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La pazzia, il male, la paura: i tre veri protagonisti di questo numero di Napoleone, che fanno di questa storia uno dagli episodi più noir dell'albergatore ginevrino.
Il guanto di sfida
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Questo numero 14 potremmo definirlo un numero "normale" di Napoleone: un buon numero routinario, con sequenze ben sceneggiate e qualche debolezza qua e là. Commentando Napoleone n.7 "Il tesoro d'argilla", il nostro Paolo Ottolina scriveva: "mentre su altre serie bonelliane si arriva al termine di una storia di pari livello con un senso di noia e (magari) di fastidio, questo non capita su Napoleone.".
Eppure qualcosa, nelle sceneggiature di Carlo Ambrosini, riesce ad arrivare al lettore come un piccolo tesoro.
Partiamo dalla prima scena: una mattina come le altre, alla portineria dell'hotel Astrid. Napoleone scambia gentilezze formali con clienti perfettamente sconosciuti che vanno e vengono, finchè non capita qualcosa di assolutamente fuori luogo. Nella freddezza asettica della situazione improvvisamente qualcosa colpisce il vivo: Mapplethorpe ha una reazione spropositata, e tratta con disprezzo uno sfortunato ometto che ha avuto la ventura di chiedere una piccola cortesia. Napoleone si trova in mezzo e si vede sfidare ad un anacronistico duello, con una risolutezza e una sicurezza che lasciano l'albergatore nello sconcerto.
La scena successiva: di nuovo la normalità, le piccole rogne di ogni giorno. E la ricerca di un po' di quotidianità rassicurante. Le bancarelle di un mercato, ancora una moltitudine di gente che si parla senza avvicinarsi realmente. E di nuovo, un'irruzione nel privato del protagonista: le condizioni del duello, i dettagli dell'incontro. La reazione di Napoleone a questo punto è l'infantile "non ci gioco più". E poi, Lucrezia, che cerca un demone terribile e si trova innanzi un caprone violento e zotico. Niente fascino della tenebra, come nel "Master di Ballantrae" di Stevenson: il male è una delusione su tutti i fronti. Solo squallido e stupido, un Diavolo da quattro soldi. A questo punto dell'albo (siamo a pag.26) Ambrosini ha già suscitato nel lettore lo stato d'animo che voleva trasmettere. Ci sentiamo intrappolati in una situazione insensata, sentiamo d'essere in pericolo senza capire le ragioni del nostro avversario. Ci sentiamo trascinati via dalle sicurezze quotidiane e coinvolti nostro malgrado in un vortice inarrestabile di violenza per uno stupido capriccio.
Di qui in poi, la storia prosegue per conto suo. Ambrosini ha già portato i suoi lettori in cima alla collina: da lì, la strada è in discesa, le reazioni a catena.
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Non possiamo che concordare con l'affermazione in quarta pagina di questo numero di Napoleone: Gabriele Ornigotti in questa seconda prova convince senz'altro più che nella prima (il già citato Napoleone n.7, "Il tesoro d'argilla"), meritandosi, insieme a Matteo Piana, un'ampia sufficienza. Purtroppo il difetto maggiore sta nella non sufficiente continuità: alcune vignette appaiono peggio realizzare di altre. Ben riuscito l'uso delle chine, meno massiccio che nel n.7, ed efficace nel sottolineare i momenti più cupi. ![]() ![]() ![]()
La parte onirica di quest'albo è davvero molto bella e coinvolgente, e funziona a meraviglia pure nei risvolti divertenti, come gli strali di Zeus a Boulet dopo l'uccisione di Pan. Eppure, come già detto, pregi e difetti passano in secondo piano e la storia si può dire riuscita. "Quando non c'è una parola per chiamare una sensazione, si racconta una storia" (A. Baricco, parlando del suo Racconto "Seta"). E Ambrosini è davvero abile nel raccontare sensazioni attraverso le sue storie.
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