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Ospitiamo un intervento di Franco Spiritelli, critico e nume tutelare della storica fanzine Fumo di China.
In quegli anni. Il modello dell'eroe in voga, sia al cinema che nel fumetto, è quello di un personaggio nobile e forte, disinteressato, animato di buoni principi, che opera il bene in modo "congenito", semplicemente perché è giusto, e non chiede nulla in cambio per il suo operato.
La grande saga di D'Antonio, forse troppo in anticipo sui tempi, non riesce a catturare un pubblico folto quanto quello dei contemporanei eroi di carta, ma si guadagna un successo di critica senza precedenti ed un pubblico fedelissimo che ne attende ansiosamente l'uscita e che, tra un episodio e l'altro, si consola con le altre serie inserite nella Collana Rodeo (di cui la SdW fa parte) quasi mai all'altezza del confronto.
Moderna. Fino ad allora a dominare la scena è sempre il protagonista, regolarmente affiancato da una o più "spalle". È un modello classico che spazia dal fumetto umoristico all'avventuroso e si propone in tutti i paesi: Gordon e Zarro (e Dale), Mandrake e Lothar, Tex, Carson e Tiger Jack, Gim Toro, Burianakis e Il Kid, Blek Macigno, Occultis e Roddy, Miki, Salasso e Doppio Rum, Michel Vaillant e Steve Warson, Blake e Mortimer, Tintin e Milù (poi anche Haddock e altri), Topolino e Pippo, Asterix e Obelix, Cucciolo e Beppe potremmo continuare per pagine. La Storia del West sceglie invece il racconto corale: protagonista è la famiglia McDonald, ma anche alcuni personaggi reali del West (Wild Bill Hickock, Kit Carson, e altri che trovate qui), altri di fantasia (Mac McCrimmon) e anche lui, il West in persona! È una scelta originale e importantissima: diversificando le personalità dei protagonisti D'Antonio riesce a cogliere una quantità di sfumature che alla serie con eroe fisso sono tradizionalmente negate. Moderno è anche il disegno, classico come impostazione, ma modernissimo nel taglio della pagina: un'impaginazione dinamica che, pur rispettando la gabbia bonelliana delle tre strisce, si concede spesso vignette scontornate (all'epoca in casa Bonelli non era permesso), e a volte anche immagini "in cinemascope" (cioè a schermo grande) con vignette quadruple, altra prassi non ammessa. A distanza di anni pensiamo di poter dire che a D'Antonio e compagni lo si permettesse perché la leggibilità era sempre e comunque perfetta. Senza entrare nei dettagli delle caratteristiche dei vari disegnatori, si deve però assolutamente sottolineare a proposito della modernità di D'Antonio, quanto la sua lezione sia stata importante per tanti altri disegnatori, alcuni anche molto recenti.
La narrazione. La saga è un prodotto "d'autore", come testimoniato anche dai tempi di produzione, che sono discretamente più lunghi di quelli dei personaggi che escono in contemporanea. L'intreccio è fluente e alterna sapientemente azione e pause di riflessione, momenti divertenti ed altri sentimentali a volte venati di autentico lirismo. Un grande affresco in cui compaiono tutte le passioni dell'animo umano, come -e a volte anche meglio- di quanto fanno tante opere letterarie più celebrate. Il linguaggio è cinematografico con un uso esemplare dei personaggi e dello scenario. I dialoghi sono asciutti ma ricchi e significativi. Là dove serve anche la retorica ha il suo peso, ma i lunghi discorsi sono solo eccezioni indispensabili in momenti cruciali. La mimica dei personaggi è efficacissima: ben coadiuvato dai disegnatori (che però a volte hanno giocato "al risparmio"), D'Antonio, che si permette lunghe pause tra un episodio e l'altro, sfrutta mimica e gestualità in modo straordinario.
Dalla lezione di D'Antonio Berardi e Milazzo trarranno in seguito la ricetta per il loro bellissimo Ken Parker che travalica definitivamente il genere western. Solo più tardi arriveranno altri personaggi con caratteristiche moderne, in casa Bonelli si inizia con Mister No. I vari Martin Mystère, Dylan Dog e compagnia, sono invece storia di oggi.
Come nasce. Ma la struttura è molto diversa da quella che poi assumerà: originariamente doveva essere in fascicoli settimanali di 36 pagine, di cui solo 22 a fumetti, il resto doveva essere occupato da redazionali e rubriche varie sul West. Se si guardano bene i primi episodi (nella versione originale) si vede che inizialmente si tratta di racconti compiuti in un certo numero di pagine. Poiché D'Antonio si trova bene coi testi, questi sono fin da subito suo esclusivo appannaggio, mentre il disegno dei primi albi è spesso "a quattro mani". Per omogeneizzare il risultato, infatti, ognuno dei due realizza spesso matite che poi vengono inchiostrate dall'altro. Qualche tempo dopo Calegari abbandona per un lungo periodo il fumetto e la serie rimane così, definitivamente, sulle spalle di D'Antonio, che ne scrive tutti i testi. Inoltre è il periodo in cui il "formato bonelliano" incontra grandissimo successo e questo è decisivo per decidere per il tradizionale formato ad albo brossurato da 100 pagine. Così gli episodi già pronti vengono accorpati e le rubriche western vengono relegate al retro di copertina, in forma di articoli illustrati.
All'epoca la documentazione è praticamente inesistente, così gli spunti, come già detto, vengono soprattutto dal cinema. Ecco perché l'inizio è più romantico e avventuroso, mentre in seguito le storie diventano sempre più realistiche e drammatiche.
Gli indiani.
Raccontare la storia. Attenzione però a non credere che la traduzione in fumetti dei fatti sia stata operata con leggerezza: la documentazione attendibile sul West è poca. I quotidiani dell'epoca badavano soprattutto all'aspetto spettacolare dei fatti e se questi non erano sufficientemente interessanti c'era sempre qualche giornalista pronto a dare una mano. Per di più la storia è scritta dai vincitori e agli americani è sempre pesato il genocidio commesso: la "patria delle libertà" non ne ha mai parlato volentieri e anzi ha cercato, per lungo tempo, di nasconderlo e dimenticarlo. A intorbidare le acque, poi, hanno contribuito non poco anche gli stessi uomini della frontiera, che non si facevano scrupolo di raccontare balle anche clamorose a cronisti fin troppo contenti di sentirle. Il massimo era quando scrivevano da sé (magari con qualche aiuto) le proprie biografie, che venivano immancabilmente arricchite di eventi esagerati e straordinari. Il risultato è un insieme di fatti contraddittori, che ha prodotto tanti film, monografie ed articoli, in contrapposizione tra loro. In questo guazzabuglio, D'Antonio tiene a specificare che quella da lui proposta non è "la verità assoluta", ma l'idea che si è fatto, leggendo numerosi documenti, della personalità dei vari protagonisti storici, di cui spesso si sa davvero molto poco. Chiudiamo con una frase ad hoc tratta da "L'uomo che uccise Liberty Valance" di John Ford: "Qui siamo nel West, dove se la realtà contrasta con la leggenda, vince la leggenda".
Perchè leggerla oggi.
E poi ci sarà un motivo se Sergio Bonelli, in una intervista a Fumo di China, diceva: "Come editore è la cosa migliore che ho fatto!".
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