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L'innocenza uccide
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Nel leggere e nel recensire questa nuova uscita per la Shin Vision mi trovo nella spiacevole situazione di chi "ha l'impressione di aver dimenticato qualcosa", ma non sa se si tratta di una banale luce accesa o di un meno banale rubinetto del gas aperto. Quale che sia l'ipotesi valida, la percezione è: "non dovrei essere così tranquillo" nello scrivere queste righe. Leggendo "Gunslinger girl" infatti, la mia prima reazione è stata di angoscia. Viene infatti messa in scena una delle più classiche prospettive fantapolitiche "pessimiste": una istituzione segreta che usa adolescenti, anzi bambine, come armi per "operazioni sporche", dall'eliminazione di un gruppo terrorista a quella di un politico scomodo. Non basta però certamente questo a giustificare la percezione anomala di cui parlavo, dopotutto le "giovani armi da guerra" sono un leit-motiv abbastanza diffuso nell'immaginario nipponico. Solo per fare un esempio recente, la co-protagonista di "Angel Heart", interessante sequel di "City Hunter", è una efficientissima ex-killer formata fin da bambina all'omicidio a sangue freddo. Ma andando più indietro viene in mente il Progetto Cosmos che avrebbe creato, tra tanti supersoldati bambini, anche il ribelle Yu Ominae alias "Spriggan". Quello che aggiunge un valore di "inquietudine" all'opera dell'esordiente Yu Aida è, però, il particolare punto di vista adottato.
Quello che accade dietro le quinte è, però, molto meno edificante: le ragazzine vengono dotate di un corpo praticamente indistruttibile e adatto, come si anticipava, a operazioni di omicidio per conto del governo. Operazioni per cui ricevono un addestramento e un condizionamento specifico. Trattandosi di "unità" dall'autonomia limitata, soprattutto a causa delle droghe, e dal comportamento non completamente prevedibile, ad ogni ragazzina viene affibbiato uno e un solo "fratello": un adulto, anche detto "responsabile", a cui deve ubbidire e che è condizionata a proteggere a costo della vita. "Gunslinger Girl" si concentra, appunto, sulle vicissitudini di queste coppie di "fratelli" prendendo comunque sempre come riferimento la "ragazzina-robot". Nel primo volume vengono quindi presentate le coppie che, presumibilmente, ci accompagneranno per il resto dell'opera. Si comincia con Henrietta, che ha perso i genitori, gli arti e l'innocenza in un massacro orrendo perpetrato da qualche ignoto serial killer. Distrutta nel corpo e nello spirito viene scelta da Jose, "responsabile" poco adatto al ruolo: troppo empatico, troppo preoccupato per la sua giovane partner e per l'effetto che le droghe possono avere sulla mente e la memoria di lei. D'altra parte egli è ben conscio che ciò che ella ha vissuto sarà meglio non venga mai ricordato. Come conseguenza, il giovane diventa "tutto il mondo" di Henrietta con non poche complicazioni professionali.
Di pasta ben diversa e Jean, che chiama Jose "fratello" (pur non essendo chiaro se lo sono veramente). Pratico ed efficiente, ha scelto come "strumento" Rico e come tale la usa. Rico da parte sua ha vissuto undici anni su di un letto di ospedale a causa di una malattia congenita e "L'Ente" è la prima realtà che può finalmente conoscere con i suoi sensi. Di questa nuova vita ama ogni cosa e ogni piccolo particolare e per continuarla è disposta a tutto: sopportare i metodi di Jean o uccidere un innocente.
Come detto è il "punto di vista" a fare la differenza. "L'Ente" non è "L'Impero del Male" che incombe sulla storia, ma la casa stessa delle protagoniste, il luogo in cui si sviluppano i loro dialoghi, le loro storie, i loro desideri, le loro crisi esistenziali. Le storie iniziano sempre con il contatto con i responsabili e la sceneggiatura non prescinde neanche un secondo da questa presenza. Così il lettore deve "vivere" fianco a fianco con quello che normalmente sarebbe "l'abominio" e la sceneggiatura glielo rende normale e accettabile.
Gli ambienti, da parte loro, sono asettici e dominati da tonalità chiare, una pulizia che pare sbattere in faccia al lettore il fatto che, alla fine, tutto avviene alla luce del sole, con gli occhi giusti chiusi per dovere o per forza. Anche in questo caso la dimensione della "congiura" che creava "l'eccezionalità" del male, viene a mancare. Le tavole, infine, sono costruite in maniera professionale, senza eccessi nè in senso positivo nè in senso negativo. Funzionali.
Detto questo, però, mi trovo di fronte ad un fumetto di intento apparentemente ludico che mi ha dato parecchio da riflettere. Per un soggetto del genere, così alieno a quello che il mio senso comune riteneva "raccontabile" ancora mi chiedo se l'autore ha spregiudicatamente messo in campo un soggetto anomalo per il puro gusto della storia, se esiste un intento di spietata provocazione, oppure se stiamo assistendo ad una nuova leva di narratori che, con l'Hiroki Endo di "Eden" e Takahashi Shin di "Saikano" si compiacciono di una narrazione disperatamente cinica della "fine della storia". Dedico tanto spazio all'impressione personale proprio per definire l'unica conclusione certa su questo fumetto: se non evocherà nel lettore lo stesso disagio evocato nel vostro modesto recensore, rischierà di essere dimenticato in fretta. Questa "banalità" di una situazione assolutamente "inumana", infatti, è il suo maggiore punto di forza. Ci troviamo di fronte a uno di quei casi in cui lo scontato "o lo si ama o lo si odia" non si applica ed entra in vigore la ben più pericolosa dicotomia tra il restarne affascinati o lo scoprirsi totalmente indifferenti. Purtuttavia, bisogna dar credito alla Shin Vision dell'ennesima ardita scommessa presentata al lettore, il che non guasta mai, in una confezione ben curata.
Gunslinger Girl di Yu Aida |
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