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Un "ritorno al passato" per il Buon Vecchio (Russo) Zio...
Rewind! Stop! Play!
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Seconda storia del balenottero estivo targato Mystère, che vede un deciso ritorno alle atmosfere “mysteriose” di un tempo, secondo la ormai classica sequenza che può essere agilmente sintetizzata nei suoi aspetti più salienti:
rapimento dello scienziato autore della suddetta scoperta; coinvolgimento del BVZM nelle ricerche del suddetto…etc; rapimento anche del BVZM ad opera di questa o quella organizzazione; scoperta dell’immancabile laboratorio segreto atlantideo; lotta tra buoni e cattivi all’interno del suddetto laboratorio, con conseguente distruzione di quest’ultimo (nonché della straordinaria scoperta); rocambolesca fuga nel finale. ![]() Il plot in questione, che prende l’avvio della cosiddetta “fotografia Kirlian” (in merito alla quale si rimanda alla scheda della storia), è anche l’occasione per rivedere alcune vecchie conoscenze del BVZM come l’ex-colonnello del KGB Strokov e la bella ESPer russa Nadia (visti nei n.22-24, 109-111 e 176-177), e la storia in definitiva scorre via abbastanza piacevolmente, nonostante un paio di passaggi leggermente “tortuosi”.
Probabilmente, “La macchina del tempo” non avrebbe neanche tanto sfigurato qualora fosse comparsa sulla serie regolare, ma è abbastanza chiaro come il passaggio della testata alla bimestralità, previsto per il 2005, abbia comportato tutta una serie di conseguenze (di carattere principalmente organizzativo) che hanno reso necessaria una ri-allocazione di parecchie storie, che magari aspettavano “in giacenza” già da tempo. Accanto alla pars destruens c’è però anche qualche cosa di positivo da sottolineare, quantomeno in relazione ai personaggi: è il caso del boss mafioso Alexis Romanov, sedicente discendente della dinastia degli ultimi zar di Russia il quale, in qualità di villain, viene ritratto come spesso accade in maniera piacevole, forse un po’ sorniona, ma di sicuro con maggior cura rispetto ai “buoni” che, in quanto tali, si limitano a “farsi sceneggiare” senza incedere in alcun sprazzo di personalità.
Anche sul versante dei disegni prevale la linea del già citato “mestiere”: Paolo Ongaro confeziona entrambe le storie di questo maxi senza la presunzione di raggiungere vette eccelse, bensì rimanendo fedele ad uno stile tutto sommato uniforme, e da un certo punto di vista la cosa non è in sé negativa. |
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