Intervista a Gianluigi Gonano
la "voce" del Commissario Spada
Intervista di M.Spitella | | interview/
Intervista a Gianluigi Gonano
Scheda
- Commissario Spada
un poliziotto tutto d'un pezzo nell'Italia degli Anni '70
uBC: Signor Gonano, vorremmo, prima di tutto, ringraziarla della sua squisita disponibilità. Sappiamo bene come in questo periodo sia stato molto impegnato nel suo lavoro, specialmente grazie all'uscita del quarto volume dedicato dalla Black Velvet e dalla Edizioni BD alla ristampa cronologica delle avventure di Spada, e siamo molto felici del tempo che ci ha concesso.
1) Nella scheda enciclopedica dedicata da uBC al Commissario Spada l'abbiamo accomunata a Giorgio Scerbanenco, il maestro del noir italiano, con il quale condivide anche la professione giornalistica. Anche lei, come lui, è stato capace di descrivere mondi e persone violenti e aggressivi usando un linguaggio "colto" e completamente privo di volgarità e di "parolacce". Si riconosce in questo nostro paragone?
Sarei tentato di dire che il mestiere giornalistico c'entra poco con quello di autore di fumetti... Poi, però, devo riconoscere che ci sono giornalisti che scrivono i loro articoli come se fossero racconti...
Gonano: Purtroppo non ho letto i romanzi di Scerbanenco e posso solo immaginare quali affinità ci possano essere tra le mie sceneggiature e i suoi libri. È possibile che certe somiglianze siano legate alla nostra professione comune - il giornalismo - e al periodo in cui vivevamo. In quegli anni diversi autori hanno voluto ricreare in termini nostrani le atmosfere realistiche dei polizieschi americani. Cercherò senz'altro di recuperare qualche libro di Scerbanenco, non fosse che per ritrovarmi in buona compagnia...
2) Quanto del suo mestiere di cronista è filtrato nel suo scrivere fumetti?
Sarei tentato di dire che il mestiere giornalistico c'entra poco con quello di autore di fumetti. Penso che la narrativa - che si tratti di romanzi o di fumetti - sia molto diversa dalla scrittura giornalistica. Poi, però, devo riconoscere che ci sono giornalisti che scrivono i loro articoli come se fossero racconti, e scrittori cercano di imitare uno stile asciutto da cronisti. Per quello che mi riguarda, credo che la pratica giornalistica abbia portato nel mio lavoro di sceneggiatore sopra tutto un certo realismo. Il mestiere di giornalista aiuta perché è simile al lavoro del detective: la ricerca di una certa verità.
Gonano su uBC
Note biografiche
Recensione di Nick Raider n.151
Recensione di Nick Raider nn.155-156
Recensione di Dylan Dog Gigante n.8
3) Quali sono stati i punti salienti della sua carriera e come si sono verificati questi passaggi (giornalista, sceneggiatore di fumetti, scrittore di fantascienza e chissà cos'altro...).
Ho iniziato la professione giornalistica nei primi anni '60. Ho lavorato in giornali e riviste molto diversi tra loro, il che mi ha fornito un'esperienza piuttosto variegata. Il periodo più importante (per me) sono stati i quindici anni trascorsi, a partire dal 1980, nella redazione scienza dell'"Europeo". Per quel che riguarda la fantascienza e i fumetti, non ho "prodotto" molto: negli anni '60 qualche racconto sulla rivista "Oltre il Cielo", racconti e traduzioni per il mensile di fantascienza "Gamma"; negli anni '70 ho lavorato a Spada e di recente ho cominciato a collaborare con l'editore Bonelli per le collane di Dylan Dog e Nick Raider.
Fu Gino Tomaselli (caporedattore de "Il Giornalino") a pensare a storie poliziesche di ambiente italiano. Fu lui ad avere l'idea di scegliere come autore non un professionista dei fumetti, ma un giornalista.
4) Come riportato da Laura De Luca sul suo sito, pensando ad allora lei si definisce uno sceneggiatore "dilettante". Pensa di ritenersi un "dilettante" ancora oggi?
Certamente. Mi ritengo un "dilettante" solo in quanto non faccio questo lavoro per vivere e non lo faccio in modo continuativo o con vincoli contrattuali. Questo però non significa che scrivo "con la mano sinistra", o che non bado a quello che faccio. Nel mio lavoro metto lo stesso impegno di un professionista, solo che quando incontro momenti di difficoltà ho la possibilità di fermarmi, di aspettare che le idee si chiariscano. È una fortuna. Molti professionisti non riescono ad avere con il loro lavoro un rapporto altrettanto felice.
5) Come mai è passato così tanto tempo prima di che riprendesse a sceneggiare fumetti (con il 1994 e le storie per Dylan Dog e Nick Raider)?
La fine del ciclo del Commissario Spada era coincisa con un cambio di giornale: entrando nella redazione dell'"Europeo" ho avuto molto meno tempo libero e un lavoro molto più interessante di quello che avevo quando ho cominciato con i fumetti. Quindi non ho più scritto niente. Quando l'"Europeo" ha chiuso le pubblicazioni sono stato ben contento di accettare la proposta di riprendere con i fumetti.
6) "Il Giornalino", con più di 80 anni alle spalle, ha saputo donare al mondo del fumetto migliaia di pagine, realizzate anche da autori del calibro di Toppi, Battaglia, Micheluzzi, Nizzi, Alessandrini e molti altri. Che ricordo ha degli anni in cui collaborò con questa rivista?
Erano gli anni dei grandi cambiamenti nati dal '68. Ci si liberava da una certa rigidità nel vedere le cose, si cercava di esprimersi in modo più aperto, meno ingessato, meno condizionato da eccessivi moralismi. Anche al Giornalino tirava aria di rinnovamento, ed è così che si sono formate diverse personalità di sceneggiatori e di illustratori. C'era molto entusiasmo, molta voglia di inventare. Penso che la direzione fosse un po' sopraffatta da questa creatività. Dieci anni dopo, il margine di libertà cominciò a restringersi. Forse era inevitabile: dopo tutto il Giornalino dipendeva da una società religiosa, e più in là di tanto non poteva spingersi. Peccato che, insieme con certi eccessi, sia andata perduta anche certa creatività.
Ho un grande rimpianto: di non essere riuscito a lavorare "a quattro mani" con Gianni De Luca...
7) Manca un modello simile nell'odierno mondo del fumetto?
Temo di sì. Non conosco bene l'editoria a fumetti, e penso che il Giornalino di quegli anni fosse un caso unico anche allora. Prima c'erano stati "Il Vittorioso" e "Il Corriere dei piccoli", ognuno a suo modo protagonista di un'epoca. Successivamente è venuto "Linus", che ha cambiato completamente registro. Nell'84 Tiziano Sclavi e Federico Maggioni diedero vita al bellissimo "Pilot" (edito da Bonelli) ma per diversi motivi quella rivista non riuscì a sfondare. Oggi non credo che si potrebbe riproporre il modello del Giornalino, cioè di un giornale di storie a puntate dedicato a ragazzi e adolescenti; questo pubblico mi sembra più attaccato alla tv e alle playstation e alla lettura di fumetti "di consumo".
In giro per la rete
Il Giornalino
sito ufficiale della rivista
Edizioni Bande Dessinée
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Black Velvet Editrice
sito ufficiale della casa editrice
Le pagine dedicate al Commissario da Laura de Luca & Friends 8) Nel 1970, su "Il Giornalino" uscirono 3 nuove serie: Larry Yuma, Dev Bardai e il commissario Spada. Mentre i primi due rispecchiano i canoni dell'avventura classica attraverso il western e l'ambientazione esotica, il solo Commissario Spada - e probabilmente non solo fra i fumetti pubblicati su Il Giornalino - ritrae un quadro della situazione italiana dell'epoca. Come è stato possibile che su un periodico di matrice cattolica e rivolto ad un pubblico di ragazzi come quello delle Edizioni San Paolo si trattassero tematiche così adulte e complesse senza edulcorarle?
Per una combinazione di buona volontà dell'editore e di passione sincera degli autori. Per quello che riguarda me, non avendo nessuna esperienza nel campo della narrativa per ragazzi, e tanto meno in quello dei fumetti, dopo i primi tentennamenti mi sono affidato agli argomenti che mi interessavano personalmente. Quanto a De Luca, credo che non aspettasse di meglio per scatenare le sue idee più originali (forse non è per caso che un premio importante come lo Yellow Kid gli sia stato assegnato dopo la creazione di Spada). E l'editore fu pronto ad accogliere questa creatività, accettando a volte di affrontare dei rischi a causa di soggetti scabrosi - almeno per l'ambiente cattolico più tradizionale.
9) Come fu scelto o chiamato per realizzare la serie?
L'idea fu di un amico e collega, Gino Tomaselli, che era caporedattore del Giornalino. Incaricato di trovare idee nuove, fu lui a pensare a storie poliziesche di ambiente italiano. Fu lui ad avere l'idea di scegliere come autore non un professionista dei fumetti, ma un giornalista. Propose anche un modello per il Commissario Spada: doveva ispirarsi al mitico ex capo della Squadra mobile di Milano, Mario Nardone. Scartai questa soluzione perché non consentiva abbastanza libertà di creazione. La realtà poliziesca è molto diversa dalla realtà dei romanzi polizieschi, per quanto realistici possano essere.
Lucia Spada
la giovane moglie del Commissario nell'unica avventura in cui è presente
(c) aventi diritto
10) Mario, il figlio del Commissario Spada, viene ritenuto uno degli elementi chiave della serie, essendo il solo personaggio con cui il lettore de "Il Giornalino" poteva sicuramente identificarsi. Perché si è scelto di renderlo orfano di madre?
L'idea di mettere un figlio ragazzino accanto al Commissario era di Tomaselli. Si trattava di farne una specie di testimone e di alleato del padre. Bisognava quindi trovare il modo di inserirlo nelle avventure di Spada, e non era sempre facile perché non mi sembrava credibile far entrare un ragazzino nell'ambiente della polizia. Del resto non si poteva utilizzarlo solo nel ruolo di vittima da far liberare dal padre, come nella "Trilogia dell'Incidente". Lo stesso problema si sarebbe riproposto per la madre: che ruolo assegnarle? Non la vedevo come aiutante del marito, e ancora meno come donna di casa. A questo punto ricordo che la serie è nata di getto ed è stata immediatamente pubblicata: non c'è stata nessuna messa a punto preliminare dei personaggi e delle storie. Quindi abbiamo improvvisato. Per il primo momento era meglio lasciar fuori campo la madre. Ovviamente non si poteva, su un giornale cattolico, pensare a una coppia separata. Ecco perché il personaggio di Mario è, per così dire, nato orfano. Poi, un giorno, la redazione mi ha "girato" la lettera di un ragazzo che chiedeva: "Perché Mario non ha una mamma?". Per rispondere ho scritto la storia dei "Figli del serpente", in cui si racconta appunto com'è morta Lucia Spada. Intanto Mario cresceva, fisicamente e psicologicamente. Fin dall'inizio mi ero accorto che poteva diventare a sua volta protagonista (vedi l'episodio "Il segreto dell'isola") e successivamente decisi di dargli più spessore psicologico, rappresentando con lui l'inevitabile conflitto col padre. Poco per volta il ruolo contestatore di Mario continuò ad approfondirsi, e con esso crebbe l'interesse dei lettori.
11) Non è possibile parlare di Commissario Spada e di Gianluigi Gonano senza ricordare Gianni De Luca, che riuscì a sperimentare e a rivoluzionare il fumetto popolare con soluzioni grafiche innovative e composizioni della tavola dal taglio cinematografico. Cosa ricorda del periodo in cui avete collaborato? Com'era lavorare con lui? Come si svolgeva il vostro lavoro? Quanta libertà veniva lasciata dalla sceneggiatura a De Luca e quali meriti dobbiamo ora all'uno ora all'altro riguardo le soluzioni narrative e grafiche adottate?
Ovviamente non si poteva, su un giornale cattolico, pensare a una coppia separata. Ecco perché il personaggio di Mario è, per così dire, nato orfano. Poi, un giorno, la redazione mi ha "girato" la lettera di un ragazzo che chiedeva: "Perché Mario non ha una mamma?" Per rispondere ho scritto la storia dei "Figli del serpente", in cui si racconta appunto com'è morta Lucia Spada.
Ho un grande rimpianto: di non essere riuscito a lavorare "a quattro mani" con Gianni. Può sembrare strano ma, anche se eravamo sempre in contatto (telefonico), lavoravamo ciascuno per sé. Del resto De Luca non voleva essere condizionato dalle scelte degli altri. Coltissimo, preparatissimo (lui sì, che era un grande professionista, per niente dilettante), era anche geloso della propria originalità e della propria indipendenza. Mi diceva: "Tu vai avanti a scrivere come ti viene. Poi lascia lavorare me e non chiedermi di fare le cose come le vedi tu". Ma era anche molto rispettoso del mio lavoro. All'inizio della nostra collaborazione gli avevo sottoposto sceneggiature strutturate in modo abbastanza rigido, e lui seguiva alla lettera le mie indicazioni. Forse mi studiava, cercava di capire quanto poteva ricavare da quello che scrivevo. Progressivamente ha cominciato a uscire dagli schemi e a sviluppare idee personalissime. A mia volta, ho capito che era inutile fornirgli indicazioni troppo strutturate. Meglio, invece, proporgli una sceneggiatura che gli permettesse prima di tutto di capire il senso dell'azione. Per esempio, raramente descrivevo le inquadrature o i piani. Invece mi dilungavo a descrivere nei dettagli i movimenti dei personaggi, le loro espressioni e i loro sentimenti. Ricordo una vignetta dei "Figli del serpente" in cui la protagonista Lucia Spada aveva "una sensazione di freddo, sangue e morte". Come poteva realizzare questa scena De Luca? Non lo sapevo, e non era compito mio immaginarlo. Sapevo che lui ci avrebbe lavorato sopra e, se era possibile rendere graficamente quella sensazione, lui lo avrebbe fatto. In questo è stato un artista assolutamente unico.
12) Cosa ha indotto a concludere la serie del Commissario Spada? Aveva ormai espresso tutto quello che poteva dire? Non era più congeniale all'epoca in cui terminò?
Niente di tutto questo. Ho smesso per motivi diversi che si sono assommati uno all'altro rendendo il lavoro troppo difficile. C'era un problema concreto: nel 1980 avevo cambiato giornale e il mio nuovo lavoro mi occupava tutte le giornate - e qualche volta anche il fine settimana. C'era stata una crisi di stanchezza: la realizzazione delle ultime storie, e in particolare quella dei "Terroristi", era stata molto faticosa, piena di rifacimenti a causa delle continue osservazioni che mi venivano dalla direzione del Giornalino. E c'era infine un motivo creativo: la "gabbia" del personaggio fisso mi andava stretta; ero attratto da storie con personaggi diversi, storie "collettive", corali (un esempio di queste idee si trova nelle due storie di Oceano che avevo cominciato a scrivere sempre sul Giornalino), e però la scrittura di queste storie è complessa e laboriosa, richiede tempo e il Giornalino esigeva invece una certa continuità di presenza. L'idea di fermarmi è arrivata progressivamente. Avevo cominciato a scrivere una sceneggiatura avventurosa che si svolgeva su un'isola greca, un'indagine che era anche una caccia al tesoro sommerso, ma a un certo punto mi sono convinto che era troppo difficile continuare. Così il ciclo di Spada si è chiuso con l'episodio "Fantasmi". Per inciso: la sceneggiatura incompiuta apparirà nel quarto volume dell'integrale di Spada.
13) Perché il silenzio (anzi, l'invisibilità) su Spada è durato così a lungo?
Perché la casa editrice del Giornalino partecipava solo marginalmente al "mercato" dei fumetti. Non aveva una vera struttura interna per occuparsi della gestione dei diritti d'autore e di conseguenza la possibilità di ripubblicare o di cedere ad altri i diritti di Spada era poco sfruttata. De Luca, anzi, si era lamentato con me di questo disinteresse. Io mi recai a Parigi a cercare un editore interessato a riprendere le nostre storie, ma non ottenni nulla. Dopo la fine della serie, nell'82, persi i contatti con De Luca, che era alle prese con altri lavori. Così anch'io ho finito col disinteressarmi a eventuali ristampe.
14) È stupito della ristampa di questi anni e del largo consenso avuto da chi si è avvicinato alla lettura delle avventure di Spada per la prima volta attraverso la ristampa integrale o l'iniziativa di "Repubblica"?
Sì, un po' mi ha sorpreso scoprire che tanti lettori della prima ora avevano sperato per anni di vedere una riedizione di Spada. Ed è piacevole vedere nuovi lettori - lettori adulti - attratti da un fumetto di trent'anni fa. Penso che una parte di questo successo sia dovuta anche al fatto che negli ultimi anni la "narrativa per immagini" è stata rivalutata (o, come si dice oggi, sdoganata), liberandosi dall'etichetta di sottoletteratura di consumo per salire al livello nobile di graphic novel. Se ne sono occupati saggisti di tutto rispetto, dimostrando che per i fumetti vale lo stesso criterio di giudizio usato per altre forme narrative: e cioè che buono o cattivo non è il linguaggio in sé ma il risultato. Il fumetto è un linguaggio che ha delle possibilità creative formidabili, e negli ultimi anni sono apparse opere interessantissime. Di conseguenza si è formato un pubblico che apprezza le qualità dei fumetti.
15) Quali sono gli elementi che, secondo lei, hanno decretato il successo di allora e di oggi del Commissario Spada?
Ricordo cosa ci scrivevano i lettori del Giornalino (e i loro genitori): gli elementi che più li colpivano erano la credibilità delle situazioni, lo sviluppo psicologico dei personaggi e la qualità del dialogo. C'erano, nel ciclo di Spada, ambientazioni che stimolavano la fantasia e il desiderio di immedesimazione dei giovani lettori...
Questa mi sembra una domanda da rivolgere a un critico più che a un autore. Per esempio, non saprei dire quale, tra le molte sfaccettature dell'arte di Gianni De Luca colpisce di più il lettore: il realismo, il montaggio delle immagini, la plasticità delle tavole, le innovazioni, l'espressività, il colore (almeno nella edizione originale). Ricordo però cosa ci scrivevano i lettori del Giornalino (e i loro genitori): gli elementi che più li colpivano erano la credibilità delle situazioni, lo sviluppo psicologico dei personaggi e la qualità del dialogo. C'erano, nel ciclo di Spada, ambientazioni che stimolavano la fantasia e il desiderio di immedesimazione dei giovani lettori (penso in particolare a "Il caso della freccia", a "Geronimo" e a "I figli del serpente"). Forse gli ultimi titoli - da "Il mondo di Sgrinfia"a "Fantasmi" - attiravano maggiormente il lettore adulto, ma i più giovani non erano scoraggiati dalla complessità delle storie. I ragazzi apprezzavano il fatto che il tono non fosse approssimativo e convenzionale; il linguaggio era comprensibile, ma il contenuto era il più realistico possibile. Cercavo - entro i limiti imposti dal Giornalino, e qualche volta forzandoli - di disegnare personaggi credibili, approfondendone il carattere e scavando oltre la superficie del cliché (per esempio tutti i lettori, piccoli e grandi, erano colpiti dal realismo a volte anche crudo con cui raccontavo il rapporto padre-figlio). Curavo molto i dialoghi, attraverso i quali i personaggi non solo comunicano tra loro, ma esprimono emozioni che non lasciano indifferente chi legge. Nessuno può dire di conoscere la formula del successo, ma un ingrediente essenziale è il coinvolgimento del lettore.
Termina qui la nostra intervista a Gianluigi Gonano, che ringraziamo nuovamente per la disponibilità. Siamo certi che che le molte chicche contenute nelle sue risposte risulteranno interessanti per gli affezionati (al fumetto e, speriamo, a noi) lettori così come lo sono state per chi scrive.Vedere anche...
Scheda
un poliziotto tutto d'un pezzo nell'Italia degli Anni '70