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Intervista a Gualtiero Cannarsi e Michele Gelli
di Luca Cerutti

Sabato 2 aprile 2005, abbiamo incontrato a Torino Comics Michele Gelli e Gualtiero Cannarsi, rispettivamente Direttore Editoriale e Responsabile delle Edizioni video della Shin Vision. Con loro abbiamo parlato della loro decennale esperienza nel campo dei manga, della loro ultima avventura editoriale e del panorama fumettistico italiano e mondiale. Ecco cosa è venuto fuori da un ora e mezza di chiacchierata.

Dopo i saluti e le presentazioni, una battuta sull'intervistatore "digital-retrò" che si fa prestare la macchina fotografica dagli intervistati ci porta subito su di un tema di interesse.

Michele Gelli: Io sono per formazione ed estrazione un informatico. Per il mestiere che faccio, io mi sento "digitale". Ma non per quanto riguarda il fumetto. Il fumetto per me deve essere qualcosa di "materiale". Quando sento sotto mano la carta, l'inchiostro, percepisco il valore del pezzo unico, artigianale. Anche se è una produzione industriale, il volume non è replicabile infinitamente come un file. C'è anche un aspetto feticistico in questo, nel voler possedere un pezzo di storia. Del resto il feticismo è focalizzato sul materiale.

Gualtiero Cannarsi: La realtà è analogica. Almeno per come l'uomo la percepisce. Il digitale non è "reale": non è che un'immagine della realtà, un riflesso. Non importa quanto piccoli possono essere i gradini di una scala, non importa se sono impercettibili all'occhio umano: quello che vediamo non è comunque un piano inclinato continuo, resta una scala. Anche il fumetto è analogico, certo, ma anche il cinema: l'idea originale era di proiettare tante diapositive in sequenza rapida abbastanza da salire sopra la soglia per cui le si avvertono come immagini in movimento. Ma la fotografia, la pellicola, la proiezione... non era forse analogica?

In giro per la rete..
Shin Vision
il sito ufficiale della casa editrice

Veniamo a voi ed iniziamo con un po' di storia, la vostra.

MG: Ho iniziato facendo il "bambino degli schiaffoni" in Granata Press, ovvero quello che si prendeva tutti i lavori che gli altri non volevano fare, ovviamente per pagarmi i fumetti.

Com'è l'espressione? "Il bambino degli schiaffoni"?

GC: (ride) Penso che sia mutuata dall'idea di "apprendista-cameriere", di cui si dice che non importa se farà bene o farà male, ma sarà sempre destinato a prendersi schiaffoni.

MG: E' un'espressione molto romagnola. Comunque in Granata ho poi conosciuto tutti quelli che sono entrati in Dynamic Italia e poi in Shin Vision. Inoltre mi è capitato di collaborare più o meno con tutte le realtà del settore: Comic Art, Kappa Boys... sono quella che si potrebbe definire una "vecchia ruga".

GC: Io credo di avere la mentalità dell'appassionato, mi dedico anima e corpo a quello e lo approfondisco, scavo e scavo. Ma dico per qualsiasi cosa che mi capiti. Allora è capitato che in adolescenza, sotto l'influsso dell'esperienza infantile comune alla mia generazione, i cartoni animati... è capitato che mi sia appassionato totalmente alla produzione giapponese.
Poi si sa come capita, le passioni si ramificano: si parte dal fumetto, l'animazione, poi la scrittura, la cultura specifica... e così via. A un certo punto, mi capitò di conoscere casualmente Francesco DiSanzo (ora Amministratore Unico Shin Vision. NdR) alla Granata, con cui nacquero i miei primi coinvolgimenti professionali. In corso d'opera non sono cambiato poi molto... ho appreso nuove passioni. Mi sono appassionato di doppiaggio, e così sono arrivato ad occuparmi di doppiaggio. E poi specificatamente per Miyazaki, Studio Ghibli, Gainax...

MG: Più o meno, alla fine, siamo sempre lo stesso gruppo ad approfondire...

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Foto di gruppo: Michele Gelli (a sinistra) e Gualtiero Cannarsi (a destra) con l'inviato di uBC

E questo ci porta alla seconda domanda. Granata Press, Comic Art, Dynamic Italia: avete attraversato praticamente quasi ogni fase del manga in Italia, compresa quella "preistorica" delle fanzines. Quali impressioni avete di questo percorso, vi scorgete una certa continuità o vi sono secondo voi dei punti di rottura, delle "crisi" dopo le quali si può dire: "da qui è cambiato qualcosa"?

MG: Penso che ci sia stata una lenta e costante evoluzione: raramente vi sono stati dei punti di frattura. Forse l'unico è stato rappresentato da "DragonBall" pubblicato non ribaltato. Per come la vedo io è stata una grossa sconfitta. Così facendo non si rispetta il fumetto: l'edizione deve essere un piano di vetro sotto cui il lettore legge i contenuti, e non ribaltando si impone una lente deformante.
Comunque, se guardiamo al percorso fatto dal manga, dobbiamo riconoscergli il grande merito di aver avvicinato le ragazze al fumetto. "Witch" non sarebbe mai esistito senza i manga, e non solo a livello grafico. Se ci pensi i tradizionali personaggi Disney femminili sono odiosi e non sono figure con cui una ragazza possa identificarsi. Minni è sempre rappresentata come la guastafeste di Topolino, Paperina è quella che arriva e turba la tranquillità di Paperino (e, in veste di Paperinika, perfino quella di Paperinik)...

GC: Beh, dai, c'è sempre Nonna Papera... (sorride)

MG: ...sì ma per trovarne uno bisogna andare a raschiare il fondo del barile, e non è comunque un personaggio in cui una ragazza possa identificarsi. Poi magari le cose sono cambiate col tempo. Io nasco come lettore Disney, ma sono stato successivamente folgorato da Kirby e sono anni che compro "Topolino" solo quando so che ci sono opere dei "miei" autori, tipo Cavazzano.

GC: ...e Massimo De Vita, anche. O anche Romano Scarpa...

MG: Sì, hai ragione, e qualche altro. Però devo ammettere che se io penso ai paperi, dico Cavazzano. Per me i Paperi sono e saranno sempre quelli di Cavazzano, nonostante - già me lo sento - verrò tacciato di eresia dai "puristi" per cui i paperi vorranno sempre dire Carl Barks.

GC: Tornando a guardare a oriente, volendo parlare di manga ed anime come di un unicum, io credo che la penetrazione in Italia sia stata in qualche modo particolare, legata al fatto che abbiamo cominciato ad avere l'animazione giapponese in maniera "casuale": un dirigente della RAI deliberò che l'azienda non avrebbe investito nella produzione di animazione ed allora venne comprata quella giapponese, che costava poco ed aveva una buona resa, e poi su questo la RAI, che fu la prima a portare i giapponesi in Italia, venne seguita dalle televisioni private nella 'corsa ai cartoni giapponesi'. Perché costavano poco ed erano in qualche modo sensazionali.
Erano tutti 'cartoni' che venivano dal Giappone, sì, ma in questo periodo non possiamo parlare di "manga" o "anime": non c'era nessun genere di coscienza in questo senso.
E' dagli anni '90 che abbiamo avuto questa 'seconda penetrazione', e posso dirti anche una data esatta a cui far risalire il processo a livello mondiale: il 1984.
Nel 1984 in Giappone escono al cinema i film di "Nausicaä" e di "Macross", che portano l'allora nascente 'generazione otaku' a essere un fenomeno economico riconosciuto, un mercato. Da "Macross", si arriva all'americano... ovvero, la Harmony Gold di Carl Macek che prende tre serie animate diverse e ne fa un'opera unica per l'occidente. Detestabile, ma intanto negli USA si appassionano. E' grazie alla rivoluzione del mercato USA che si apre il canale per arrivare a parlare di "manga" e "anime" in Italia: all'inizio la Granata Press pubblicava il materiale 'occidentalizzato' preso dalla Viz Comics, materiale adattato per il pubblico americano.
E se vogliamo qualche ulteriore prova di questo 'passaggio', per "animazione originale in home video" noi diciamo 'OAV' (Original Animation Video), come gli americani, ma i giapponesi dicono OVA (Original Video Animation). Lo stesso vale per molti termini del settore: ad esempio le produzioni 'hentai' (in giapponese 'bishoujo'), tutti termini deformati dalla lente americana. E poi, noi quando abbiamo potuto vedere Miyazaki nei cinema? Solo dopo che Miyazaki è stato distribuito da Buena Vista, con "Mononoke Hime". E lo stesso vale per titoli come "Metropolis", o altri giunti per tramite di Columbia Tristar. Persino per i "Pokemon", ricapitalizzati da Warner Bros!

MG: Per questo sono certo che prima o poi importeremo anche i rumori non traslitterati...

Lo hai già accennato prima: mi chiarisci la faccenda dei rumori non traslitterati?

MG: Negli USA l'ultimo trend è quello di pubblicare manga lasciando i rumori in caratteri giapponesi, spesso senza neppure un "sottotitolo" o una guida alla sua comprensione. È un'altra moda deteriore che temo finiremo con l'importare.
Negli Stati Uniti non ci sono molti studi specializzati nella localizzazione fatta eccezione per il validissimo Studio Proteus. Manca proprio una tradizione in questo senso. Quella che è probabilmente una scelta di comodo o economica si sta trasformando in una vera e propria moda, che ho paura ci verrà imposta.
Non sarà di sicuro un buon sevizio alle opere: non solo i rumori giapponesi sono difficili da leggere perché scritti con un altro alfabeto, ma hanno anche una mappatura molto differente da quelle occidentali (ad esempio il verso del cane è "wan wan"). Questo non è un vetro, ma una lente che sporca e deforma l'opera impedendomi addirittura di vederne dei pezzi.

GC: Se parliamo della penetrazione del media in Italia, ti potrei fare quasi un grafico di come è successo (accenna un piano cartesiano).
Come dicevamo, prima abbiamo la fase in cui non esistevano "manga" o "anime" e c'erano solo i 'cartoni animati', ovvero gli anni '70-'80. Poi si ricomincia con la rivista "Zero" che esce nel 1989, che pubblica "manga" inizialmente col materiale che 'fa il giro' dagli USA. Poi la Granata Press si ingrandisce, consolida una nicchia, vara un parco testate e inizia l'acquisizione diretta di titoli dal Giappone. Prima "manga", e poi anche "anime", parallelamente a Yamato Video. Ma come pubblico, siamo ancora dinanzi a una nicchia di innovatori! Nella storia dei mercati è sempre così, il primo momento, quello della penetrazione di un nuovo media, è quello degli "innovatori": in quel momento si vende il media di per sé, quindi si compravano i manga perché erano "i manga", e agli innovatori andava bene qualsiasi cosa purché fosse "manga". E' una curva in crescita.
Poi si arriva al "plateau"... in cui gli innovatori sono invecchiati, e il nuovo pubblico non riconosce più il media come 'nuovo' (e quindi sensazionale). A questo nuovo pubblico non si può più vendere il "contenitore", il "manga", gli si deve vendere il "contenuto", ovvero 'un bel manga'. Il "plateau" corrisponde a questo momento, in cui la presenza prodotto sul mercato è "data per acquisita" dal pubblico.
Per chiarire, per me, per la mia generazione, i manga prima non c'erano, poi sono arrivati e ci sono stati ed erano per questo nuovi e sensazionali... ma per dei giovani di diciott'anni come la mia sorellina il manga c'è sempre stato, non è nulla di speciale. Ora la mia sorellina ha "visto arrivare" i fumetti coreani, e per altro verso magari storce il naso di fronte ai "manwha", ma per i nostri cuginetti i fumetti coreani saranno comunque "sempre esistiti".

Il tipo di esperienza che si ha come redattore di uBC ci porta a questa domanda: ad un certo punto, con la Dynamic Italia, realizzate "Animania". Una rivista di recensioni costruita sull'esperienza di appassionati che, in qualche modo ricordava quello che era stata "Zzap!" per i videogames.

MG: Io all'epoca avevo letto Zzap!, ma il progetto nacque in maniera completamente diversa e diede subito un sacco di problemi. La visione che avevamo a Bologna era quella di una rivista di informazione "seria", che sapesse soddisfare l'esigenza del lettore di sapere di ciò che riguardava la sua passione.
Il Tam-Tam degli appassionati prima ed Internet ora hanno creato un canale in cui uno "sfavillante scoop inventato" è sempre preferito ad una notizia vera, che spesso ha il torto di essere terribilmente banale. Così alla fine capitava - e capita ancora oggi - che chi lavora nelle redazioni ed ha le informazioni di prima mano, fa la figura di quello che "smente per non rivelare un segreto che tutti sanno".
Alla fine, tra vari problemi, arrivammo ad avere il risultato che ci aspettavamo solo con l'ultimo numero, il sesto. E' stata l'esperienza che mi ha insegnato a non utilizzare mai più una redazione esterna, specie se tanto distante: troppo problematiche le comunicazioni e la gestione...

GC: La genesi non la rintraccerei in "Zzap!" e ora chiarisco anche il perché... la genesi la troverei in Riccardo Albini, che in seguito avrebbe fondato lo Studio Vit con cui pure collaborai, ma che in origine creò la rivista "Videogiochi", credo per il Gruppo Editoriale Jackson.
Perché risalgo a questo... in Italia siamo abituati ad un concetto uniforme di "critica": se io ti chiedo di dirmi il significato di "critica" tu penserai "stroncatura", nel senso di 'critica negativa'. Ma a ben vedere 'critica' vorrebbe essere un termine neutro. E' un po' come per 'fortuna', che oggi viene intesa tacitamente come 'buona sorte', ma originariamente era la 'sorte' in senso neutro. Dunque, in Italia "fare una critica" è dare un giudizio negativo.
Io sono molto avverso a questa logica: sembra così che il vero 'critico', quello colto, non sia il conoscitore appassionato dell'opera, ma quello che la sa stroncare. Mi sembra una contraddizione in termini. Anzi, se proprio vogliamo, perché tutta questa necessità di recensioni intese come 'critiche preconfezionate', giudizi precotti? Personalmente, quando faccio informazione su un prodotto, non mi sento tenuto a darne a te lettore la mia schietta opinione personale. Ti informo, ti parlo di tutto quello che c'è da sapere sul prodotto e poi lascio a te, guardi o leggi e ti farai la tua idea, per costruire la quale io non ti ho fornito che i mezzi, il materiale.
Simili conflitti di visioni credo si manifestarono in "Animania". Al tempo, la casa editrice Dynamic Italia si proponeva l'obiettivo di fare informazione di settore, non 'critica acculturata'! Dare il parere negativo, fare la stroncatura arguta è a mio giudizio una forma di egotismo, e con l'egotismo non ci fai una buona rivista di informazione. Prendiamo "New Type" (probabilmente la maggiore rivista giapponese dedicata all'animazione. NdR), tutto quello di cui ti parlano non è che animazione. Non hanno la figura del saccente critico acculturato che periodicamente smonta con compiacimento un'opera, per dimostrare quanto è bravo, quanto ne sa.
E poi fa ridere, a leggere cose simili mi verrebbe da dire: "ehi, dico, sveglia! E' solo animazione! Non tentare di farci la figura del grande acculturato, con l'animazione!" (ride)

MG: Al tempo non avevamo le risorse interne per affrontare un progetto simile, e ci parve naturale rivolgerci alla redazione di una fanzine in cui si sentiva la passione.

GC: E, guarda, la mentalità umana è davvero curiosa. Se tu sei un appassionato e fai una fanzine... la fai per parlare della tua passione. E' naturale, è un argomento che ti prende, ti piace, ne sai, quindi ne parli. Ma quando ti avvicina una "realtà professionale", ecco che ti senti "arrivato" e ti senti finalmente autorizzato a fare "stroncature". Ma perché parlare di una cosa che non ti piace? Dico, o una cosa è talmente famosa e al tempo stesso talmente orripilante, che non è possibile evitare di parlarne, oppure bisognerebbe piuttosto dedicare spazio tempo a parlare di cose che ci sono piaciute!

MG: In un prodotto editoriale non c'è mai spazio per parlare di tutto. In Internet è diverso, ma le riviste "cartacee" hanno un preciso limite dato dal numero di pagine. Perché sprecarle per parlare di cose brutte, quando già non c'è spazio sufficiente per quelle belle?

GC: Quindi diventa chiaro che se io a tutti i costi voglio essere quello che ti parla male delle cose, è perché voglio sentirmi arrivato, elevarmi dal pubblico. Così non corro il rischio di fare la figura del "fanboy". Ma è solo una pretesa di intellettualità ed è tipicamente italiana. Guarda, io detesto i luoghi comuni, però sembra proprio lo stesso motivo per cui, quando si parla di calcio, in Italia non abbiamo appassionati ma solo allenatori. Siamo tutti allenatori.

Ora arriviamo al momento presente, ovvero alla Shin Vision. Quando è nata l'idea, quando si è deciso che si poteva fare.

GC: Dynamic Italia era ed è tuttora una Società. Dei conflitti di vedute hanno portato all'uscita di alcuni soci fondatori. Che erano anche le menti creative dell'azienda. Così, con le stesse idee, e non potendo più esprimerle in quel luogo, hanno fondato un'altra società che ha raccolto tutte le persone che a quei soci facevano riferimento.

MG: È un po' come nel ciclismo. La gente è andata dietro a quelli che negli anni avevano sempre pedalato. Era un gruppo che credeva in un certo modo di lavorare, che aveva riportato l'animazione in TV (su MTV. NdR). Che aveva una certa prospettiva ed una certa idea di cosa proporre da qui al futuro.

GC: Ho collaborato con varie case editrici, e ho sempre avuto una idea chiara di che tipo di lavoro volevo realizzare. Se so fare un lavoro per cui mi chiamano, allora lo posso fare. Se no, non lo faccio. E se lo faccio lo faccio come so di saperlo fare.
Con Marvel Italia - Planet Manga, ad esempio, curai l'adattamento testi e tutto l'apparato redazionale del fumetto di "Evangelion", fino all'ottavo volume, e poi, quando esaurimmo il materiale originale, cominciammo con i Film Book, in contemporanea con la serie animata, e arrivammo fino al quarto. A quel punto non si poteva andare avanti perché non avevo ancora preparato i nuovi episodi, dico, ero io stesso che mi occupavo dell'edizione italiana dell'animazione, per questo potevo occuparmi dei Film Book. Ma il materiale video in italiano non c'era ancora, quindi come avrei potuto continuare? Dissi che non si poteva. Mi chiesero "come mai?". Risposi che mancava il materiale pronto per l'edizione video italiana. Mi chiesero di continuare lo stesso, e io mi rifiutai, smettendo di occuparmi del lavoro che qualcun altro avrebbe fatto.
Ma non è questione di fare i buoni o i cattivi, è semplicemente questione di deontologia professionale: ciascuno fa le cose in un certo suo modo.

uBC ha finora recensito tutti i manga con cui vi siete presentati sul mercato italiano, per cui "Rai", "Pilgrim Jager", "The Calling" e "Gunslinger Girl". Ognuno di questi titoli è notevolmente diverso dagli altri. Come vi orientaste nella scelta? Cosa cercavate o cosa pensavate di aver trovato?

MG: Il punto in comune è che sono tutte opere molto belle. Siamo andati a cercare opere di cui noi per primi eravamo convinti. Anche se alcune di queste sono state davvero una faticaccia da raggiungere. Per "The Calling", ad esempio, abbiamo prima dovuto rincorrere tanto i diritti del romanzo, poi quelli del fumetto. Quel contratto è stato un vero incubo...
Poi si tratta di opere che, per quanto possibile, abbiamo tentato di identificare e caratterizzare. In Italia siamo abituati ad avere "il manga" con edizioni estremamente omogenee per tutte le opere. Questo causa ad esempio che, nelle edicole, venga percepito come un unico "blob" indistinto in cui chi non sa cosa cercare fa molta fatica ad orientarsi. Il fumetto americano, ad esempio, è diverso. Già a livello di scelte grafiche e "tipografiche" viene dato un aiuto al pubblico per distinguere il contenuto delle opere. Con una certa copertina, una certa carta, una certa edizione, il lettore deve aiutato a capire che quel fumetto è destinato a lui.
Noi tentiamo sempre di fare questo. Siccome è assolutamente immorale che chi legge "SandMan" non legga "The Calling" ci siamo rivolti al pubblico della Magic Press. Al lettore di SandMan e non di DragonBall. Con questa confezione abbiamo detto al lettore di SandMan: "questo non è DragonBall, si vede ad occhio. Sfoglialo, vedrai che ti può interessare". Per un manga differente probabilmente faremo una edizione che stizza l'occhio al lettore di DragonBall. E posso dirti che continueremo tentare di caratterizzare le edizioni anche con i titoli futuri.
Se è vero che il pubblico compra l'opera e non l'edizione, l'edizione per certo modifica la percezione che il lettore ha dell'opera. Siamo abituati ad investire e curare molto anche aspetti che magari consciamente il pubblico non percepisce come "impreziosimenti" del volume. Ad esempio per i fumetti usiamo i migliori rumoristi sulla piazza, dandogli la possibilità di consegnare un lavoro fatto in un certo modo.
Nonostante molti lettori siano convinti di "non vedere neppure i rumori", e quindi non percepiscano consciamente tutto il lavoro profuso sulle tavole (e meno che meno sono disposti a premiarlo economicamente) si tratta di uno di quegli aspetti vengono percepiti inconsciamente e modificano in maniera potente la percezione dell'opera. Se non sei un tecnico non capirai perché, ma alla fine quello che ti rimane è che il manga ti è "piaciuto di più".

GC: Io penso che la professionalità non debba essere fatta di gusti, ma di deontologia e cultura. Sono cose che cerco sempre di infondere nel mio lavoro. Come manga, mi sono occupato di "Evangelion", di "Kodomo no Omocha" ("Il giocattolo per bambini" in Italia) per la Dynamic ed ora di "Blitz Royale" con Shin Vision.
Su ognuna delle opere sono stato coinvolto per motivi diversi, ma la deontologia è la stessa. Ti faccio un esempio: quando mi occupai di Evangelion, pensai di scrivere nelle schede dei personaggi anche la pronuncia corretta dei loro nomi. Non lo ha fatto nessuno, ma mi ero semplicemente reso conto che nessuno sapeva pronunciare correttamente i nomi. Pensai anche alla rubrica personalizzata della posta, con una Rei Ayanami che rispondeva ai suoi lettori, perché giudicai che era la cosa giusta per il tipo di lettore a cui il fumetto si rivolgeva al tempo.
Capisci, noi che ci occupiamo di localizzazione, ci poniamo e dobbiamo mediare tra l'origine e la destinazione. Per fare questo, la cultura ti dà la cognizione di causa del tuo fare, la deontologia ti fornisce il metodo giusto del fare.
Ad esempio, da tempo mi impegno per riportare in Italia la giusta dicitura del nome giapponese, ovvero prima il cognome e poi il nome. Fin dai tempi dell'antica Roma, con i nomi gentilizi, l'ordine del nome era parte costitutiva del nome stesso. L'ordine "nome-cognome" per i prodotti giapponesi noi lo abbiamo importato dai soliti USA. In ambiente accademico, i nomi giapponesi sono ancora cognome-nome. Oppure, i nomi cinesi o coreani hanno sempre l'ordine corretto, nessuno penserebbe mai di invertirli.
Ritengo che ora ci sia lo spazio per ricostruire la giusta cultura.

MG: Sono cose su cui le condizioni ed anche i gusti cambiano. È una continua ricerca: come diceva Gualtiero noi siamo dei tramiti e cerchiamo continuamente di capire come cambiano le cose. È una cosa che ti matura, anche se ti stressa... Se le metti in una catena di montaggio, puoi dormire tranquillo. Ma se segui le "tue" opere con amore artigianale, allora cominci a perderci le ore di sonno e magari a profonderci anche più energie di quelle per cui teoricamente saresti pagato. Ma ne vale la pena! Quando un volume arriva in redazione è come fosse un tuo bambino, lo tocchi, lo guardi, lo apri... poi scopri un refuso, lo richiudi e sbatti la testa sul muro (ride)... Scherzi a parte, se non ci fosse questo processo di crescita non potrei sopportare lo stress del mestiere che faccio. Devi avere questo tipo di soddisfazioni "violente" per reggere.

GC: Se parliamo di "arte", allora cose quali traduzione, adattamento, localizzazione, non dovrebbero proprio esistere. Sono MALE! Se consideriamo l'arte come espressione di un artista, queste cose alterano ciò che è stato espresso e, anche, lo portano ad un pubblico per cui non era stato originariamente pensato. E' un tradimento del testo e, del resto, è nello stesso termine "tradurre" che troviamo il seme. Facendolo ti accolli la responsabilità quasi di uno stupro.
Chi fa questo mestiere può trovare giustificazione al suo atto solo nell'intento di diffondere un oggetto d'arte che, secondo lui, avrà un significato anche per un nuovo destinatario. Ma chi fa questo lavoro dovrebbe prenderlo come un fardello: la traduzione comunica ma tradisce. E' inevitabile, bisogna venirci a patti.
L'appassionato che è in me disdegna Carl Macek per quello che ha fatto a "Macross", il razionale che è in me capisce che senza "Robotech" il concetto di Macross non mi sarebbe mai arrivato.

Adesso arriviamo ad una domanda classica. Quale fumetto della concorrenza avreste voluto pubblicare voi?

(All'unisono): "Nausicaä!"

GC: Michele, prima tu, che poi mi aggrego. (sorride)

MG: Allora Allora "Nausicaä", "Lone Wolf & Cub" e poi "SandMan". Sì, davvero avrei voluto essere io a pubblicarli..

GC: Io avrei voluto lavorare su qualsiasi cosa di Adachi Mitsuru, poi "Karekano" ("Le situazioni di Lui e Lei" in Italia. NdR) ed "Evangelion"...

Beh, tecnicamente ad Evangelion hai lavorato...

GC: Sì, ma mi sono occupato solo della parte redazionale, non editoriale. Adesso, me lo chiedessero, sarei dispostissimo a rifarne l'edizione.

MG: Per ripubblicare Nausicaä io sarei disposto a fare follie...

GC: Beh, magari io mi sono preso una rivincitina curando il nuovo doppiaggio di "Nausicaä"... (sorride) E poi "Glass No Kamen" ("Il grande sogno di Maya" in Italia. NdR).

MG: E anche "Bone". Soprattutto dopo aver letto il finale. A pochi numeri dalla fine ero parecchio preoccupato, perché non mi sembrava avesse lo spazio per chiudere bene si "sgonfiasse" come molte delle ultime produzioni fumettistiche/cinematografiche americane. Sono tutti bravi a fare un incipit ad effetto, ma poi... spesso arrivi al finale e dici: "tutto qui?". Meno male che Bone è una luminosa eccezione.

Vi occupate di editoria su carta e multimediale, avete un punto di vista piuttosto esteso sul mercato. Quali sono le vostre impressioni sul mercato italiano? Come lo vedete nell'accogliere i talenti stranieri e nostrani?

GC: Filoamericano. No, davvero, subisce in maniera pesante l'influsso, ed in questo Internet certo non aiuta: è un ambiente anglofono e quindi ti condiziona in tal senso.
Questo contribuisce anche a creare dei pesanti sfalsamenti sui target di età. Abbiamo prodotti per undicenni proposti ai quindicenni e prodotti per quindicenni letti dai ventenni. Io non capisco ad esempio come possano ragazze di diciotto anni appassionarsi per qualcosa di destinato a delle tredicenni. Cioè, intendiamoci, io leggo "Witch". Ma sono ben conscio di non essere il lettore per cui Witch è pensato: lo leggo sapendo che non è a me che voleva parlare, invece vedo queste ragazze che si appassionano di cose indirizzate a ragazzine... (strabuzza)

MG: Filoamericano. Confermo. Adesso come ho detto arriverà questo problema del non adattamento. Ma questa dovrà passare sul mio freddo cadavere (ride).
Poi siamo in un periodo in cui in cui si creano un sacco di attese che si concretizzano in delusioni. Prima di internet riuscivi a creare "l'evento" e a gestirlo, ora si creano tanti focolai di entusiasmo tutti terribilmente vicini fra di loro. Questi non solo non ti permettono di creare un "falò" significativamente vistoso, ma invariabilmente creano anche delusioni, perché le aspettative sono tante, differenti e spesso contrastanti.
Ad esempio è palpabile nel fandom la smania di volere pubblicata l'ultima novità, spesso accompagnata da improperi contro gli editori ritenuti incapaci nelle scelte. Dall'altra parte c'è la richiesta - ovviamente in contraddizione con la precedente - di non avere interruzioni nella pubblicazione, una volta cominciata. Nel mezzo ci sono le procedure interne degli editori giapponesi, che spesso rendono disponibile un titolo per l'estero solo raggiunta una certa riserva di materiale. Raramente puoi permetterti di forzare la mano dicendo: "uscirò da questa stanza con questo volume, fate voi il prezzo!".

Beh, a questo punto, fantasia per fantasia, si potrebbe comprare l'intera editrice giapponese...

MG: Ma neanche! Stiamo parlando di aziende enormi. Sono delle FIAT del fumetto, ce ne vuole prima di comprare la FIAT. Hanno un mercato interno talmente vasto da potersi permettere di essere sostanzialmente "indifferenti" al mercato esterno. Al limite lo fanno anche per prestigio. Per dire alla "FIAT" concorrente: "sai, io pubblico in Italia...".
Per cui il fandom italiano che si aggancia ad internet e continua a pensare: "ma guarda questi deficienti, ancora non pubblicano il titolo X!" resterà sempre deluso.

E per quanto riguarda l'Italia, avete dei progetti di pubblicazione "Made In Italy".

MG: Adesso come adesso non abbiamo le risorse. Non possiamo disperderci a fare nulla di più di quello che stiamo già facendo, altrimenti non riusciremmo a farlo bene. A me però piacerebbe. Qualche idea ce la avrei pure...

GC: Io ora come ora in Italia non ci farei neanche un bambino...

Ora rivelatemi un progetto "Top Secret", giurin giuretta che non lo rivelo a nessuno.

MG: Preferisco rifugiarmi in un "no comment". Già veniamo criticati perchè faremmo troppi annunci! Anche qui è difficile spiegare al pubblico che spesso gli annunci vengono stimolati (il termine esatto è "pedantemente sollecitati") dall'ufficio legale per motivi connessi alla lotta alla pirateria.
Indipendentemente dal fatto che si comunichi chiaramente che i prodotti saranno disponibili solo molto avanti nel tempo, il Tam-Tam di internet li segnalerà a prescindere come "in ritardo".
Posso però dirti - visto anche che lo abbiamo in proiezione proprio qui a Torino - che stiamo lavorando alacremente per portare il film Battle Royale nei cinema, e le ultime notizie, per quanto non ancora confermate, ci autorizzano a sperare per il meglio. E se mi permetti, consiglio a tutti i fan del film di leggere "Battle Royale II - Blitz Royale". È scritto dall'autore del romanzo e disegnato dal talentuoso Tomizawa, che io ritengo un autentico genio. Utilizza questa grafica "tenera & innocente" per poi rappresentare eventi di una violenza psicologica e fisica a dir poco devastante. Il contrasto è stridente, ma i risultati sono ottimi. Davvero, i fan del film dovrebbero dare una occhiata a Battle Royale II - Blitz Royale.


 

 


 
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