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Chi ha fatto fuori (per primo) le didascalie? di Francesco Manetti Nell'articolo "Origini, modernità e importanza della più bella saga sul west", sorta di erudita prefazione, assieme agli articoli di Vincenzo Oliva, alla monumentale schedatura degli albi della Storia del West realizzata da Marco Migliori - Franco Spiritelli, tessendo le lodi dello stile di Gino D'Antonio, afferma: "Col progredire dell'opera avvengono molti cambiamenti. [...] la narrazione diventa sempre più cinematografica. Come testimoniato dall'uso consapevole dalle didascalie, all'epoca ancora diffusissime, che vengono ridotte al minimo (sarà Giancarlo Berardi, che di D'Antonio è una sorta di "allievo", a eliminarle definitivamente). L'effetto è straordinario: anziché impoverire la lettura come temevano gli editori che tenevano ad offrire al lettore un tempo di lettura lungo che fosse un'alternativa agli altri intrattenimenti (cioè un'oretta di divertente distrazione), la arricchisce, rendendola più coinvolgente.
Qualche mese fa, leggendo in anteprima le schede realizzate da Migliori, anch'io ero stato colpito dal fatto che, nell'arco di 13 anni (da "Verso l'ignoto" SDW 1 a "La fine della pista" SDW 75), D'Antonio fosse passato dalle lunghe e frequenti didascalie narrative o commentative tipiche dei primi albi di Tex, di Zagor e del Piccolo Ranger a una adesione alla strutturazione cinematografica delle sequenze, giungendo, per l'appunto, all'eliminazione totale di ogni tipo di didascalia, sia di quelle narrative o commentative che delle semplici didascalie di raccordo come "nel frattempo", "poco dopo", "intanto"... Essendo uno sfegatato kenparkeriano, mi ero poi chiesto a chi, fra D'Antonio e Berardi, potesse essere attribuito il "merito" di aver, di fatto, scritto il primo albo bonelliano assolutamente privo di didascalie. La tesi di Spiritelli, come abbiamo letto, è perentoria: D'Antonio avrebbe iniziato a renderle sempre più rare e Berardi non avrebbe fatto altro, col suo Ken Parker, che portare questa tendenza alle estreme conseguenze. Ma è davvero così? Andando a risfogliare gli albi della Storia del West della seconda metà degli anni '70 ci si accorge che, effettivamente, D'Antonio alternava albi nei quali erano presenti didascalie più o meno estese (ad esempio didascalie "poetiche" nelle quali una voce off commentava l'attraversamento di una prateria desolata, per giorni e giorni, da parte di un cavaliere solitario...) ad albi nei quali si potevano trovare anche soltanto due o tre didascalie meramente funzionali (i "poco dopo" e i "nel frattempo" di cui ho già detto). Come dice Spiritelli, l'evoluzione, pur essendo manifestamente in atto, era lentissima e altalenante. Molto piu' rapida e progressiva l'evoluzione nei primi albi di Ken. Escludendo "La ballata di Pat O'Shane" KP 12 (nel quale il ruolo delle didascalie è, per certi versi, svolto dalle strofe della ballata che dà il titolo all'albo), il primo numero di Ken Parker completamente privo di didascalie è "La città calda" KP 13, pubblicato nel luglio 1978. Dopo pochi altri numeri con ancora qualche didascalia, l'assenza di voce off diverrà una peculiarità della serie (fatte le debite eccezioni: si pensi a "Adah", dove la storia è narrata, a distanza di molti anni dagli eventi, da Adah stessa). Nello stesso mese in cui veniva pubblicata "La città calda" usciva però anche "Oklahoma" SDW 56, nel quale le uniche didascalie erano, alle pagine 1, 52, 54 e 55, una banale indicazione di luogo ("Northfield, Minnesota..."), un "A notte" e un paio di "Più tardi". Pochi mesi dopo, nel novembre 1978, il bellissimo "Giorno di gloria" SDW 60 conteneva soltanto, alle pagine 41 e 98, due scarne indicazioni di carattere storico sulla battaglia del Little Big Horn. Malgrado il primo numero della Storia del West completamente privo di didascalie sia "I cavalieri" SDW 67, uscito nel dicembre del 1979, penso si possa dunque affermare che, in realtà, non esiste un rigido rapporto maestro/allievo fra D'Antonio e Berardi, col maestro che traccia per primo la via e l'allievo che decide di percorrerla sino ai limiti estremi. Una risfogliata degli albi della Storia del West e di Ken Parker della seconda metà degli anni '70 sembrerebbe infatti dimostrare come D'Antonio e Berardi abbiano percorso all'unisono lo stesso sentiero, giungendo più o meno contemporaneamente all'adozione di un medesimo stile. Mi piace anzi pensare che, invece del rapporto maestro/allievo al quale potrebbe far pensare la loro differenza di età (D'Antonio è nato nel 1927, Berardi nel 1949...), questi due autori abbiano intrattenuto, in quegli anni, dei rapporti di amichevole collaborazione e di scambio di idee, influenzandosi vicendevolmente. Potrebbe esserne una conferma, ad esempio, il fatto che, a pag.62 dell'ultimo numero della Storia del West, D'Antonio adotti la tecnica del ralenti introdotta da Berardi e Milazzo già nei primissimi numeri di Ken (vedi, ad esempio, la prima striscia di pag. 40 de "La ballata di Pat O'Shane").
Per quel che riguarda, peraltro, l'eliminazione delle didascalie, sarà forse doveroso ricordare che, se non sbaglio, il primo autore italiano che scelse di farne a meno fu, a metà degli anni '60, Max Bunker (alias Luciano Secchi), sin dai primi numeri di Kriminal e di Satanik. Malgrado in questi fumetti il "montaggio" fra le sequenze fosse alquanto rozzo (essendo ben lontano dall'essere fondato, come quello berardiano, sull'analogia o sul contrasto fra due sequenze poste in contiguità, o su effetti di dissolvenza o di apertura su un "totale" del nuovo ambiente...), è dunque indubbio che dovrà essere attribuito al creatore di Alan Ford e di MaxMagnus il merito di aver introdotto, per primo (prescindendo, ripeto, dai risultati effettivi), un modo così "moderno" di sceneggiare.
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