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Un mercenario folle e sadico cerca la sua vendetta per le strade di New York, seminando il panico tra le mogli degli agenti della squadra della Buoncostume. Sarà Nick a mettere la parola fine alle sue crudeli imprese
C’è del marcio alla Buoncostume
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Se esiste una forma particolarmente vigliacca di vendetta, è certamente quella trasversale, che colpisce gli innocenti. Ed è questa la "rappresaglia" di cui parla la presente avventura di Nick Raider : la vendetta messa in atto dal mercenario Kurt Wagner, detto il "capitano", nei confronti di alcuni membri della squadra della Buoncostume del 32° distretto, per lo stupro e l’uccisione di sua sorella Ursula, un’infermiera, perpetrato dai poliziotti anni prima degli avvenimenti di questa storia. L’uomo ha solo un nome di battesimo - Michael - di uno degli assassini/poliziotti per cominciare la sua vendetta; e così comincia ad uccidere le mogli di tutti i Michael della Buoncostume. E’ da qui che possono partire le indagini di Nick. Un Nick in buona forma, per una buona storia: il soggetto - tutto in quanto detto sopra - pur nella sua essenzialità (o forse proprio per questo) è apprezzabile; la sceneggiatura si dipana senza incertezze né pecche di gran conto, portando per mano - condotto da Nick - il lettore alla sua logica conclusione. Il lettore sa da subito chi è l’assassino delle mogli, ma fino alla fine gli rimane sconosciuto il movente di Kurt, che è intuibile, certo, e forse lo avrebbe potuto essere anche per Nick da subito, se la particolarità della "professione" di Kurt non ampliasse lo spettro delle possibilità. I personaggi sono tutti funzionali alla storia e nulla più (e in questo inappuntabili), compreso Kurt Wagner, che forse avrebbe potuto essere sviluppato maggiormente: Nick Raider, per altro, resta sostanzialmente una serie gialla d’azione, e probabilmente non è lecito né giusto aspettarsi qualcosa di diverso da ciò. Nick è il solido, rigoroso, uomo di legge che ben si conosce.
E’ una chiusura un po’ retorica - come il personaggio del resto - ma anche sobria: la sobrietà resta, infatti, la cifra più vera del personaggio e dell’uomo Nick Raider. L’abito di puri meccanismi narrativi cucito da Alfredo Nogara addosso agli attori di questa avventura, va anche stretto, per un attimo, al tenente Art Rayan.
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A disegnare questa storia doppia, il veterano di mille battaglie Renato Polese. Tra i disegnatori bonelliani di più antica militanza, Polese ha sempre saputo garantire un lavoro quantitativamente rilevante ed una qualità comunque dignitosa. Con il tempo il suo tratto si è fatto più pulito ed essenziale, più sintetico. Non ne ha granché guadagnato l’espressività dei volti, troppo spesso freddini e stereotipati: Marvin appare ingessato in un’apatica indifferenza; troppi volti femminili (Glenda, Miriam, Mary) appaiono inespressivi, privi di vita ed anima. Lo stesso Kurt Wagner non trae profondità dalla sua truce caratterizzazione da duro; perfino Art, nella scena madre del n.131, il confronto con il capitano Phil Vance alle pagg.66/67, non va oltre quella certa piattezza espressiva dell’abituale stile di Polese. Dove però questo artista di lungo corso si riscatta, è nella rappresentazione complessiva di un’umanità inferiore ai propri sogni e assolutamente aderente alla propria realtà. Quel tratto sghembo, ruvido, all’apparenza tirato via, pesantemente chinato; quelle figure umane un po’ storte, quei volti deformati; tutto questo fornisce l’idea di un’umanità che non è certo quella gran cosa che alle volte crede di essere; un'umanità spesso laida. Idea che si attaglia perfettamente ad una serie come Nick Raider. Buona anche la caratterizzazione di Nick, anche perché le sue caratteristiche di integerrimo e un po’ rigido difensore della legge si sposano bene con il tratto di Polese.
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Nel complesso, dunque, un buon albo: classico, un buon plot, personaggi non banali, una storia ben confezionata. Del resto Nick Raider ha uno standard medio tutt’altro che indegno. Forse, però, è proprio questo suo essere un prodotto di buona fattura, ma irrimediabilmente classico, e con un protagonista che è il non meno classico "duro ma buono" , a condannarlo ad essere una delle serie bonelliane meno vendute e popolari (anche se lo "zoccolo duro" dei suoi fans sembra essere particolarmente agguerrito).
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