieno, nel senso che penso in continuazione alle storie a cui scrivo e raccolgo stimoli ovunque e in ogni momento: non solo al computer o leggendo un libro, ma da una serata di festa sulla spiaggia, da un viaggio in una città che non avevo mai visitato, o magari, da un'immagine su un cartellone che mi colpisce mentre sto guidando. La "maledizione del creativo", almeno per me, è che si tratta di un'attività della mente indipendente e attiva 24 ore su 24 (potrei però aggiungere che più è bella o intensa l'esperienza da cui nasce un'idea, più saremo stimolati a riportarne la freschezza sulla pagina scritta). Per quanto riguarda la produzione, però, è vero che scrivo poco. D'altro canto, scrivo tanto quanto mi sostiene la mia creatività (ovvero tanto quanto la mia creatività mi dà idee che mi emozionano e mi paiono interessanti). Un tempo scrivevo di più, ma i ritmi del seguire tante storie non sempre mi lasciavano soddisfatto di quanto avevo fatto. A volte bastavano due o tre giorni in più perché venisse un'idea davvero buona per una scena che in sé non mi era piaciuta, o per migliorare un finale in modo significativo, ma a quel punto vi erano ormai altre cose che richiedevano tempo e attenzione, e l'occasione andava persa. In questo senso devo dire che è vero che i tempi del mercato francese mi sono più congeniali, anche se poi però rimpiango la libertà e la ricchezza di contenuti (mi riferisco ovviamente al testo) che permette il fumetto italiano. In un albo bonelliano posso magari aggiungere una scena per caratterizzare un personaggio, umanizzarne altri due con un battibecco, ribaltare per due volte il finale mantenendo sempre chiara la sequenza degli eventi ecc... Alla fin fine, insomma, non si può sempre vincere! :-) Ma hai mai pensato di "scendere in campo" e buttarti solo sui fumetti? No, anche se in alcuni momenti ci ho lavorato più che in altri. Per il momento preferisco continuare ad avere un lavoro alle spalle che mi lasci libero e sereno di seguire i ritmi della mia creatività. Inoltre così ho potuto fare esperienza anche in altri aspetti del lavoro editoriale, come l'organizzazione redazionale (che in verità è stato il mio primo lavoro), e questo, nel momento in cui si arriva alla realizzazione pratica, aiuta molto a essere indipendenti anche nel lavoro creativo. E' sempre un peccato perdere l'occasione di fare una buona modifica a un'albo perché qualcuno da cui dipendiamo non ha il tempo o la voglia per farlo.
Beretta, Vietti e Alessandrini a Lucca Comics 2002 foto DJF (c)2002 uBC Non ti senti un po' l'eterna giovane promessa del fumetto bonelliano? :-) Se con "mantenere la promessa" intendi diventare un giorno un autore regolare, riconosciuto, e con magari una propria testata, allora mi difenderò dicendo che non ho mai promesso nulla di questo tipo! Ma credo che l'equivoco di fondo dipenda dal fatto che nel nostro ambiente si dà per scontato che se un autore inizia a pubblicare regolarmente allora prima o poi farà solo quello. Per me non è mai stato così, e, anzi molte delle idee che mi vengono (e della possibilità di esprimerle nel modo migliore) probabilmente derivano proprio dal fatto che non ho la testa solo nel fumetto. Una cosa su cui però ogni tanto fingo mugugni, come i miei colleghi potranno confermare, è che mi sono accorto di non avere mai avuto un'"adolescenza fumettistica". Quando cominciai a pubblicare ero uno dei tanti alle prime armi (le mie prime storie, poi, erano abbonate alla singola palla di giudizio), e quando, anni dopo, iniziarono a riapparire articoli sui "nuovi e interessanti autori della nuova generazione", io ormai nuovo non lo ero più, ma bensì tra i "vecchi suflaroni ormai dati per scontati - largo invece a questi giovani sorprendenti che sanno fare queste cose notevoli!" Insomma, alla fin fine per qualche ragione non ho mai esordito! (E sono costantemente incazzato per non essere mai stato considerato neppure una volta per uno di quei premi tipo "I giovani più interessanti!"...) D'altro canto è da esperienze come questa che poi nascono storie come "Carmilla" (JS 36), e quindi alla fin fine a tutto si riesce a dare un valore positivo! ;-) Una risposta secca: Fumetti o videogiochi cosa scegli? Entrambi! In questo sono poligamo! :-O Parliamo degli inizi: è vero che la prima volta che sei andato da Castelli avevi i pantaloni corti? Se non ricordo male avevo i blue-jeans, e Castelli aveva un panciotto rosso. Era il 1992, ma in realtà la mia prima prova con la Bonelli era stata nel 1990, per Dylan Dog. Avevo già scritto per hobby un mucchio di racconti avventurosi, ma non avevo mai scritto sceneggiature, e per vedere come si faceva avevo dovuto fare riferimento ai frammenti di sceneggiatura pubblicati in alcune vignette de "Gli Orrori di Altroquando" (DD speciale 2). Non era andata bene (tra l'altro mi avevano chiesto di aspettare in sala d'attesa e si erano dimenticati di me, così per poco non ero rimasto chiuso al 38 di Via Buonarroti con gli uffici deserti!), ma Tiziano Sclavi mi aveva risposto con una lettera di quattro pagine in cui mi spiegava per filo e per segno dove avevo sbagliato, e perché. Avevo già un altro lavoro, così per i due anni successivi mi ero dedicato a altro. Intanto però continuavo a scrivere racconti, e avevo iniziato a viaggiare e a avere molti interessi; finchè un giorno, a New York, davanti al numero 3 di Washington Mews (ove ero andato in religioso pellegrinaggio come tutti i fan di MM), mi apparve lo spirito del BVZM in persona. Ricordo ancora questa figura spettrale circondata da luce, fulmini e angeli, con un vasto mentone, gli occhi chiusi, e alta tre metri (realisticamente, però, credo che i metri fossero soltanto un paio, mentre secondo alcuni poteva anche trattarsi solo di un colpo di sole). In ogni caso l'esperienza mistica mi convinse a fare una prova per Martin. Avevo pensato proprio in viaggio a un racconto "mysterioso" ispirato alle atmosfere avventurose di R.E. Howard, così lo adattai per il BVZM e portai a Alfredo insieme alle prime venti pagine di sceneggiatura (dove ovviamente avevo fatto tesoro dei consigli di Sclavi). La cosa divertente fu che Alfredo mi avvertì subito che per la risposta ci sarebbero voluti molti mesi, e infatti essa arrivò oltre sei mesi dopo - nei panni di una gentile segretaria che mi informò che "il disegnatore aveva finito e aveva bisogno di pagine". Fu in quel modo che seppi la la sceneggiatura era stata presa: praticamente ancora non avevo saputo di essere stato accettato che già ero in ritardo e con il disegnatore fermo! [Inserire a questo punto una battuta qualsiasi di Castelli :-) ] A quel punto Alfredo mi invitò a pranzo, e mi portò le pagine con tutte le note e correzioni che vi aveva fatto prima di approvarla - così da mostrarmi come "limare" le incertezze che ancora c'erano nel testo scritto (quelle prime pagine con i suoi appunti a pennarello rosso le conservo a tutt'oggi). La storia, poi, sarebbe diventata "La Maledizione del Sahara", il Mysterone n.4 disegnato da Sicomoro e pubblicato nel 1998.
A parte la barba, in che cosa assomigli di più ad Alfredo e in cosa sei più diverso? La cosa in cui gli assomiglio di più è senz'altro l'interessarsi a tutto e in ogni forma. Forse lui ha più interesse di me per i quartetti jazz composti da rane impagliate, mentre io ho più curiosità per i veicoli minori dell'Asse nella Campagna di Russia, ma più o meno ci siamo. La cosa in cui sono più diverso è che lui scrive MOOOOOLTO più di me, ed ha un talento quasi magico per trovare in pochi secondi l'idea buona o la gag capaci di dare valore a una scena anche quando le esigenze redazionali richiedono di correre a perdifiato - talento per cui lo invidio tantissimo! Tu hai scritto per Nathan Never, Martin Mystère, Zona X, Jonathan Steele. Che cosa ti ha lasciato professionalmente ognuna di queste esperienze? Probabilmente la più importante è il dover abbandonare la propria "idea" di fumetto, e il cercare di interpretare invece le caratteristiche della serie per cui si scrive: la filosofia, i temi portati dai suoi personaggi, il ritmo stesso dei dialoghi e delle scene proprio di quella testata e così via. Personalmente ritengo che affrontare un personaggio non nostro e "restituirlo" con fedeltà - il tutto mantenendo la novità e la freschezza nel racconto specifico - sia uno degli esercizi più gratificanti e stimolanti che uno sceneggiatore possa affrontare. Non solo aiuta a sviluppare un po' di disciplina (che perfino nel fumetto non fa mai male), ma permette anche di esplorare altri modi di scrivere e altre filosofie di narrazione - un'esperienza che tornerà utile quando scriveremo le "nostre cose", perché probabilmente ci avrà dato una conoscenza più vasta di stili, mezzi espressivi e visioni del mondo rispetto a quella che avremmo potuto sviluppare da soli. E con le persone in redazione? Con Federico Memola e sua moglie, Teresa Marzia, siamo amici e ci vediamo spesso fuori dal lavoro, per andare al cinema o passare una serata insieme. Parliamo di tutto, ma, curiosamente, poco di fumetti - forse perché anche per lui come per me il fumetto è in realtà il punto di arrivo di una vasta serie di interessi, ed è di questi ultimi che ci piace chiacchierare (soprattutto il cinema e l'animazione in tutte le loro forme). Antonio Serra lo vedo pochissimo, anche perché per Nathan non ho mai scritto molto (uno dei miei più grandi rimpianti, devo dire). Posso però confermare due "leggende": ha una collezione di giocattoli veramente sterminata, e tutte e due le volte che mi ha raccontato la trama di una storia che dovevo sviluppare me l'ha anche recitata e visualizzata interpretando tutte le parti (una cosa che mi dicono fa anche Jodorowsky)! Pochi lo sanno, ma Antonio ha un incredibile talento come cabarettista, e sono convinto che se lo volesse potrebbe darsi anche a questa attività: ricordo ancora di quando in ufficio raccontò a suo modo uno dei vari "Godzilla contro Mothra", interpretando anche lì tutte le parti (ragazzine giapponesi che cantavano in coro incluse). Ancora a tutt'oggi dopo quella volta non riesco più a vedere Godzilla e restare serio! Anche con Recagno in realtà mi vedo molto poco, ma con lui tendo a parlare molto di più delle nostre storie e della continuity di Martin Mystere. In realtà devo dire che moltissime idee per MM nascono non in redazione, ma al ristorante, e questo avviene anche con Alfredo. Volendo citare Jung, forse ciò avviene per l'influenza della cucina, moderna incarnazione della trasformazione alchemica, a sua volta simbolo della creatività. O forse è perché facciamo fuori una bottiglia a pasto :-) Quante storie di Martin Mystère hai in ballo al momento? Al momento ne ho in ballo tre: una storia singola per la serie regolare ambientata tra i boschi del New England e ispirata un po' a "Blair Witch Project", un po' ai serial killer e un po' a alcune filosofie animistiche dei nativi americani; una storia doppia per Alessandrini che non è altro che il più volte annunciato cross-over con "Magic Patrol" e che sarà quasi totalmente alla Tom Clancy (Alessandrini è appassionatissimo di tecnologie militari moderne, e ci saranno portaerei, MiG-29, e, ovviamente, mysteri esoterici russi); e il Gigante del prossimo anno, insieme a Vietti, che sarà disegnato da Devescovi e che sarà un classicissimo mysterone con arte, storia, archeologia e avventure in luoghi esotici (tra i quali Padova!) Io ho fatto la parte di ricerca storica e esoterica, mentre Vietti si è occupato di quella più d'azione e avventura. Il tuo impegno con Martin aumenta o cala? Purtroppo negli ultimi tempi è calato, perché ho lavorato anche per la Francia e, parallelamente, per un anno e mezzo ho collaborato come interno con Kataweb sia online che su carta (esperienza molto formativa, devo dire, che sono felice di avere fatto). Se devo essere sincero, vorrei che le giornate fossero di 36 ore così da poter fare qualcosa di più per MM e il suo mondo, visto che le idee non mancano mai. Come e quando nasce il progetto Outremer (in italiano Oltremare)? E' stata una delle cose più casuali e divertenti che mi siano successe da quando scrivo fumetti. Io e Alessandrini stavamo finendo "Il Segreto del Re degli Elfi", per Zona X n.32, e io ero sempre più stupito dalla bellezza delle tavole che Giancarlo stava disegnando. Così, visto che si iniziava a parlare della chiusura di Zona X, e di possibili alternative alla testata, portai in Bonelli una proposta per una serie di speciali annuali da affiancare a MM, sul modello di Agenzia Alfa, e dedicati a Magic Patrol e alla moderna Altrove. Un giorno, mentre attendevamo la risposta dalla Bonelli, mi chiamò Alessandrini e mi disse che Elisabeth Haroche e Herve Desinge dell'Albin-Michel avrebbero voluto incontrarlo. Giancarlo, che non sa parlare bene nè in inglese nè in francese, mi chiese se potevo seguirlo come "interprete", e così andai anch'io all'incontro, proprio in questo ruolo ("Here is Alessandrini... and here is the translator!"). Immagina quindi la mia sorpresa quando Elisabeth e Herve tirarono fuori una copia proprio di Zona X n.32 e ci chiesero una serie cartonata per l'Albin con quel tipo di ambientazione e quello stile! Noi eravamo però già in parola con la Bonelli, così aspettammo prima la risposta della nostra casa editrice. Tra l'altro ricordo che fu proprio Decio Canzio, il nostro Direttore Editoriale, a osservare, mentre discutevamo dell'idea, che le tavole di Giancarlo erano così belle che avrebbero senz'altro meritato il colore. Alla fine riguardo allo speciale su Magic Patrol venne deciso per il no, così accettammo l'offerta dell'Albin. Devo dire che a me incuriosiva l'idea di sperimentare nel nostro paese un fumetto cartonato classico franco-belga realizzato da autori italiani e pensato anche per noi italiani (che è, tra l'altro, una tra le richieste che più spesso si sentono provenire anche dai lettori), così chiesi all'editore francese se avremmo potuto avere i diritti per l'Italia, in modo da poter sia adattare liberamente il lavoro al gusto del nostro paese (grafica, copertina, "gadget" in più come la mappa...), sia per poterlo distribuire qui da noi nel modo più conveniente possibile. L'Albin è stata così gentile da concederceli, abbiamo pubblicato da poco presso Alessandro Editore, e ora siamo in attesa dei risultati di questo esperimento! Qual'è il programma dei prossimi volumi (in Francia ed in Italia)? Se tutto va bene, maggio 2003 per il secondo e dicembre 2003 per il terzo, sia in Francia che in Italia (vedere anche l'anteprima di Oltremare n.2). Personalmente mi piacerebbe fare uno sforzo per finire il terzo in tempo per Lucca 2003 (ovvero inizio novembre), ma non prometto nulla perché dipende anche dagli impegni di Giancarlo. Il tuo rapporto con Giancarlo Alessandrini? Beh, io e Alessandrini ci siamo conosciuti non come "fumettisti" ma come appassionati di videogiochi - e questo la dice lunga! Lo intervistai nei primi anni '90 per la rivista di videogiochi per cui scrivevo allora, e poi iniziammo a telefonarci regolarmente per scambiarci impressioni e novità. L'occasione di fare una storia insieme venne quasi per caso: aveva finito il suo impegno per Indiana Jones, e Castelli ce lo concesse per aiutarci a lanciare Zona X. Io avevo visto quella sua bellissima illustrazione in cui Martin Mystere scende per le scale di un'antica rovina e trova un lago sotterraneo con un ibis, e mi ripromisi che, a prescindere dalla trama, gli avrei preparato una storia in cui avrebbe potuto disegnare "quelle cose" - e ancora le disegna! Sul piano lavorativo, invece, siamo "scioltissimi" - anzi, io talvolta ne approfitto fin troppo. Mando spezzoni di sceneggiatura, singole vignette, dialoghi frammentati, e lui trova sempre il modo di trasformare tutto in pagine ricchissime e ordinate. Non so proprio come faccia! Inoltre sa sempre trovare sfumature, espressioni e pennellate emotive per i personaggi, alle quali magari non avevo neppure pensato. Per fare un esempio, ne "Il Segreto del Re degli Elfi" il Re era un personaggio molto opaco - finchè Giancarlo non lo caratterizzò graficamente come questo terribile nobilitto vagamente romano di cui tutti temono la furia. A quel punto riscrissi completamente i suoi dialoghi, e il risultato è stato quel personaggio molto riuscito che si può vedere nel fumetto finito - nonchè una delle scene più divertenti dell'avventura! Antonietta stessa deve in verità molte delle sfumature del suo carattere - che poi rimasero - alle espressioni del viso e alle stesse posizioni del corpo con cui Giancarlo la rappresentò ne "Il Risveglio dei Draghi" (ZX 13a). Che fine ha fatto il progetto ispirato a "The long tomorrow"? Il progetto era un'idea mia e di Alessandrini per una storia lunga da pubblicare su Zona X dopo "Il Segreto del Re degli Elfi". Sarebbe stata una fantascienza un po' "retrò", a metà tra il futuro e gli anni '50, per intenderci. La testata, però, chiuse prima che potessimo presentare qualcosa di concreto, così io e Giancarlo iniziammo a parlare di come avremmo potuto sviluppare la storia per un progetto indipendente (tutti e due eravamo, e siamo, affezionatissimi a Antonietta, e ci sarebbe spiaciuto perderla, così utilizzare "la stessa attrice" in un contesto cyberpunk ci avrebbe consolato della fine di Magic Patrol).
Quando l'Albin ci contattò, noi presentammo sia il progetto che sarebbe diventato Oltremare sia questo (realizzando uno schizzo a colori del personaggio e una sorta di "poster" che ne mostrava il mondo, insieme a due righe di presentazione). L'editore francese disse che entrambi gli parevano validi e che potevamo scegliere quale sviluppare. A quel punto pensai anche al mercato del nostro paese, dove che c'era una grossa richiesta per una serie fantasy classica in stile bonelliano, e optai per Oltremare. La nostra Antonietta bladerunnerrina però è sempre lì, la trama è pronta, e non si sa mai che in futuro... Stai elaborando altri progetti? Sì. L'Albin mi ha chiesto di sviluppare per loro un nuovo progetto (che non sarà con Alessandrini), e sto iniziando a lavorarci proprio in questi giorni parallelamente al finale di Oltremare. Prometto che non appena ci sarà qualcosa di ufficiale sarete i primi a saperlo! Qual'è il personaggio che hai creato, anche minore, a cui sei più affezionato? Sicuramente Antonietta, di Magic Patrol, e poi Carmilla di Jonathan Steele per l'omonima storia. Antonietta rappresenta una curiosa unione di logica e trasgressione: sa vedere chiaramente sia le reali origini di un problema che la sua soluzione (o pensa di saperlo fare) e a quel punto qualunque cosa si frapponga tra lei e quest'ultima diventano "irritanti menate". Ciò ovviamente conduce a parecchie nevrosi, personali e collettive, e a parecchie violazioni dell'ordine costituito; eppure a volte sento che un pizzico di questa sua personalità è quello che manca a tante situazioni stagnanti in cui la virtù del quieto vivere inizia a diventare vizio. Carmilla invece è fuorissima, e in realtà mi fa una gran pena. Ogni tanto penso a quel momento di JS 36 quando cerca di uccidere Jonathan con la bomba: come una vera eroina aveva contemplato il terribile momento in cui tutto sembrava perduto, aveva saputo reagire tirandosi fuori con le unghie e coi denti dalla depressione, riesce a elaborare in extremis un ultimo geniale piano - e la bomba non scoppia. Perchè, purtroppo, la verità era che l'eroina della storia non era lei. Dietro la patina umoristica credo che vi sia stata una delle scene più tristi che abbia mai scritto... E la tua storia a cui sei più affezionato? Questa risposta è più difficile, perché le storie di cui sono più contento hanno TUTTE la stessa caratteristica: hanno richiesto invariabilmente LACRIME, SUDORE E SANGUE. Comunque, la storia a cui sono più sono affezionato, probabilmente è proprio "Carmilla", per Jonathan Steele. La storia che penso mi sia venuta meglio, però credo che sia a tutt'oggi "Il Risveglio dei Draghi" (su Zona n.13) - uno di quegli strani eventi in cui i personaggi prendono vita sulla pagina senza che neppure ce ne accorgiamo. Infine, anche il secondo incontro tra Nathan Never e Martin Mystere (NNMM 2 "Il segreto di Altrove") mi è rimasto particolarmente nel cuore: non solo amo moltissimo entrambi i personaggi, ma penso che sia stata la storia in cui, soprattutto nella seconda parte, sia riuscito a imprimere per la prima volta un ritmo davvero cinematografico allo svolgersi dell'azione. Inoltre è stata sicuramente la storia in cui più ho incarnato il mio amore per i giochi di ruolo. Che cosa colpisce ed emoziona di più l'autore Beretta nello scrivere storie a fumetti? Sicuramente la "vita" che dopo un po' prendono i personaggi più riusciti. Iniziano a agire indipendentemente, a raccontarti le loro storie... ne parli quasi come se fossero persone vere. Potrei passare due ore a raccontare aneddoti su cose che ha combinato Antonietta a Altrove al di fuori delle storie pubblicate (come quell'episodio vergognoso in cui tentò di arrotondare lo stipendio vendendo nella base merchandising autoprodotto di Magic Patrol - non so, tipo magliette con su la sua faccia - ovviamente l'iniziativa fallì miseramente :-). Dopo avere visto "A Beautiful Mind" scherzavo (ma mica tanto) sul fatto che probabilmente quella di alcuni creativi non è altro che una forma più innocua e consapevole della schizofrenia di cui soffre il personaggio di Russel Crowe nel film... Uno dei temi ricorrenti delle tue storie è l'incontro/scontro tra due persone diverse che escono entrambe "migliorate", più consapevoli, dall'esperienza. Ad esempio Korg e Martin in MM g3, Valeria e Aldous in ZX 32A, Nathan e il BVZR in NNMM2, Java e il fratello in MM g8, ecc. Non un confronto tra opposti ma uno specchiarsi per indagarsi più a fondo. E' una ricerca che si svolge anche all'interno di Vincenzo Beretta? Spesso sì. Ogni tanto mi capita di leggere o di vedere al cinema quelle classiche storie dove tutto è già ben definito in rassicuranti toni bianchi e neri: la brava ragazza povera con il padre malato e il cuore pieno di valori veri è vessata dal grasso (e ovviamente ricco) padrone che usa il suo denaro per fare quello che vuole (incluso il cercare laidamente di concupirla - e guai se lei non ci sta, perché subito lui le negherà i soldi per le costose medicine del papà). Certo, una situazione di questo tipo potrà anche verificarsi nella realtà, ma ovviamente non è affatto interessante per un racconto (non che questo impedisca a molti di camparci, intendiamoci :-). Ma, scherzi a parte, la realtà contemporanea tende a abituarci a classificare tutto in questi facili e rassicuranti termini di bianco e nero (e quindi a farci apprezzare le storie che paiono promuovere questa semplicistica visione del mondo), ma poi quotidianamente ci pone di fronte a problemi ove bianco e nero si scontrano. In questo contesto credo che il fumetto possa avere la funzione che Tolkien dava alla fiaba: nel raccontare storie staccate dal quotidiano possiamo cercare di parlare di valori e problemi universali in un modo non necessariamente inquinato da un'idea politica, o dalle implicazioni di un particolare evento reale. In tal senso una delle situazioni più interessanti per un personaggio è quando certi suoi limiti caratteriali (o convinzioni che riteneva incrollabili) si scontrano con eventi esterni che causano in lui una crisi di ideali. Il confronto personale, faccia a faccia, con gli oggetti della crisi ha conseguenze spesso amare: il crollo delle certezze, la perdita di punti di riferimento che si ritenevano acquisiti e così via - conseguenze che forse si preferirebbe nascondere sotto un cuscino e che eppure in quella situazione occorre affrontare. Talvolta mi accorgo di come l'evoluzione dei miei personaggi tende sempre a essere non tanto un cambiamento, quanto un passaggio tra convinzioni "assolute" e una più matura consapevolezza che la nostra visione del mondo, per quanto parta da osservazioni oggettive, resta alla fine per l'appunto "nostra" - anche se magari al termine della crisi scopriamo di avere rafforzato proprio le stesse idee con cui siamo partiti - e credo che ciò in futuro aiuterà molto quel personaggio nella comprensione degli altri, nella convivenza e nella tolleranza. E se i personaggi sono due ovviamente possiamo sviluppare la loro maturazione attraverso la dialettica e il confronto reciproco. Poi questo non significa affatto l'accettare o il mettere in discussione indiscriminatamente "tutto". Un esempio che in tal senso mi ha colpito molto è stato il dialogo finale tra Martin e Viviana ne "Il Libro di Kells" (MM 221-222), dove Martin non solo resta ben saldo nelle proprie convinzioni, ma chiude letteralmente la porta in faccia alla "Signora dei Portali" in un modo che non credo che quest'ultima si dimenticherà molto presto. D'altro canto, penso che in quel caso la verità fosse che era Viviana quella che aveva molto su cui riflettere... Com'è invece il Beretta recensore (di videogiochi)? quante volte arriva a 90%? Ogni volta che il gioco merita 90%, ne una di più nè una di meno! Questo giudizio ovviamente deve tenere conto di molte cose: la natura del gioco, il pubblico a cui si rivolge, l'importanza che l'essere all'avanguardia della tecnologia ha per il suo genere (per uno sparatutto come Quake è quasi indispensabile, per un wargame classico può non essere fondamentale)... In generale, cerco sempre di dare un voto il più possibile basato sulla realtà del gioco, e non su un'impressione superficiale o pregiudiziale che potrebbe poi rivelarsi balenga a un esame più approfondito - una norma che credo possa essere utile anche quando si recensiscono fumetti :-O Un consiglio ad un giovane che voglia scrivere fumetti? A parte i soliti "apprendi le basi della struttura narrativa così come un disegnatore apprenderebbe le basi della prospettiva e dell'anatomia, ecc...", credo che una delle cose più importanti sia il saper mantenere una visione di ciò che stiamo facendo il più possibile indipendente dal fatto che è una nostra creazione. "Cosa penseremmo se leggessimo questa storia scritta da un altro? Ha ritmo? I personaggi sono interessanti? Stiamo raccontando una vicenda verosimile o stiamo costruendo una serie di eventi artificiosi per provare un nostro punto?" Se si riesce a sviluppare fin da subito un senso critico "esterno" di questo tipo non solo il nostro lavoro ci guadagnerà, ma si ridurranno anche le occasioni di naufragio "perché i lettori non ci hanno capito" (curiosa giustificazione che si sente spesso in giro, ma che scantona sul fatto che siamo noi a essere pagati per farci capire, e non il contrario). Inoltre, ritengo fondamentale (soprattutto all'inizio) il non porsi dei limiti preconcetti a ciò che si vuole fare. Purtoppo spesso capita di sentire in giro definizioni molto precise su cosa sarebbe "il vero fumetto" ("è solo quello in bianco e nero!" - "No, è solo quello francese!" - "Se fai fumetto popolare non farai mai vera arte!" - "Il vero fumetto è quello senza le didascalie!" - "OGGI IL PUBBLICO VUOLE SOLO QUESTO!" ecc...) Convinzioni come queste non solo non hanno alcun fondamento reale, ma se applicate a priori possono addirittura rivelarsi controproducenti. Una didascalia, per esempio, può rivelarsi un modo perfettamente lecito di trasmettere in modo economico informazioni sulla storia che altrimenti richiederebbero pagine e pagine di noiosa esposizione, mentre ignorare che Italia, Francia e altre nazioni producono fumetti buoni e scadenti in misura eguale può farci perdere delle occasioni di lettura davvero ottime (non toccherò neppure la curiosa ossessione di dover fare assolutamente qualcosa di "originale" - una forma di nevrosi artistica fonte di tutta quella sterilità, tutta quella sperimentazione fine a sé stessa, e tutti quei prodotti che non a caso non erano mai stati fatti prima che tendono a funestare le opere di molti nuovi autori). Un esordiente che ha il coraggio di buttare fin da subito nel cestino tutti questi illusori "capisaldi" scoprirà in fretta che il fumetto offre molta più libertà, emozioni e modi di esprimersi di quanto dei paletti arbitrari avrebbero potuto fargli immaginare. Un breve consiglio ad un giovane che voglia fare il recensore di videogiochi? Mentre scriviamo la recensione, immaginarci nei panni di colui che appena comprato il gioco - e immaginare cosa penseremmo di noi se, dopo avere appena cacciato cinquanta Euro, leggessimo la recensione che stiamo scrivendo :-O Con che cosa ti piacerebbe metterti alla prova nel fumetto? Fino a oggi penso di essere stato abbastanza fortunato da aver quasi sempre potuto fare quello che desideravo, e di farlo insieme a alcuni tra i più bravi artisti che ci sono nel settore. Se ho dei rimpianti è per cose che non ho fatto per la mia lentezza! Se c'è sogno che ho nel cassetto, forse è quello di scrivere per una volta una storia di ambientazione storica con una trama già definita (magari l'adattamento di un bel romanzo), in modo da potermi concentrare per una volta solo sulla ricostruzione del periodo e delle persone che vi vivevano (costumi, architetture, lo stesso modo di vivere e di parlare...) Un'esperienza molto vicina a questa è stata senza dubbio quella per il primo Storie da Altrove (MM sda1), che dal punto di vista della ricerca, documentazione storica e soddisfazione per la resa finale (grazie al lavoro con Castelli e ai bellissimi disegni di Spada) è senza dubbio al primo posto tra tutte le storie a cui ho partecipato. A te non posso non fare questa domanda: quale rapporto tra fumetti e videogiochi? Penso che la vera importanza che il videogioco ha per il fumetto sia quella di fornire un facile capro espiatorio per tutti quei flop e quelle delusioni la cui vera origine non può o non vuole essere vista e affrontata da autori e editori. Potrei aggiungere che tante lamentazioni su come i fumetti vengono superficialmente "malgiudicati" o godono di una "ingiusta pessima fama" si rispecchiano poi nel modo altrettanto superficiale con cui le stesse persone criticano i videogiochi. Per un esempio, proprio come non tutti i fumetti sono violenti o "solo per bambini", così non tutti i videogiochi di successo sono frenetici, o composti solo da immagini e effetti speciali forsennati: alcuni tra i giochi più popolari degli ultimi anni hanno immagini statiche, trame profonde e complesse, e molto, molto testo da leggere (basti pensare a "Baldur's Gate" o "Planescape: Torment") - il che a mio avviso è la riprova di come una bella storia interessi sempre e a prescindere dal formato. Un altro esempio, che mi pare significativo, è come spesso si accusino i videogiochi di "rubare spazio ai fumetti", laddove in realtà un esame dell'andamento dei due mercati negli ultimi 15 anni mostra come il loro cammino sia stato pressochè parallelo: a una crisi del fumetto ne è sempre corrisposta anche una del videogioco, mentre al boom dell'uno ha sempre avuto riscontro anche un boom nell'altro (mostrando, credo, come tali crisi dipendano, oltre che da variazioni nell'offerta e nella qualità, anche da fattori terzi che influenzano la volontà di spendere in modo non facilmente identificabile). Poi io sono naturalmente tra i primi a rendermi conto che tra i due settori potrebbe esserci molta più comunicazione (come succede già in Giappone e, in misura molto minore, negli Stati Uniti, dove McFarlane ha progettato i mostri per una delle ultime espansioni del GdR "Ultima Online"). Spessissimo mi accorgo che ci sono ditte che cercano disperatamente buoni "visualist" per il loro videogioco, e lì a due isolati ci sono bravissimi disegnatori di fumetti che nessuno pensa a contattare. Detto questo, credo che comunque nell'immaginario della gente le due cose rimangano separate: pochi acquisteranno il fumetto perché c'è anche il videogioco, o viceversa: ciò che realmente importa al pubblico è di avere un buon prodotto nel contesto di ciò che acquista. Esisterà mai un "fumetto elettronico"? Mah... in questo caso credo che si inizierebbe a spostarsi verso il confine sempre più sottile che separa il fumetto dall'animazione, ma allora inizierei a parlare di "animazione" vera e propria, sia pure rudimentale. Parlando da sceneggiatore, però, non escludo che in futuro potranno nascere nuove forme ibride di narrare capaci di interessare il pubblico (requisito la cui sottovalutazione è oggi una delle principali cause dei crolli del NASDAQ). In questo caso diverrebbe senz'altro utile sviluppare una tecnica narrativa che permetta di trasferire nel nuovo mezzo espressivo le idee e le immagini che raccoglievamo pensando solo al fumetto, ma sostanzialmente il lavoro di base non cambierebbe. In realtà (e sempre per quella che è la mia esperienza) la vera importanza dell'elettronica per il fumetto è, nel XXI secolo, la possibilità di digitalizzare tavole e testi e di spostarli con grande facilità e comodità. Oggi un autore può impaginarsi l'albo, crearne la grafica, curarne i contenuti fin nei particolari e inviare il tutto allo stampatore su un CD-ROM, o magari anche via internet, conservando fino all'ultimissimo momento un controllo creativo totale (e la possibilità di infilarci le famose "idee dell'ultimo minuto" - che notoriamente sono sempre tra le migliori) Se c'è davvero un modo con cui l'elettronica sta facendo e farà evolvere il fumetto, io credo che sarà questo. Per la biografia di Beretta consultare la scheda autore. Da non perdere su uBC il divertente addio dell'autore a Zona X nell'articolo "Ricordati che devi morire".
In giro per la rete, segnaliamo una divertentissima rivisitazione fatta da Beretta
su Guerre Stellari "L'attacco dei Cloni",
un messaggio su it.arti.fumetti.bonelli a proposito di "Carmilla" e per
i più curiosi un paio di recensioni storiche di Beretta: quella di Syndacate
e quella di Beneath a Steel Sky.
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