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" La macchina
del tempo"


TESTI
Luca Galoppo
DISEGNI
Paolo Ongaro

Pagine correlate:

Nello stesso albo:
"Gli uomini rettile"

Un "ritorno al passato" per il Buon Vecchio (Russo) Zio...

Rewind! Stop! Play!
recensione di Oscar Tamburis

Seconda storia del balenottero estivo targato Mystère, che vede un deciso ritorno alle atmosfere “mysteriose” di un tempo, secondo la ormai classica sequenza che può essere agilmente sintetizzata nei suoi aspetti più salienti:

  1. annuncio di una straordinaria scoperta (con relativa presenza del BVZM all’evento);
  2. rapimento dello scienziato autore della suddetta scoperta;
  3. coinvolgimento del BVZM nelle ricerche del suddetto…etc;
  4. rapimento anche del BVZM ad opera di questa o quella organizzazione;
  5. scoperta dell’immancabile laboratorio segreto atlantideo;
  6. lotta tra buoni e cattivi all’interno del suddetto laboratorio, con conseguente distruzione di quest’ultimo (nonché della straordinaria scoperta);
  7. rocambolesca fuga nel finale.
Una sequenza che ovviamente, nel tempo, si è prestata ad un congruo numero di varianti – ad esempio, l’organizzazione che opera “dietro le quinte” è, in questo caso, la mafia russa, mentre la straordinaria scoperta è quella di una videocamera capace di “filmare” il passato – ma che continua ad esercitare un discreto appeal, specie nei confronti di quel “lettore medio” che è attore di spicco all’interno della politica editoriale della Bonelli, e per il quale un albo del genere rappresenta un sicuro prodotto di richiamo.

Il plot in questione, che prende l’avvio della cosiddetta “fotografia Kirlian” (in merito alla quale si rimanda alla scheda della storia), è anche l’occasione per rivedere alcune vecchie conoscenze del BVZM come l’ex-colonnello del KGB Strokov e la bella ESPer russa Nadia (visti nei n.22-24, 109-111 e 176-177), e la storia in definitiva scorre via abbastanza piacevolmente, nonostante un paio di passaggi leggermente “tortuosi”.

Probabilmente, “La macchina del tempo” non avrebbe neanche tanto sfigurato qualora fosse comparsa sulla serie regolare, ma è abbastanza chiaro come il passaggio della testata alla bimestralità, previsto per il 2005, abbia comportato tutta una serie di conseguenze (di carattere principalmente organizzativo) che hanno reso necessaria una ri-allocazione di parecchie storie, che magari aspettavano “in giacenza” già da tempo.
Ritornando quindi alla sequenza iniziale, purtroppo storie del genere presentano il grosso handicap di rielaborare, in forma sempre diversa, un copione già noto, così che i pur validi spunti di partenza rimangono fondamentalmente “intrappolati” tra le peculiarità delle “varianti” di cui sopra. A volte in situazioni del genere il supporto fornito da un buon lavoro sulla sceneggiatura riesce quantomeno a calibrare in maniera efficace il ritmo tra i diversi momenti della storia (come accade – abbastanza – puntualmente negli speciali estivi annuali); più spesso però gli autori preferiscono rimanere nell’alveo del cosiddetto “mestiere”, producendo un lavoro che, seppur apprezzabile al momento, non fa altro che ingrossare le file del “carino, ma in definitiva dimenticabile”.

Accanto alla pars destruens c’è però anche qualche cosa di positivo da sottolineare, quantomeno in relazione ai personaggi: è il caso del boss mafioso Alexis Romanov, sedicente discendente della dinastia degli ultimi zar di Russia il quale, in qualità di villain, viene ritratto come spesso accade in maniera piacevole, forse un po’ sorniona, ma di sicuro con maggior cura rispetto ai “buoni” che, in quanto tali, si limitano a “farsi sceneggiare” senza incedere in alcun sprazzo di personalità.

Anche sul versante dei disegni prevale la linea del già citato “mestiere”: Paolo Ongaro confeziona entrambe le storie di questo maxi senza la presunzione di raggiungere vette eccelse, bensì rimanendo fedele ad uno stile tutto sommato uniforme, e da un certo punto di vista la cosa non è in sé negativa.
Mettendoci quindi ancora una volta nei panni – e negli occhi – del famoso “lettore medio” così caro agli inquilini degli edifici di via Buonarroti, dalle quasi 300 pagine del Maxi viene fuori un Martin Mystère dai tratti riconoscibili, dal segno grafico pulito, e coinvolto in due avventure assolutamente non spiacevoli. Un prodotto “medio”, magari (chissà?) da intendersi alla lunga nel senso latino di quella medietas presso cui aveva sede la virtù – forse in questo caso la capacità di presentarci un ABVBVZM (Ancora Buon Vecchio “Buon Vecchio Zio Marty” :-)).
 

 


 
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