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Origini, modernità e importanza
della più bella saga sul west

di Franco Spiritelli

Ospitiamo un intervento di Franco Spiritelli, critico e nume tutelare della storica fanzine Fumo di China.

In quegli anni.
La SdW nasce nel 1967 ed è necessario inquadrarla nel periodo: il fumetto italiano è in pieno boom, ci sono i settimanali della Universo, L'Intrepido, Il Monello e Albo dell'Intrepido, che complessivamente vendono quasi due milioni di copie alla settimana, c'è Topolino quasi milionario, Tex che ha già iniziato la sua parabola ascendente e di lì a poco veleggerà sulle 600.000 copie (mai ufficialmente dichiarate), c'è Alan Ford che di lì a poco venderà centinaia di migliaia di copie; ci sono i successi della Dardo con Il Grande Blek e Capitan Miki e le storie di guerra de La Collana Eroica, che reggerà oltre un paio di decenni. C'è già il fumetto Nero, con Diabolik (dal 1962) che pochi anni dopo arriverà sulle 400.000 (altra cifra solo presunta), ci sono Kriminal e Satanik (di Magnus & Bunker) e c'è il fumetto erotico che è appena nato (ufficialmente con Isabella, nel 1966) e che riscuote subito un successo capillare e duraturo (un paio di decenni). È il grande periodo del fumetto western -si può dire che tutti gli editori ne hanno almeno uno in catalogo- che gode di grande successo. Insomma il fumetto italiano, in quegli anni, "sta bene". Forse perché non ci sono ancora le tivù private; la tivù di stato ha solo due canali, in provincia i cinema sono pochi e quindi l'unica alternativa è la lettura. E gli italiani leggono, moltissimo. L'Italia vive il suo "miracolo economico" e la sua struttura sociale è scossa da grandi cambiamenti. Nascono fermenti culturali che l'anno dopo sfociano nel mitico Sessantotto, che rivoluziona il modo di vivere della nazione (se in bene o in male, non è questa la sede per discuterlo).

Il modello dell'eroe in voga, sia al cinema che nel fumetto, è quello di un personaggio nobile e forte, disinteressato, animato di buoni principi, che opera il bene in modo "congenito", semplicemente perché è giusto, e non chiede nulla in cambio per il suo operato.

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primo numero di Diabolik
  
Le cose però stanno cambiando velocemente: i fumetti "neri" hanno già portato in primo piano l'eroe negativo e di lì a poco anche il fumetto "normale" vede l'ingresso di personaggi più sfaccettati ed ambigui rispetto alla tradizione, personaggi, cioè, in cui compare anche il grigio, contrapposti ad una visione spesso manichea che vuole i buoni "belli e bravi" (e vincitori) ed i cattivi brutti e a volte sporchi, ma sempre perdenti (anche se le storie migliori hanno sempre posseduto maggiori sfumature). Il fumetto tutto bianco e tutto nero prende una bella scoppola all'apparire di un marinaio con l'orecchino che, a partire dal suo aspetto, possiede una dichiarata carica sovversiva: Corto Maltese, un "buono" con tendenze da cattivo (o un cattivo con comportamenti da buono). Che nasce, quando si dice il caso, nel 1967, lo stesso anno de La Storia del West che, a sua volta, introduce personaggi la cui catalogazione tra buoni e cattivi non è più così scontata.

La grande saga di D'Antonio, forse troppo in anticipo sui tempi, non riesce a catturare un pubblico folto quanto quello dei contemporanei eroi di carta, ma si guadagna un successo di critica senza precedenti ed un pubblico fedelissimo che ne attende ansiosamente l'uscita e che, tra un episodio e l'altro, si consola con le altre serie inserite nella Collana Rodeo (di cui la SdW fa parte) quasi mai all'altezza del confronto.

Moderna.
Sono molte sono le caratteristiche di modernità della saga di D'Antonio e così importanti da renderla tuttora una lettura gradevolissima ed attuale.

Fino ad allora a dominare la scena è sempre il protagonista, regolarmente affiancato da una o più "spalle". È un modello classico che spazia dal fumetto umoristico all'avventuroso e si propone in tutti i paesi: Gordon e Zarro (e Dale), Mandrake e Lothar, Tex, Carson e Tiger Jack, Gim Toro, Burianakis e Il Kid, Blek Macigno, Occultis e Roddy, Miki, Salasso e Doppio Rum, Michel Vaillant e Steve Warson, Blake e Mortimer, Tintin e Milù (poi anche Haddock e altri), Topolino e Pippo, Asterix e Obelix, Cucciolo e Beppe potremmo continuare per pagine.

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Il clan MacDonald
(c) D'Antonio/SBE/Fdc
   
 
La Storia del West sceglie invece il racconto corale: protagonista è la famiglia McDonald, ma anche alcuni personaggi reali del West (Wild Bill Hickock, Kit Carson, e altri che trovate qui), altri di fantasia (Mac McCrimmon) e anche lui, il West in persona! È una scelta originale e importantissima: diversificando le personalità dei protagonisti D'Antonio riesce a cogliere una quantità di sfumature che alla serie con eroe fisso sono tradizionalmente negate.

Moderno è anche il disegno, classico come impostazione, ma modernissimo nel taglio della pagina: un'impaginazione dinamica che, pur rispettando la gabbia bonelliana delle tre strisce, si concede spesso vignette scontornate (all'epoca in casa Bonelli non era permesso), e a volte anche immagini "in cinemascope" (cioè a schermo grande) con vignette quadruple, altra prassi non ammessa. A distanza di anni pensiamo di poter dire che a D'Antonio e compagni lo si permettesse perché la leggibilità era sempre e comunque perfetta.

Senza entrare nei dettagli delle caratteristiche dei vari disegnatori, si deve però assolutamente sottolineare a proposito della modernità di D'Antonio, quanto la sua lezione sia stata importante per tanti altri disegnatori, alcuni anche molto recenti.

La narrazione.
È il vero punto di forza della serie. Nello spazio di un albo D'Antonio riesce a raccontare un intero "film" a fumetti e non, come la maggioranza dei suoi colleghi di allora e di oggi, un "telefilm".

La saga è un prodotto "d'autore", come testimoniato anche dai tempi di produzione, che sono discretamente più lunghi di quelli dei personaggi che escono in contemporanea.

L'intreccio è fluente e alterna sapientemente azione e pause di riflessione, momenti divertenti ed altri sentimentali a volte venati di autentico lirismo. Un grande affresco in cui compaiono tutte le passioni dell'animo umano, come -e a volte anche meglio- di quanto fanno tante opere letterarie più celebrate.

Il linguaggio è cinematografico con un uso esemplare dei personaggi e dello scenario. I dialoghi sono asciutti ma ricchi e significativi. Là dove serve anche la retorica ha il suo peso, ma i lunghi discorsi sono solo eccezioni indispensabili in momenti cruciali. La mimica dei personaggi è efficacissima: ben coadiuvato dai disegnatori (che però a volte hanno giocato "al risparmio"), D'Antonio, che si permette lunghe pause tra un episodio e l'altro, sfrutta mimica e gestualità in modo straordinario.

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disegno di Tarquinio (c) SBE
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disegno di Polese (c) SBE
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disegno di D'Antonio (c) SBE
Col progredire dell'opera avvengono molti cambiamenti. Il tono, che inizialmente era prevalentemente avventuroso e solare, diviene più riflessivo, spesso amaro, mentre la narrazione diventa sempre più cinematografica. Come testimoniato dall'uso consapevole dalle didascalie, all'epoca ancora diffusissime, che vengono ridotte al minimo (sarà Giancarlo Berardi, che di D'Antonio è una sorta di "allievo", a eliminarle definitivamente). L'effetto è straordinario: anziché impoverire la lettura come temevano gli editori che tenevano ad offrire al lettore un tempo di lettura lungo che fosse un'alternativa agli altri intrattenimenti (cioè un'oretta di divertente distrazione), la arricchisce, rendendola più coinvolgente.

Dalla lezione di D'Antonio Berardi e Milazzo trarranno in seguito la ricetta per il loro bellissimo Ken Parker che travalica definitivamente il genere western. Solo più tardi arriveranno altri personaggi con caratteristiche moderne, in casa Bonelli si inizia con Mister No. I vari Martin Mystère, Dylan Dog e compagnia, sono invece storia di oggi.

Come nasce.
D'Antonio e Renzo Calegari sono amici da tempo, si sono incontrati nello studio di Roy D'Amy (Rinaldo Dami) e condividono la passione per il West. D'Antonio è già famoso, ha lavorato a Pecos Bill, ha disegnato vari "cineromanzi" per Il Vittorioso e ha disegnato alcune stupende storie di guerra per gli inglesi. I due vogliono ricostruire l'atmosfera magica del grande West, quello cinematografico che arriva dall'America. Così progettano una serie che propongono a Sergio Bonelli.

Ma la struttura è molto diversa da quella che poi assumerà: originariamente doveva essere in fascicoli settimanali di 36 pagine, di cui solo 22 a fumetti, il resto doveva essere occupato da redazionali e rubriche varie sul West. Se si guardano bene i primi episodi (nella versione originale) si vede che inizialmente si tratta di racconti compiuti in un certo numero di pagine. Poiché D'Antonio si trova bene coi testi, questi sono fin da subito suo esclusivo appannaggio, mentre il disegno dei primi albi è spesso "a quattro mani". Per omogeneizzare il risultato, infatti, ognuno dei due realizza spesso matite che poi vengono inchiostrate dall'altro.

Qualche tempo dopo Calegari abbandona per un lungo periodo il fumetto e la serie rimane così, definitivamente, sulle spalle di D'Antonio, che ne scrive tutti i testi. Inoltre è il periodo in cui il "formato bonelliano" incontra grandissimo successo e questo è decisivo per decidere per il tradizionale formato ad albo brossurato da 100 pagine. Così gli episodi già pronti vengono accorpati e le rubriche western vengono relegate al retro di copertina, in forma di articoli illustrati.

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la frase finale è storicamente attribuita a Capo Giuseppe
disegno di Tarquinio (c) SBE

All'epoca la documentazione è praticamente inesistente, così gli spunti, come già detto, vengono soprattutto dal cinema. Ecco perché l'inizio è più romantico e avventuroso, mentre in seguito le storie diventano sempre più realistiche e drammatiche.

Gli indiani.
Anche quando il cinema "fa l'autocritica" e arrivano i celebrati "Il Piccolo Grande Uomo" e "Soldato blu" (entrambi del 1970), D'Antonio sceglie una propria via al West. Il fatto è che l'autore già da tempo ha iniziato a studiare testi e documentazione d'epoca, che gli consentono un approccio più critico di quanto fa il cinema. Così pur nella consapevolezza dei grandi torti subiti dal Popolo Rosso e nonostante la conoscenza dei tanti aspetti positivi di una cultura in perfetto equilibrio con la natura, come poche volte si è visto nella storia del genere umano, D'Antonio avverte: "Attenti a non mitizzare troppo, perché l'indiano era uno che, quando aveva la pancia piena, andava in giro a scannare i vicini!". È questa consapevolezza che fa della saga una struttura così equilibrata che contiene le figure di alcuni indiani "cattivi" assai realistici.

Raccontare la storia.
Chi si accinge alla lettura deve avere ben presente che non si tratta di un romanzo storico, ma di un'opera che ha come scopo principale l'intrattenimento. Per questo contiene varie "licenze" operate allo scopo di spettacolarizzare la narrazione quando necessario.

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Wild Bill Hickok
(c) Tarquinio/SBE/Fdc
   
 
Attenzione però a non credere che la traduzione in fumetti dei fatti sia stata operata con leggerezza: la documentazione attendibile sul West è poca. I quotidiani dell'epoca badavano soprattutto all'aspetto spettacolare dei fatti e se questi non erano sufficientemente interessanti c'era sempre qualche giornalista pronto a dare una mano. Per di più la storia è scritta dai vincitori e agli americani è sempre pesato il genocidio commesso: la "patria delle libertà" non ne ha mai parlato volentieri e anzi ha cercato, per lungo tempo, di nasconderlo e dimenticarlo.

A intorbidare le acque, poi, hanno contribuito non poco anche gli stessi uomini della frontiera, che non si facevano scrupolo di raccontare balle anche clamorose a cronisti fin troppo contenti di sentirle. Il massimo era quando scrivevano da sé (magari con qualche aiuto) le proprie biografie, che venivano immancabilmente arricchite di eventi esagerati e straordinari. Il risultato è un insieme di fatti contraddittori, che ha prodotto tanti film, monografie ed articoli, in contrapposizione tra loro.

In questo guazzabuglio, D'Antonio tiene a specificare che quella da lui proposta non è "la verità assoluta", ma l'idea che si è fatto, leggendo numerosi documenti, della personalità dei vari protagonisti storici, di cui spesso si sa davvero molto poco.

Chiudiamo con una frase ad hoc tratta da "L'uomo che uccise Liberty Valance" di John Ford: "Qui siamo nel West, dove se la realtà contrasta con la leggenda, vince la leggenda".

Perchè leggerla oggi.
Perché è ancora straordinariamente attuale ed è una lettura piacevole ed avvincente. Come tutte le opere d'ingegno non è legata alle mode e mantiene inalterata tutta la sua freschezza narrativa.

E poi ci sarà un motivo se Sergio Bonelli, in una intervista a Fumo di China, diceva: "Come editore è la cosa migliore che ho fatto!".


 

 


 
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