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Storia del West:
una visione romantica ed epica

di Vincenzo Oliva

Per i dati di carattere cronologico e documentale sulla serie, si vedano il Tutto di carta, la cronologia e le schede dei nn. 1, 2, 3, 4, 5.

L'amore. E con l'amore le donne. Prima e più di Giancarlo Berardi in Ken Parker , è Gino D'Antonio a dare all'elemento femminile il corretto spazio che questo occupò nella colonizzazione dell'ovest americano.

In precedenza, sulle pagine di Tex, G.L. Bonelli si era limitato, nella rappresentazione dell'universo femminile in salsa western, alla classica duplice raffigurazione della donna: santa o peccatrice. Non si usciva dagli estremi della madre e sposa perfetta (Lilith) e della lady più o meno dark (per tutte: doña Manuela ).

D'Antonio presenta invece una galleria di ritratti di donne a tutto tondo (anche se poi la verosimiglianza storica di queste sue donne resta a volte dubbia); sia le figure di primo piano, che le protagoniste di uno o un paio di episodi.

Sicaweja, Brenda , Belinda Hall e Lily hanno nella narrazione un'importanza equivalente ai protagonisti maschili, benché non una presenza quantitativamente pari. E queste quattro figure ben rappresentano le molte sfaccettature dell'amore, come anche il west non poté non vedere. Sicaweja e Brenda, più rassicuranti, più "coniugali", specie Brenda, la maestrina che fa mettere giudizio al mezzo selvaggio Pat MacDonald, mentre Sicaweja non dimentica il suo sangue indiano. Belinda e Lily sono le rappresentanti di una femminiltà infinitamente più conturbante, di amori avventurosi e pericolosi.

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Bill Adams alla deriva.
Belinda Hall fa da ancora.
(c) SBE

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La dolce Lily ritrova il suo Ben
perso nei suoi pensieri
(c) SBE

Ma se il personaggio di Belinda, il più complesso di quelli femminili è destinato a vedere una conclusione positiva per il suo sofferto rapporto con Bill Adams, Lily è il mezzo attraverso il quale l'autore ha voluto inserire nella sua saga un grande dramma d'amore. La conclusione tragica della vita di Lily, tuttavia, non ripete gli schemi classici della "donna perduta" texiana: troppo viva e vera la sua figura. E se è vero che D'Antonio non sfugge inizialmente a questo schema (e al suo doppio "lilithiano") - proponendo nei capitoli iniziali, Sicaweja a parte, due donne commoventi e narrativamente già raffinate, ma ancora troppo legate ad una vecchia concezione del femminile come la Regina Duarte dei nn. 6 "Comancheros" e 7 "Soldati di ventura" e la Ai-Sha del n.11 "Le grandi pianure" - in seguito lo spazio e l'approfondimento concessi alle principali protagoniste lo liberano dalle vecchie convenzioni. Belinda e Lily sono entrambe, nella loro diversità, donne moderne, emancipate, che trattano da pari a pari con gli uomini, specie Belinda: basti vedere il confronto che D'Antonio imbastisce per lei con un Pat MacDonald roccioso e duro come non mai in "Verdi pascoli", dove duettano e battibeccano, mettendo in competizione due modi di vivere, pensare, concepire il mondo. Ma pur nelle differenze, la filosofia di fondo, l'onestà, è quella; e il rispetto tra loro fa finire il "match" in perfetta parità.

Ma non sono queste le sole donne che l'autore faccia scendere in campo. Costanti, a volte più discrete altre volte più sulla scena, le presenze femminili si ritrovano per tutta l'epopea di "Storia del West". Da Tess, la prostituta madre di Lily, alla Millie de "I conquistatori" (n.51), ritratto credibile se non proprio verosimile di una donna della frontiera, fino ad Ursula, la ragazza che fa mettere la testa a posto a Ben MacDonald , lo scapestrato di famiglia, ma che arriva troppo tardi sulle pagine della saga per affiancare i personaggi femminili più importanti, è una galleria ricca di umanità quella che sfila sotto gli occhi del lettore.

La realtà storica. La tematica della verità storica nell'ambito della "Storia del West" è profondamente intrecciata con quella che segue.

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il sogno di Tecumseh
(c)1967 SBE

Infatti, la visione che D'Antonio dà dell'ovest americano e della sua colonizzazione è certamente epica e con profonde venature nostalgiche e romantiche, e fortemente filtrata dalla sua visione eroica dei "facitori di storia". E' così che il vero volto della storia è da ricercarsi non tanto nei grandi avvenimenti, da Alamo al Little Bighorn, da Sand Creek a Wounded Knee, o nei personaggi storici ritratti, da Kit Carson a Wild Bill Hickock a Wyatt Earp, quanto piuttosto nella rappresentazione degli aspetti più quotidiani, più "normali" della vita dell'epoca. A partire proprio da quella famiglia MacDonald che con le sue gesta, le sue gioie e i suoi dolori, è il fil rouge che dà unità alla serie.

Ridotta alle sue caratteristiche essenziali, la famiglia MacDonald è un'invenzione credibilissima, un gruppo come ve ne furono, o comunque avrebbero potuto esservene, tanti all'epoca.

Il capostipite è un immigrato europeo che, sbarcato sul suolo del nuovo mondo, selvaggio ma ricco di prospettive, vivrà varie vicissitudini, sposerà un'indigena - formando una delle tante coppie miste che vi furono all'epoca - e morirà in uno dei tanti eventi violenti di un'età di violenze (che questo accada proprio ad Alamo è un elemento che aggiunge pathos alla storia, ma non certo inverosimile). Il figlio è uno dei tanti, tantissimi uomini di quell'epoca: passerà attraverso le vicende più varie, svolgendo i lavori più disparati, conoscendo le persone più diverse, finché sposerà una delle tante vedove che dovettero esservi all'ovest (e che vedove non restavano a lungo!), con figlio a carico. L'avventuriero si trasforma così in un ranchero, mette al mondo dei figli e si prepara una vecchiaia serena, in un mondo che andava progressivamente perdendo i suoi caratteri più rudi.

La generazione successiva vivrà divisa l'esperienza della guerra civile (Bill agente segreto per il nord, Ben giovanissimo soldato del sud), come accadde ad innumerevoli vere famiglie. Al termine della guerra affronteranno l'epoca più classica della frontiera scorrazzando in lungo e in largo, a volte anche trovandosi dal lato sbagliato della legge - e come avrebbe potuto essere diversamente, in un mondo così caotico, anche se per esigenze narrative D'Antonio fa sì che si tratti del classico errore giudiziario - frequentando buone e cattive compagnie. Fino a quando l'età della frontiera si chiude, tra nuovi e vecchi errori, tra nuove e vecchie speranze.

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Millie con Ben MacDonald da "I conquistatori"
(c) SBE

E la realtà storica traspare anche dagli eventi e dai personaggi minori descritti. Tanti, troppi per essere enumerati, se non a livello d'esempio, se non al livello di ciò che più ha colpito il sottoscritto. Ecco allora la dura vita di un villaggio di indiani Pueblos (n.16 "Gli scorridori"); il viaggio di un gruppo di mormoni verso la "terra promessa" ad ovest (n.17 "Orizzonti lontani"; lo sguardo ai costumi ed alla vita di popolazioni - quelle della costa pacifica degli Stati Uniti - pressoché ignorate dai media che hanno celebrato l'epopea western (nel n.44 "La costa lunga" protagonisti sono i Nootka); Millie e suo nonno, che nel già citato "I conquistatori" proclamano orgogliosamente la superiorità propria e degli altri umili contadini come loro, gli "spaccazolle", sugli uomini d'arme e d'azione, affermando la propria funzione di veri colonizzatori delle terre dell'ovest (e se questa coscienza appare improbabile in poveri contadini ignoranti, il concetto è sicuramente valido). Ed altri, eventi e personaggi, che danno a "Storia del West" quel suo particolare sapore di autentica rappresentazione di una grande avventura umana, carica delle sue vergogne e delle sue virtù, della nobiltà e della meschinità degli attori coinvolti.

La finzione narrativa. In stretta correlazione, come dicevo, con il rispetto della realtà storica della frontiera, è quel quid che nasce dalla fantasia e dal desiderio di sognare dell'uomo D'Antonio, e che trasforma in creazione letteraria ciò che altrimenti sarebbe pura cronaca.

E' da questa esigenza di trasporre la storia in narrazione documentata ma non documentale, in fiction (in invenzione narrativa, dunque), che nascono le figure storiche in "Storia del West". Oltre che dalla visione epica della storia. Tutti i personaggi storicamente reali che popolano le pagine della "Storia del West" sono - come esseri umani - profondamente autentici e verosimili nel loro agire, nelle loro motivazioni, e profondamente umani, per primo quel Wild Bill Hickock che è uno dei principali attori della serie (si veda la scheda); ma sono anche generalmente lontani da quello che dovette essere la loro natura storicamente vera. Uomini (e donne) veri, dunque, ma non necessariamente personaggi storici veri. Il significato simbolico dell'epoca storica è, per l'autore, molto più importante dei protagonisti che la vissero, e che nella sua opera sono al servizio di quella, per rafforzarne il valore simbolico.

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Nuvola Rossa vecchio e amaro
(c) SBE
   
 
Forse Hickock non fu così nobile, forse Billy the Kid e Wes Hardin non furono altro che giovani tagliagole e non i romantici e sfortunati avventurieri di Gino D'Antonio, anzi, sicuramente; ma in fondo oltre che personaggi della storia essi sono personaggi della moderna mitologia, e - nel rispetto degli avvenimenti come si svolsero - è perfettamente lecito sognare in un'opera narrativa. Ha scarsa importanza, dunque, che Calamity Jane non fosse la bella ragazza disegnata da Polese e Tarquinio, così come scarsa importanza ha il fatto che non fossero sempre così fieri e nobili i capi indiani di cui possiamo ammirare la fierezza e la nobiltà nel corso della saga. "Storia del West" è una grande rappresentazione, e i suoi attori recitano, nel rispetto della verità intesa in senso generale, ma secondo un copione scritto per affascinare e perpetuare la leggenda e in funzione delle necessità narrative.

Ecco perché Sacagawea, si trasforma in Sicaweja, e da moglie-bambina del trapper Toussaint Charbonneau (e non Touissant), diventa la moglie di Brett MacDonald. Anche Sicaweja, come la storica Sacagawea, partecipa alla spedizione di Lewis e Clark, è una principessa shoshone, ha un figlio dal suo uomo nello stesso lasso di tempo (1805/06).

Alla necessità di avere un personaggio comunque "centrale" nella saga, un personaggio di raccordo, è invece da ascrivere, con molta probabilità, la questione dell'età "ritardata" di Pat MacDonald. Sin da subito D'Antonio si trova nella necessità di mostrare Pat molto più giovane di quanto non dovesse essere: già nel n.4 "Gli invasori" il Pat preadolescente che viene mostrato dovrebbe avere circa 20 anni; nel n.5 "Alamo" Pat dovrebbe aver superato la trentina, ma quello che vediamo è un giovane poco fuori dall'adolescenza. Questo "peccato originale" proseguirà poi nel tempo, Pat continuerà ad essere chiamato "giovane" da D'Antonio anche quando dovrebbe aver passato la quarantina, fino a giungere all'ultimo episodio della serie, "La fine della pista" dove l'ultraottuagenario Pat deve ancora essere mostrato abbastanza in forze da andarsene in giro per la prateria e da fare a pugni con dei ragazzotti che potrebbero essere suoi pronipoti.

Dettagli, comunque, a fronte della costruzione di quest'epica moderna che è la "Storia del West".

La magia. Quella di un fumetto che non può non restare nei ricordi e nella fantasia di chi l'ha letto.

Ovvero la magia di 75 irripetibili storie che insieme formano uno dei punti più alti raggiunti dal fumetto - e non solo da quello italiano; che formano un vero e proprio monumento a quell'epoca di gioie e dolori, di odii ed amori, di grandezze e meschinità, dipanatasi nei pochi decenni della grande epopea dell'ovest americano e divenuta la più feconda fabbrica di miti e di sogni della civiltà occidentale contemporanea. Che la realtà di questi miti e sogni non fosse quella luccicante che narra la leggenda è poco importante; molto più importante è che essa sia la fonte di tante opere che hanno fatto la storia del nostro immaginario collettivo: come è per la "Storia del West".

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l'ultima vignetta di SdW
(c) SBE

Non sembri banale retorica quella del paragrafo precedente, semplicemente, è la realtà dell'opera ad imporsi in questi termini. Un'opera costruita in 14 anni di lavoro da Gino D'Antonio & C. Un'opera che ci ha regalato per 14 lunghi anni, tante ore di lettura appassionante.

Tanti anni insieme provocano un senso di complicità.
Per cui D'Antonio ci perdonerà per la familiarità che ci permettiamo nell'esprimere un giudizio sulla serie:

grazie Gino per avercela fatta leggere.
 

 


 
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