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Di tutto un po' recensione di Vincenzo Oliva Space-opera, planetary romance, Moby Dick, la filosofia dell’universo di Star Trek, il viaggio come crescita dell’individuo, l’avventura esotica... questo ed altro in una storia che si fa leggere con piacere.
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E’ una storia solida, molto ben costruita, questa propostaci da Francesco Donato. Nonostante l’affastellarsi e il rincorrersi di molte tematiche, l’autore non ne perde il controllo: una "regia" sicura, dunque, che permette di gustare fino alla conclusione (un po’ troppo retorica, indubbiamente, ma anche inevitabile) lo sviluppo della trama, anzi delle varie sottotrame in cui è articolato il racconto. Dopo un prologo nel quale si delinea la trama sullo sfondo: la lotta senza quartiere tra due gigantesche compagnie commerciali del futuro (Selznick NSA e Co.Pex.Eld) che si contendono - nel caso specifico - lo sfruttamento di un lontano pianeta - Sabena - la prima parte della storia è occupata da una classica avventura spaziale; una space-opera ben riuscita e felicemente arricchita dall’autore con la descrizione insistita dello scontro tra le personalità di Sam Tamaroa, l’ufficiale addetto al carico dell’astronave Tikotin, e Hughins, dirigente della Co.Pex.Eld, in viaggio verso Sabena per assumere la direzione degli impianti locali dell’azienda.
La conclusione della prima parte, con il naufragio della Tikotin sulla superficie di Sabena, rimanda ad uno dei topoi più classici della fantascienza (per fare un solo esempio, il ciclo del pianeta Tschai di Jack Vance ha inizio con un "tradizionale" naufragio su un pianeta). Eppure la storia non perde mordente, per la capacità dello sceneggiatore di rendere interessante uno spunto così scontato con un buon ritmo narrativo, con i dialoghi serrati tra Hughins e Tamaroa e con la soluzione - coerente con le premesse della storia - al problema della sopravvivenza dei "naufraghi" all’impatto. Anche il lento, forse scontato, ma necessario (all’economia della storia ed alla logica evoluzione del personaggio) maturare di Hughins verso una maggiore capacità di comprensione degli altri e delle loro motivazioni ed esigenze rappresenta un topos privilegiato della letteratura fantascientifica, ed avventurosa in genere; ed è ben sviluppato dall’autore e descritto senza eccessi di retorica fino al suo compiersi alla fine della narrazione. La seconda parte del racconto è occupata da un’avventura di ambientazione planetaria, in cui si innesta la descrizione un po’ superficiale della società degli Ithil, gli abitanti indigeni del pianeta Sabena. Questo è il punto più debole della storia, qui la sceneggiatura risente maggiormente del sovrapporsi di un numero eccessivo di tematiche: quella che avrebbe potuto essere una variante interessante del classico di Ursula Le Guin "Il mondo della foresta" - con la parabola ecologica e la favola antropologica del popolo indigeno e dello sfruttamento a cui viene sottoposto felicemente mischiati - si riduce ad una parentesi tra le scene d’azione, soffocata nello spazio ristretto delle tavole rimaste a disposizione dell’autore. Il riscatto avviene quando Donato non concede nulla al mito del "buon selvaggio" e ad una visione romantica dei popoli primitivi: gli Ithil non sono una popolazione innocua, e all’occorrenza sanno prendere le armi e reagire con violenza alla violenza. Una descrizione realistica che concede poco alla moda imperante del "politically correct". Una concessione romantica, Donato se la prende con il personaggio di Nye, la femmina Ithil che è il principale personaggio alieno. Tratteggiata con dolcezza per quel che riguarda il ricordo del compagno morto - ma con forza drammatica nella sua tenace decisione di vendicarne la morte uccidendo il mostro marino Q’talm - è soprattutto una bella figura di ribelle, ritratta con simpatia dall’autore. La vendetta di Nye serve ad introdurre - e risolvere in modo eccessivamente frettoloso e troppo superficiale - le tematiche melvilliane di Moby Dick. Ridurre in poche tavole il confronto tra l’uomo e il mare, tra l’uomo e il suo destino, tra l’uomo e le sue paure ed ossessioni era ovviamente impossibile; tuttavia un’attenzione maggiore a questa parte del racconto sarebbe stata opportuna: una volta introdotto l’elemento Donato avrebbe potuto tentare almeno di catturare parte della poesia e della meraviglia che - elaborando Moby Dick in chiave fantascientifica - Roger Zelazny aveva saputo infondere alla lotta con il mostro marino Ikky nel suo racconto "Le porte del suo viso, i fuochi della sua bocca". Quello che qui rimane è una buona sequenza avventurosa, ma niente di più.
La storia si conclude in modo ambiguo: dopo il finale consolatorio, ma sobrio, dell’avventura di Hughins e Tamaroa, con la liberazione degli Ithil prigionieri e dello stesso Hughins; e con i protagonisti principali che si preparano a vivere felici e contenti :-), l’ultima tavola reintroduce i personaggi del prologo: la padrona della Selznick NSA ed il suo assistente: le ultime parole della donna preludono, forse, ad un possibile seguito della storia, o più probabilmente rappresentano una riflessione tra il compiaciuto e l’amaro delle sfrenate ambizioni umane. ![]() ![]() ![]()
Buon ritorno di Mario Milano ai pennelli dopo le tavole della parte ambientata nel passato, ad Atlantide, della storia in Zona X n.30 "Figli di un mondo perduto": l’avventura "in solitario" di Diana Lombard.
Le figure umane presentano muscolature possenti, spesso addirittura eccessive, in una ricerca di effetti scultorei che sembra rimandare a certa produzione supereroistica; i tratti dei volti sono quasi sempre profondi e marcati, a comunicare una sensazione di forza. Molto belle le scene in ambienti scuri: qui Milano ha accentuato quanto già fatto vedere in "Figli di un mondo perduto", con le figure umane che risaltano in modo perfetto sullo sfondo chinato della vignetta, a trasmettere l’impressione di un’esplosione di luce che si proietta fuori dalla pagina. All’autore si può rimproverare di non essere riuscito a liberarsi da una certa rigidità del tratto. I suoi disegni restano come statici sulla pagina, e certo parte di questo effetto è da imputare ai fisici statuari dei suoi personaggi, resi, per questo con ben scarsa dinamicità. Il giudizio complessivo, comunque, resta largamente positivo, anche perché quanto detto sembra essere - più che un difetto - una vera e propria caratteristica dello stile del disegnatore. ![]() ![]() ![]()
La storia "soffre", indubbiamente, per lo sviluppo non soddisfacente del soggetto. 94 tavole sono insufficienti a rendere al meglio tutta la ricca serie di idee utilizzate da Donato talvolta alla rinfusa. La sceneggiatura finisce, così, per soffocare tutta una serie di spunti che - avendo più spazio a disposizione - avrebbero potuto aggiungere spessore e momenti di riflessione alla storia.
Ancora una volta, però, è un buon "classico" quello apparso sulle pagine di Zona X. Con il passare del tempo i "liberi" proposti sono diventati via via sempre più interessanti e questo non sfigura certo tra gli ultimi apparsi.
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