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| Parola d'autore |
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Questo mese ospitiamo un paio di interventi inediti: una divertente risposta ad un messaggio di un navigante di Diego Cajelli, autore di Napoleone, che dimostra insospettabili doti di cabarettista (e, per inciso, se volete ammirarlo in questa veste non avete che da andare allo ZELIG di Milano), e una replica stimolante di Marco Abate, già autore della Star Comics e ora nuovo acquisto di Martin Mystère, che continua la discussione a proposito della "Filosofia bonelliana", iniziata nel numero scorso da Michele Medda ed altri frequentatori del newsgroup it.arti.fumetti.
Avete notato quante volte in Napoleone sono presenti fumo e sigarette, sia nelle storie di Ambrosini sia di Cajelli? Fumano il protagonista, Dumas, quasi tutte le donne e i banditi presenti... Un'altra dimostrazione di come questo fumetto sfugga alla filosofia bonelliana, al politically correct e al buonismo dilagante. Ma perché tanto fumo? Per crare atmosfera? Per mettere pause nei dialoghi? Vorrei chiederlo agli autori.
P.S.: io non fumo, non fumavo quando leggevo Tex,
Caro Alessandro, Perchè far accendere le sigarette ai personaggi dei fumetti.
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A proposito di filosofia . . .
Prima di tutto i miei complimenti per il vostro sito, sempre interessante, ben curato e in cui e' veramente facile trovare recensioni e/o commenti intelligenti (cosa non banale...). Ho letto con piacere gli interventi di Michele Medda ed altri sulla "Filosofia bonelliana", e ho alcuni commenti in merito. Mi auguro che la mia posizione un po' particolare, con un piede ben dentro il mondo del fumetto (prima come autore Star Comics e ora come autore per Martin Mystère), un altro nel mondo editoriale piu' in generale (sia per motivi familiari - un padre giornalista - sia per motivi lavorativi - una buona fetta del lavoro di un matematico consiste nel pubblicare articoli e libri), e un terzo ancora che si sente ancora decisamente piu' lettore che autore (anche perche' la mia vita e il mio lavoro principale rimangono comunque non fumettistici - e si', noi matematici abbiamo una anatomia un po' particolare), mi auguro dicevo che questa posizione possa fornire una prospettiva diversa ai problemi trattati, e che possiate trovarvi un qualche spunto interessante. E prometto che d'ora in poi usero' frasi. Piu'. Brevi.
Primo Commento: Michele Medda dice: Tutto cio' e' verissimo, ma non lo indicherei come una componente solo tipicamente bonelliana, quanto come componente tipica del fumetto seriale (o almeno di quello che dura abbastanza a lungo :-). E' necessario per sopravvivere: che si tratti di Tex, o dell'Uomo Ragno, o di che altro, se vuoi sperare di conservare i lettori per un tempo sufficientemente lungo devi variare gli ingredienti delle storie. E permettere la commistione dei generi amplia notevolmente lo spettro degli ingredienti disponibili al nostro cuoco-autore, riducendo il rischio di noia nel lettore abituale. Ovviamente, cio' aumenta il rischio di spaesamento nel lettore casuale; nulla e' del tutto privo di controindicazioni...:-) Ah: altrettanto ovviamente, il mescolamento dei generi non basta ad assicurare il successo, anzi. Samuel Sand, che era stato concepito in modo da rendere estremamente facile per non dire inevitabile un tale mescolamento, vendeva quanto Hammer, copia piu' copia meno. Secondo Commento: a proposito di successi e vendite. Come dicevo, Hammer e Samuel Sand vendevano piu' o meno uguale, circa 15000 copie al mese. Insuccesso, chiusura. Piu' o meno nello stesso periodo in cui scrivevo Samuel Sand, ho anche pubblicato con un editore nazionale un libro di testo di Geometria per il primo anno dell'universita', che vende circa 1500 copie (un decimo di Hammer e Samuel Sand) l'anno (e non al mese). Un successo. L'editore ha fortemente voluto un testo di esercizi da affiancargli, e adesso preme per una nuova edizione adattata alla nuova struttura dell'universita' che si profila all'orizzonte... Questo per dire: attenzione a parlare di fallimenti (o, meglio, attenzione a cogliere il significato relativo della parola). 15000 copie al mese in un qualsiasi mercato librario sarebbero indice di un piu' che discreto successo; solo in quello strano mercato che sono le edicole diventano un fallimento. D'altronde, anche i compensi e i costi sono diversi: con una storia di Samuel Sand guadagnavo piu' o meno quanto prendo come diritti d'autore per il libro di testo in un anno. I conti tornano...
Terzo commento: Michele Medda dice: Vero, verissimo, sacrosanto, da stampare a lettere di fuoco sulle fronti di tutti gli editori e autori: ma non e' tipico bonelliano. Io lo chiamerei semplicemente "professionalita'" o, meglio, "saper far bene il proprio mestiere". E se c'e' una cosa che Sergio Bonelli ha sempre dimostrato di saper fare e' proprio questa. Ed e' qualcosa di essenziale per la riuscita di qualsiasi casa editrice (e la mentalita' sottesa e' essenziale per la riuscita di qualsiasi impresa, editoriale e no). Sfortunatamente, e' sempre piu' raro trovarla ben applicata (anche al di fuori del mondo dei fumetti), e i risultati, sfortunatamente, si vedono.
Quarto commento: Michele Medda dice: Attenzione: il concetto di "leggibilita'" e' molto relativo. Si ha "leggibilita'" quando gli autori usano un set di convenzioni narrativo/grafiche talmente noto al lettore da non essere piu' avvertito consciamente. Le convenzioni bonelliane sono leggibili per il lettore italiano perche' ormai consolidate da quarant'anni di successo. Ma non per questo sono "semplici" tout-court: mai capitato di far leggere un bonelliano a un ultra-sessantenne che non ha mai letto fumetti in vita sua? A volte questo neo-lettore non e' in grado di capire cosa sta succedendo, non e' in grado di seguire lo svolgersi della vicenda (e non era una storia che avevo scritto io :-). Questo proprio perche' non conosce le elementari convenzioni usate nel mondo del fumetto; basti pensare, per esempio, a tutte le tecniche usate per riprodurre il passare del tempo, che sono "leggibili" solo se uno le conosce. Cio' detto, rimane comunque sacrosanto il fatto che per scrivere in maniera "leggibile-bonelliana" queste convenzioni bisogna conoscerle a menadito e saperle usare con competenza - anche quando poi si decide di romperle. Schoemberg, l'inventore della dodecafonia, e' stato uno dei piu' grandi esperti e studiosi dell'armonia classica, tanto da aver scritto un libro che ancora oggi viene usato come testo per insegnarla...
Quinto commento: Michele Medda dice: Come se fosse facile applicare formule matematiche... che in realta' vanno sempre ricreate ex-novo, adattandole alla situazione contingente, esattamente quanto le tecniche narrative a cui si riferisce Medda... La matematica e' completamente diversa dall'immagine stereotipata (e drammaticamente fasulla) che le viene usualmente attribuita. Il matematico puro ha molto piu' in comune con un artista che con un ingegnere, credetemi sulla parola. (Sorry, lo so che questo commento col fumetto c'entra poco, ma e' un argomento sul quale sono particolarmente sensibile...)
Sesto commento: Tomah scrive: Come autore e lettore, sono perfettamente d'accordo. Vedendolo dall'interno dei meccanismi editoriali c'e' pero' un problema, gia' accennato nel mio secondo commento: lanciare una nuova serie nelle edicole richiede uno sforzo finanziario non indifferente. Se il prodotto e' davvero nuovo, per scoprire se puo' avere successo bisogna tenerlo in vita per un periodo di tempo non indifferente - anche se inizialmente e' in perdita. Bisogna crederci molto, e avere soldi da buttare, cosa che non tutti gli editori sono disposti a fare (ed e' molto comprensibile che sia cosi', per quanto possa dispiacere...) Sarei curioso di conoscere l'andamento dei costi e dei dati di vendita di Ratman, che e' l'unico esempio recente davvero positivo (extra-Bonelli) di produzione italiana; non sarei stupito di scoprire che i primi numeri (essendo ristampe di materiale gia' edito) siano costati relativamente poco, dando alla serie il tempo di farsi un pubblico contenendo le (eventuali) perdite iniziali dell'editore. Mi chiedo se questa non sia la strada piu' sicura da percorrere: lanciare le proposte nuove solo nel mercato ridotto delle fumetterie, e poi portare in edicola soltanto quelle che hanno superato brillantemente questo primo "test". Operare contemporaneamente nei due mercati non serve: Hammer e Samuel Sand vendevano molto bene in fumetteria, ma non abbastanza da coprire le perdite del mercato delle edicole.
Settimo commento: Tomah scrive: Dev'essere "popolare" nel senso di "conosciuta" - cioe' deve vendere (come Medda ha ben chiarito nella sua replica). Quali siano poi gli ingredienti che rendono una serie "popolare" credo sia di fatto impossibile stabilirlo, quanto meno perche' dipendono anche dal momento in cui la serie viene proposta. Non resta che fare esperimenti, sperando di beccare la miscela giusta (cosa che sia Bonelli che la Star stanno facendo in questi ultimi anni). E forse e' meglio cosi': la vita sarebbe molto meno interessante se ci fosse una ricetta sicura per la "popolarita'"...
Ottavo commento: Francesco Manetti scrive: Esempio molto infelice, visto che sembra di capire che al tuo compagno di scuola Ken Parker non sia piaciuto... :-) Inoltre, citare numeri singoli serve solo a dimostrare come la "gabbia" bonelliana non sia poi cosi' rigida, e non smentisce il fatto che la maggior parte delle storie aderisce a certe convenzioni. Come giustamente diceva Medda, le convenzioni servono anche a dare maggior forza a quelle (poche) storie che non le seguono...
Avrei anche altre cose da dire, ma per questa volta credo di aver abusato
a sufficienza del vostro tempo. Cordiali saluti, e a rileggerci sul sito!
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