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Ci mancava giusto Martin Mystère a turbare i già sufficientemente agitati sonni di Nathan Never... E questa volta il detective dell'impossibile e l'agente privato del futuro dovranno far fronte, nella miglior tradizione degli eroi bonelliani, alla minaccia estrema, l'estinzione del genere umano.
Uomini sull'orlo di una crisi di nervi
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C'è forse al momento un solo sceneggiatore che sia in grado di fondere in modo accettabile due personaggi diversi come Martin Mystère e Nathan Never. L'autore in questione è Vincenzo Beretta, al quale giustamente è stato affidato questo secondo team-up tra il detective dell'impossibile e l'agente speciale del futuro. Beretta ha certamente dimostrato che le speranze riposte in lui non erano soltanto utopie, e lo ha fatto costruendo una storia lunga e poderosa, nella quale, al brio e all'erudizione tipicamente Mystèriani, ha saputo contrapporre una scatenata corsa contro il tempo dai caratteri decisamente più Neveriani. Caratteristica saliente della storia è proprio l'equilibrio interno della narrazione, che si sviluppa prevalentemente come un lungo flashback, rievocato inizialmente attraverso gli scritti di Martin, poi dalle parole di Nathan. L'effetto è piacevole e permette all'autore di calcare la mano sulle differenze caratteriali dei due protagonisti, accentuando dell'uno la tendenza a romanzare e a rendere vagamente surreali i fatti (si vedano le prime sequenze dell'avventura, dove i dialoghi sono forbiti e i personaggi assai brillanti), dell'altro le inclinazioni introspettive e spesso disfattiste (ad esempio, vengono evidenziate maggiormente le frustrazioni di Nathan, che si sente fuori posto in un'operazione dai caratteri marcatamente spirituali e mistici). Il contrasto tra le due sezioni in cui è divisa l'avventura è accentuato inoltre non solo dai diversi toni della narrazione, ma anche dalla stessa evoluzione dei protagonisti, in particolare di Nathan, alle prese con l'eterno dilemma dualistico tra "razionale e mistico".
Interessante notare il risretto numero di personaggi utilizzati da Beretta, nonostante la lunghezza faraonica dell'albo. Se si fa eccezione per le tre ragazze, l'avventura si dipana di fatto come un "a solo" di Martin e Nathan, dove l'intelligenza fine del primo e la risolutezza del secondo vengono messe a dura prova. Ed è proprio grazie alla relativa solitudine nella quale i due sono immersi che abbiamo l'occasione di vedere approfondite alcune tematiche psicologiche piuttosto forti. Tra tutte spicca il dilemma esistenziale di Martin, sospeso tra il bisogno di sentirsi nuovamente uomo e la tentazione di sfruttare la propria invidiabile condizione di immortalità robotica.
Il soggetto dell'albo è molto ambizioso. In primo luogo, sostenendo l'impossibilità della conformazione geologica del pianeta Terra, Beretta va a minare una delle grandi fondamenta del mondo di Nathan, con un effetto destabilizzante non solo sui personaggi, ma anche sugli stessi lettori del musone, che si vedono introdotti "a tradimento" elementi mistico-magici completamente estranei alla tradizione della serie.
In questo contesto metafisico-fantascientifico si inseriscono le figure delle tre "belle addormentate" di Altrove, figlie illegittime, fumettisticamente parlando, della defunta Magic Patrol. E' proprio nella definizione delle loro personalità che Beretta mostra tutti i pregi e i difetti della sua scrittura. L'autore da una parte sembra infatti non riuscire a scucirsi di dosso l'insana abitudine di incollare ai propri personaggi una patina di surrealismo, che purtroppo troppo spesso sfiora la demenza. Si vedano ad esempio le sequenze del risveglio delle ragazze o il tormentone della mistica bacchetta. Licenze, per dirla tutta, più da speciale estivo di Martin Mystère (a proposito, Michelle caratterialmente ricorda molto Angie), piuttosto che da altrove impegnatissimo team-up. D'altro canto Beretta ha il coraggio di dare spessore ai propri personaggi e, se necessario, anche di portarli alla morte. Così le belle agenti di Altrove, da macchiette senza apparente ragion d'esistere, assurgono al ruolo di alte figure di un'ideale tragedia greca.
Caducità non solo della vita, ma anche dei sentimenti: la storia si apre infatti con l'ennesima crisi tra Nathan e Hadija, litigio che viene rimandato solo dall'arrivo di Martin. E lo stesso detective dell'impossibile accenna anche alla fine della propria storia con Uma, la donna conosciuta cinque anni prima.
Poste queste premesse, ci si chiederà il perchè di una valutazione così ordinaria in sede di sceneggiatura.
Le ragioni sono molteplici: innanzitutto in questa storia c'è sì tanto da dire, ma questa grande mole di materiale di discussione non è bilanciata adeguatamente dal fattore qualità. Gli spunti di riflessione spesso rimangono tali e, se sviluppati, vengono banalizzati con dialoghi prolissi e vuoti, raramente capaci di colpire nel segno. Le tematiche vengono più che altro date in pasto al lettore, senza che esse abbiano un reale riscontro sull'agire dei personaggi. ![]() ![]() ![]()
La prova di Gino Vercelli, già autore del primo team-up, è purtroppo inferiore alle attese. Oltre alla consueta essenzialità del tratto (altrove un pregio, specie in alcune storie di Martin Mystère disegnate in passato) si nota una scarsa dimestichezza nel padroneggiare la figura di Nathan, il cui viso è poco omogeneo e eccessivamente squadrato. Molto meglio Martin, interpretato in modo personale e deciso, senza per questo costituire un allontanamento dai canoni Alessandriniani. Peccato tuttavia che talvolta Vercelli, al fine di cercare mimiche un po' più azzardate, sporchi i suoi volti con linee di definizione pesanti ed eccessivamente marcate (si veda ad es. l'intera tavola di pag.84). Banale l'uso del retino, steso in maniera uniforme, senza la minima sfumatura. L'effetto è dunque quello di un disegno un po' datato, per il quale vale lo stesso discorso fatto con Francesco Bastianoni nella recensione di NNsp10. ![]() ![]() ![]()
Copertina di Vercelli non particolarmente interessante, ma ben impostata come costruzione.
Nel complesso una storia piacevole e piuttosto originale, anche se un tantino pretenziosa. La formula del team-up, anche se invisa a Bonelli, indubbiamente piace e, cosa non da poco, sembra anche stimolare la fantasia degli autori. Inutile dire che speriamo di vedere ripetersi in futuro questo tipo di operazione, anche se non proprio nell'immediato avvenire.
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