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DOPOLAVORO
OTTOBRE 1999

La posta di uBC
Parola d'autore

In questa pagina:
Perché tanto fumo?
di Diego Cajelli
A proposito di filosofia...
di Marco Abate

Pagine correlate:
Filosofia bonelliana
Parte prima

di Michele Medda
Filosofia bonelliana
Parte seconda

le repliche

Dopolavoro
Parola d'autore  

Questo mese ospitiamo un paio di interventi inediti: una divertente risposta ad un messaggio di un navigante di Diego Cajelli, autore di Napoleone, che dimostra insospettabili doti di cabarettista (e, per inciso, se volete ammirarlo in questa veste non avete che da andare allo ZELIG di Milano), e una replica stimolante di Marco Abate, già autore della Star Comics e ora nuovo acquisto di Martin Mystère, che continua la discussione a proposito della "Filosofia bonelliana", iniziata nel numero scorso da Michele Medda ed altri frequentatori del newsgroup it.arti.fumetti.

Perchè tanto fumo?


messaggio di Alessandro Russo.

Avete notato quante volte in Napoleone sono presenti fumo e sigarette, sia nelle storie di Ambrosini sia di Cajelli? Fumano il protagonista, Dumas, quasi tutte le donne e i banditi presenti...

Un'altra dimostrazione di come questo fumetto sfugga alla filosofia bonelliana, al politically correct e al buonismo dilagante. Ma perché tanto fumo? Per crare atmosfera? Per mettere pause nei dialoghi? Vorrei chiederlo agli autori.

P.S.: io non fumo, non fumavo quando leggevo Tex,
ne`intendo iniziare adesso.
P.P.S.: non avvertite il Codacons... :-)


Risponde Diego Cajelli, autore di Napoleone

Caro Alessandro,
ora proverò a svelarti il misterioso segreto delle sigarette nei fumetti... ecco i nove punti fondamentali che ti insegnano dalla scuola degli sceneggiatori, ovvero:

Perchè far accendere le sigarette ai personaggi dei fumetti.

  • 1) Crea atmosfera, sia in senso figurato, sia nel senso planetario, ovvero secondo le teorie del complotto i magnati del tabacco sono alieni e fumando le loro sigarette si crea l'atmosfera giusta per loro sul nostro pianeta.

  • 2) Perchè durante un pausa in dialogo sta male mettersi le dita nel naso, lo facciamo tutti, ma nei fumetti non si può! Non è ammissibile che ci si scaccoli sulle tavole!! Pensa alle conseguenze! Immagina soltanto cosa ci potà mai essere dentro il naso di Java!

  • 3) Infilare una sigaretta in bocca ad un personaggio è miglior modo per testare quanto il disegnatore sia preparato sull'articolazione del gomito.

  • 4) Quando non sai cosa fare, se è una "personaggia" puoi farla sorridere o tirare fuori le tette, se è un personaggio accendigli una sigaretta o fallo esprimere in modo maschio e fumettoso con frasi tipo: "Maledizione di nuovo Fu Manchu!", oppure: "Satanello!" o anche: "Porca Pignatta!". Non importa se sono al telefono con la mamma.

  • 5) Fumare nei fumetti non è assolutamente Politicamente Scorretto, anzi! abbracci quella nicchia di politicamente corretto, di cui i fumatori hanno diritto, ovvero se sono politicamente corretto, devo dare spazio ad una cosa politicamente scorretta, in modo da essere a pieno politicamente corretto. E' chiaro? mha...

  • 6) Nelle storie di Cajelli i suoi personaggi fumano, perchè così facendo Cajelli si immedesima nel personaggio o viceversa, in quanto anche Cajelli fuma e gli piace che il suo personaggio fumi, in verità Cajelli ha anche un altro vizio, voleva passarlo a Napoleone, ma Ambrosini ha detto: "No, sputare noccioli di anguria dai grattacieli cercando di abbattere orfanelle lesbiche con le treccine amanti di Tamara De Lempzicka, non è un vizio adatto per Napoleone" per cui fuma.

  • 7) Vedere personaggi che fumano non crea meccanismi di imitazione, infatti a farti venire la voglia di fumare non è quello che vedi, è l'estratto di nicotina contenuto nell'inchiostro della stampa, è lui che ti va venire voglia di fumare, si chiama controllo chimico sulle masse ed è un brevetto della Cia.

  • 8) Scusa mi accendo un sigaretta.

  • 9) Ci piacerebbe mettere al posto delle sigarette degli Spinotti modello petardo caricati con Jamaica Sunrising Ultrapot 6° generazione 1977, ma in Italia è illegale.

 
 




A proposito di filosofia . . .


intervento di Marco Abate,
in passato autore Star Comics e ora di Martin Mystère

Prima di tutto i miei complimenti per il vostro sito, sempre interessante, ben curato e in cui e' veramente facile trovare recensioni e/o commenti intelligenti (cosa non banale...).

Ho letto con piacere gli interventi di Michele Medda ed altri sulla "Filosofia bonelliana", e ho alcuni commenti in merito. Mi auguro che la mia posizione un po' particolare, con un piede ben dentro il mondo del fumetto (prima come autore Star Comics e ora come autore per Martin Mystère), un altro nel mondo editoriale piu' in generale (sia per motivi familiari - un padre giornalista - sia per motivi lavorativi - una buona fetta del lavoro di un matematico consiste nel pubblicare articoli e libri), e un terzo ancora che si sente ancora decisamente piu' lettore che autore (anche perche' la mia vita e il mio lavoro principale rimangono comunque non fumettistici - e si', noi matematici abbiamo una anatomia un po' particolare), mi auguro dicevo che questa posizione possa fornire una prospettiva diversa ai problemi trattati, e che possiate trovarvi un qualche spunto interessante. E prometto che d'ora in poi usero' frasi. Piu'. Brevi.

Primo Commento: Michele Medda dice:
"Hammer non presenta quel lavoro sui "generi attraverso il genere" che e' una delle caratteristiche salienti delle serie Bonelli." "Ancora, e' tipica - direi quasi essenziale - per il fumetto bonelliano la rivisitazione dei "generi attraverso il genere", a cominciare dal capostipite Tex Willer, che certo non e' solo un western (pensate semplicemente alle storie con Mefisto). E Zagor? Che dire di un fumetto che ha veramente frequentato tutti i generi d'avventura? Provate a pensare a tutti gli eroi bonelliani, da Tex a Legs, e vedrete che ognuno di loro ha avuto la sua avventura "gialla", il suo incontro con un vampiro, con un extraterrestre, etc..." "Scrivere Bonelli, quindi, non significa scrivere UN "genere", ma I "generi". Oppure, affrontando il genere nei suoi stereotipi piu' triti, significa trovare un guizzo particolare, un'angolazione di lettura diversa, un "quid", insomma la variante che giustifichi l'uso reiterato delle costanti."

Tutto cio' e' verissimo, ma non lo indicherei come una componente solo tipicamente bonelliana, quanto come componente tipica del fumetto seriale (o almeno di quello che dura abbastanza a lungo :-). E' necessario per sopravvivere: che si tratti di Tex, o dell'Uomo Ragno, o di che altro, se vuoi sperare di conservare i lettori per un tempo sufficientemente lungo devi variare gli ingredienti delle storie. E permettere la commistione dei generi amplia notevolmente lo spettro degli ingredienti disponibili al nostro cuoco-autore, riducendo il rischio di noia nel lettore abituale. Ovviamente, cio' aumenta il rischio di spaesamento nel lettore casuale; nulla e' del tutto privo di controindicazioni...:-)

Ah: altrettanto ovviamente, il mescolamento dei generi non basta ad assicurare il successo, anzi. Samuel Sand, che era stato concepito in modo da rendere estremamente facile per non dire inevitabile un tale mescolamento, vendeva quanto Hammer, copia piu' copia meno.

Secondo Commento: a proposito di successi e vendite. Come dicevo, Hammer e Samuel Sand vendevano piu' o meno uguale, circa 15000 copie al mese. Insuccesso, chiusura. Piu' o meno nello stesso periodo in cui scrivevo Samuel Sand, ho anche pubblicato con un editore nazionale un libro di testo di Geometria per il primo anno dell'universita', che vende circa 1500 copie (un decimo di Hammer e Samuel Sand) l'anno (e non al mese). Un successo.

L'editore ha fortemente voluto un testo di esercizi da affiancargli, e adesso preme per una nuova edizione adattata alla nuova struttura dell'universita' che si profila all'orizzonte... Questo per dire: attenzione a parlare di fallimenti (o, meglio, attenzione a cogliere il significato relativo della parola). 15000 copie al mese in un qualsiasi mercato librario sarebbero indice di un piu' che discreto successo; solo in quello strano mercato che sono le edicole diventano un fallimento. D'altronde, anche i compensi e i costi sono diversi: con una storia di Samuel Sand guadagnavo piu' o meno quanto prendo come diritti d'autore per il libro di testo in un anno. I conti tornano...

Terzo commento: Michele Medda dice:
"a) quale organizzazione comporti una programmazione editoriale simile, 94 pagine mensili (tradotto brutalmente: quale sforzo economico comporti PRODURRE e soprattutto RETRIBUIRE EQUAMENTE 94 pagine mensili senza pubblicita')..." "Poi, scendendo sul terreno pratico, scrivere una serie Bonelli significa anche STRUTTURARE una serie. Significa stendere una scaletta di programmazione che deve tenere conto delle esigenze di una ventina di persone tra sceneggiatori e disegnatori sparsi in tutta Italia, che si vedono raramente e comunicano per fax (e si pensi invece ad Hammer, nato tra i bresciani che lavoravano gomito a gomito ). Significa gestire contemporaneamente la lavorazione di almeno 15 storie. Significa alternare i disegnatori, ma anche alternare le storie, in modo che a una storia "di atmosfera" succeda una storia "d'azione", a un plot "col mostro" succeda un plot "poliziesco", a un disegnatore "grafico" si alterni il mese successivo un disegnatore "realistico", e cosi' via. E' un lavoro dato per scontato, ma che scontato non e' affatto." "Dal punto di vista del lavoro quotidiano, scrivere per Bonelli significa anche conoscere una serie di regole empiriche: i personaggi devono chiamarsi subito per nome, i dialoghi non devono accavallarsi con le didascalie, l'impaginazione non deve essere caotica, gli stacchi di tempo devono essere a inizio pagina, la storia deve avere un giusto dosaggio di scene di dialogo e d'azione, ogni scena deve essere funzionale ai fini del plot, le vignette non possono essere sovraccariche di testo, i balloon non possono uscire dai margini della vignetta, etc..." "In Bonelli, perfino le copertine sono realizzate in base a criteri precisi, e perfino le presentazioni del "prossimo numero" su ogni albo: le vignette di presentazione sono scelte in base a certi criteri, e idem dicasi per i titoli degli albi. Per fare un esempio banalissimo, un titolo come MIRAGGIO CORAGGIO (un titolo di un albo di Hammer) non sarebbe mai passato su un albo Bonelli, perche' suona bizzarro e poco evocativo. Per dare il titolo a ogni albo Bonelli sono proposte ogni volta cinque possibilita', cinque titoli alternativi fra cui viene scelto il titolo definitivo (che non e' quasi mai il titolo di lavorazione). Vi sembra uno scrupolo eccessivo? Forse lo e': ma anche questo e' Bonelli."

Vero, verissimo, sacrosanto, da stampare a lettere di fuoco sulle fronti di tutti gli editori e autori: ma non e' tipico bonelliano. Io lo chiamerei semplicemente "professionalita'" o, meglio, "saper far bene il proprio mestiere". E se c'e' una cosa che Sergio Bonelli ha sempre dimostrato di saper fare e' proprio questa. Ed e' qualcosa di essenziale per la riuscita di qualsiasi casa editrice (e la mentalita' sottesa e' essenziale per la riuscita di qualsiasi impresa, editoriale e no). Sfortunatamente, e' sempre piu' raro trovarla ben applicata (anche al di fuori del mondo dei fumetti), e i risultati, sfortunatamente, si vedono.

Quarto commento: Michele Medda dice:
Bene, io identifico il "bonelliano" essenzialmente con quella che possiamo chiamare "immediatezza". Cioe' con una "leggibilita' " estrema degli albi, che col tempo e' diventata uno stile: il modo "bonelliano", appunto, di fare i fumetti. Semplicita', quindi, e' la parola chiave. La "semplicita'" bonelliana, pero', e' frutto di un lavoro che semplice non e'. Anzi, e' molto complicato. Richiede una conoscenza molto approfondita dei "ferri del mestiere" dello scrittore. Non basta dire: "Okay, ora scrivo una cosa semplice e propongo una serie a Bonelli, che ci vuole?" Chiedete a Renato Queirolo quanti scrittori professionisti sono caduti sul campo proponendosi per Nick Raider. (Una serie considerata appunto "facile").

Attenzione: il concetto di "leggibilita'" e' molto relativo. Si ha "leggibilita'" quando gli autori usano un set di convenzioni narrativo/grafiche talmente noto al lettore da non essere piu' avvertito consciamente. Le convenzioni bonelliane sono leggibili per il lettore italiano perche' ormai consolidate da quarant'anni di successo. Ma non per questo sono "semplici" tout-court: mai capitato di far leggere un bonelliano a un ultra-sessantenne che non ha mai letto fumetti in vita sua?

A volte questo neo-lettore non e' in grado di capire cosa sta succedendo, non e' in grado di seguire lo svolgersi della vicenda (e non era una storia che avevo scritto io :-). Questo proprio perche' non conosce le elementari convenzioni usate nel mondo del fumetto; basti pensare, per esempio, a tutte le tecniche usate per riprodurre il passare del tempo, che sono "leggibili" solo se uno le conosce. Cio' detto, rimane comunque sacrosanto il fatto che per scrivere in maniera "leggibile-bonelliana" queste convenzioni bisogna conoscerle a menadito e saperle usare con competenza - anche quando poi si decide di romperle.

Schoemberg, l'inventore della dodecafonia, e' stato uno dei piu' grandi esperti e studiosi dell'armonia classica, tanto da aver scritto un libro che ancora oggi viene usato come testo per insegnarla...

Quinto commento: Michele Medda dice:
La conclusione di tutto questo discorso e' che non ci si improvvisa autori "popolari", tantomeno popolari "bonelliani". E che il "facile da leggere" non vuol dire "facile da scrivere". Perche' poi non va dimenticato che non stiamo applicando formule matematiche. Attenersi alle regole non significa automaticamente avere successo, ne' garantire la qualita' del risultato finale.

Come se fosse facile applicare formule matematiche... che in realta' vanno sempre ricreate ex-novo, adattandole alla situazione contingente, esattamente quanto le tecniche narrative a cui si riferisce Medda... La matematica e' completamente diversa dall'immagine stereotipata (e drammaticamente fasulla) che le viene usualmente attribuita. Il matematico puro ha molto piu' in comune con un artista che con un ingegnere, credetemi sulla parola. (Sorry, lo so che questo commento col fumetto c'entra poco, ma e' un argomento sul quale sono particolarmente sensibile...)

Sesto commento: Tomah scrive:
Certo... e penso fosse uno dei motivi per cui quei 15.000 lettori erano tanto affezzionati da farne rimanere uno dei fumetti prodotti in Italia di cui si parla di piu', anche dopo parecchi anni dalla sua chiusura. La fantascenza era una delle sue forze, ma non certo l'unica... tanto e' vero che la storia editoriale di Hammer e' in qualche modo accostabile a quella di Esp. Possibile che tutto quello che sono riuscite a muovere due "piccole" avventure del genere non abbia fatto ripensare in qualche maniera ad un nuovo modo di lanciare e sopratutto condurre le nuove proposte?

Come autore e lettore, sono perfettamente d'accordo. Vedendolo dall'interno dei meccanismi editoriali c'e' pero' un problema, gia' accennato nel mio secondo commento: lanciare una nuova serie nelle edicole richiede uno sforzo finanziario non indifferente. Se il prodotto e' davvero nuovo, per scoprire se puo' avere successo bisogna tenerlo in vita per un periodo di tempo non indifferente - anche se inizialmente e' in perdita. Bisogna crederci molto, e avere soldi da buttare, cosa che non tutti gli editori sono disposti a fare (ed e' molto comprensibile che sia cosi', per quanto possa dispiacere...)

Sarei curioso di conoscere l'andamento dei costi e dei dati di vendita di Ratman, che e' l'unico esempio recente davvero positivo (extra-Bonelli) di produzione italiana; non sarei stupito di scoprire che i primi numeri (essendo ristampe di materiale gia' edito) siano costati relativamente poco, dando alla serie il tempo di farsi un pubblico contenendo le (eventuali) perdite iniziali dell'editore. Mi chiedo se questa non sia la strada piu' sicura da percorrere: lanciare le proposte nuove solo nel mercato ridotto delle fumetterie, e poi portare in edicola soltanto quelle che hanno superato brillantemente questo primo "test". Operare contemporaneamente nei due mercati non serve: Hammer e Samuel Sand vendevano molto bene in fumetteria, ma non abbastanza da coprire le perdite del mercato delle edicole.

Settimo commento: Tomah scrive:
Ah... un'ultimo punto... la popolarita' di Hammer: se Hammer non era popolare, vuol dire che "popolare" non e' una scelta dovuta alle scadenze editoriali, dato che ci siamo dimenticati di sottolineare come, oltre al formato, Hammer e NN fossero affini anche nella periodicita'. Ma se il buon Serra dice che una struttura come Boneli con 100 pagine da pubblicare al mese deve essere per forza popolare... ahhh...

Dev'essere "popolare" nel senso di "conosciuta" - cioe' deve vendere (come Medda ha ben chiarito nella sua replica). Quali siano poi gli ingredienti che rendono una serie "popolare" credo sia di fatto impossibile stabilirlo, quanto meno perche' dipendono anche dal momento in cui la serie viene proposta. Non resta che fare esperimenti, sperando di beccare la miscela giusta (cosa che sia Bonelli che la Star stanno facendo in questi ultimi anni). E forse e' meglio cosi': la vita sarebbe molto meno interessante se ci fosse una ricetta sicura per la "popolarita'"...

Ottavo commento: Francesco Manetti scrive:
Peraltro, pensa a quanto e' poco "bonelliano" un Tex come "Il figlio di Mefisto" nel quale, per almeno 90 pagine, il protagonista assoluto e' tale Yama, o un Ken Parker come "Adah", dove Ken compare solo nelle ultime pagine (ricordo che un mio compagno di scuola, al quale avevo chiesto se gli piaceva la serie di Ken Parker, mi rispose: "ma se non ho nemmeno capito chi era Ken Parker!!"...)

Esempio molto infelice, visto che sembra di capire che al tuo compagno di scuola Ken Parker non sia piaciuto... :-) Inoltre, citare numeri singoli serve solo a dimostrare come la "gabbia" bonelliana non sia poi cosi' rigida, e non smentisce il fatto che la maggior parte delle storie aderisce a certe convenzioni. Come giustamente diceva Medda, le convenzioni servono anche a dare maggior forza a quelle (poche) storie che non le seguono...

Avrei anche altre cose da dire, ma per questa volta credo di aver abusato a sufficienza del vostro tempo. Cordiali saluti, e a rileggerci sul sito!
 

 


 
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