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uBC INTERVISTA



Intervista a Pasquale Frisenda
di Giuseppe Pelosi
(Fotografie di Daniele J. Farah)

Per la biografia dell'autore vedere la Scheda del Database.


(Pasquale Frisenda) Ci sono cose di Pasquale Frisenda che fanno sorprendere. Per esempio il fatto che si ricordi di me avendomi visto solo due volte. E anche il fatto che è un disegnatore ma si documenta quanto uno sceneggiatore. O il fatto che in un ambiente sempre più frequentato da millantatori e finti maestri, egli rimanga infinitamente e sinceramente umile. Ti parla spesso con lo sguardo abbassato, e i tuoi complimenti quasi gli danno fastidio; sembra dirti, con quegli occhi chini: “Ma come, non li vedi tutti gli errori che commetto?”. Sorprende anche, almeno un pochino, la disponibilità all’incontro, e ovviamente il rispetto dei tempi e degli impegni. Per capirci: ci diamo appuntamento a Milano, e a essere in ritardo è l’intervistatore... Ci sediamo tranquillamente in un bar di Porta Venezia, e iniziamo la nostra chiacchierata. Che non può se non partire da questo strano modo di fare le interviste che siamo costretti ad usare: faccia a faccia.

Pasquale Frisenda e Sergio Bonelli sono rimasti, nel mondo del fumetto ma anche forse nel mondo cosiddetto reale, le uniche persone a non avere un computer e a non volersi collegare in internet... Noi siamo una rivista telematica, dunque, ci devi confessare un tuo rapporto conflittuale con il mezzo?

No, assolutamente... È solo pigrizia... Mi spaventa un po’ l’idea di dovermi impratichire: in questi anni ho usato il computer solo occasionalmente e sempre grazie ad amici che hanno avuto la pazienza di seguirmi. Certo è che se comincio non smetto più e mi devono portare via a braccia... Non è quindi avversione per il mezzo. Comunque, anche il cellulare ce l’ho da pochi mesi... Ma come ho promesso ormai a tutto il mondo, rimedierò presto anche con il computer...!

Pasquale, come intendi tu la tua professione? Cosa vuol dire fare il disegnatore di fumetti per te? Arte, artigianato, o cosa?

Io lo intendo come artigianato; a mio giudizio il fumetto può diventare arte, ma per diventarlo deve essere l’esatta rappresentazione di quello che un autore vuole comunicare, dunque qualcosa di molto personale. Ci sono stati esempi in questo senso, ma non è il mio caso, almeno, per adesso. Il mio obiettivo è quello di realizzare il miglior prodotto possibile facendo attenzione a tutto quello di cui la storia necessita, come atmosfera, cura degli ambienti, messa a punto dei personaggi sia da un punto di vista psicologico che del loro abbigliamento (un personaggio a mio giudizio va curato sotto ogni aspetto). Questo è il modo in cui intendo il mio lavoro: diventare un buon narratore per immagini, e tentare magari di andare un po’ oltre quello che la sceneggiatura propone. Se tu con il tuo disegno riesci a rendere incisiva la storia che racconti, affascinando il lettore, costringendolo a soffermarsi durante la lettura in alcuni momenti, con una inquadratura insolita o una vignetta particolarmente elaborata, se riesci a catturarlo premiando la sceneggiatura ma mettendoci del tuo, secondo me hai raggiunto il maggiore risultato che si possa ottenere in un fumetto.

Ti chiedo di puntualizzare questa tua risposta, utilizzando due esempi: da una parte c’è Tiziano Sclavi , che in un suo famoso aforisma sostiene: “Disegnatori: non è gente”; dall’altra c’è un autore di cui non ricordo il nome che sostiene che, per quanto riguarda delle sue storie più apprezzate, l’idea di far agire il giudice Coleman in una Chiesa sconsacrata venne al disegnatore di quell’episodio, di cui adesso non ricordo il nome... Sulla base di questi due estremi, il primo che con una battuta testimonia però un possibile rapporto teso, il secondo esemplare di una collaborazione fattiva e feconda, qual è il tuo rapporto con “l’altra metà del cielo”, il “lato oscuro” della tua professione, gli sceneggiatori?

tavola provvisoria (24k)
A casa del Giudice Coleman - P.Frisenda (c) 2005 SBE

Ho grande stima di Sclavi, e credo che la sua fosse soprattutto una boutade. Basta leggere la sceneggiatura di Memorie dall’invisibile pubblicata in volume dal Centro Andrea Pazienza di Cremona, per capire quale tipo di collaborazione lui chieda al disegnatore. Forse non sarà per tutti così, e per quella storia Sclavi aveva a disposizione un Casertano in grande forma, ma comunque... Per quanto riguarda l’episodio che tu hai citato, andò così: quando lessi la sceneggiatura, mi venne in mente quell’idea; l’ho proposta è piaciuta, è passata e ho elaborato quel tipo di contesto che andava non solo a definire quel personaggio e l’ambiente in cui era inserito, ma lo collocava all’interno del paese come una sorta di “sacerdote”, una figura oscura, negativa e oppressiva... In ogni caso, per me, gli sceneggiatori non sono gente.

Hai, magari, da qualche parte, un’ambizione alla scrittura? Vi è magari, per il futuro, il desiderio di essere un cosiddetto “autore completo”?

Qualche idea ogni tanto mi viene, e mi piacerebbe realizzarla... Però, da qui a pensare di scrivere una sceneggiatura completa ce ne passa. Soprattutto perché per adesso quello che mi interessa è affinare il mio mestiere. Nelle mie pagine io ci vedo molti difetti, ci sono cose che proprio non mi convincono, non sono quasi mai contento del risultato finale di un mio albo, e finché non avrò messo a posto questi elementi, non posso pensare, e neanche ho voglia, di occuparmi di altro...

A questo proposito: tu hai avuto la ventura, probabilmente non così casuale, in realtà, di lavorare con due tra i maggiori sceneggiatori che abbiamo in Italia oggi. Aiutaci a curiosare nella bottega dei maestri: come è lavorare con Berardi e con Manfredi?

In realtà entrambi possono essere considerati, per il livello di preparazione culturale, due figure esemplari nel mondo del fumetto. Sono diversi come carattere, ovviamente, e nelle richieste ai collaboratori. Berardi ha una visione del lavoro che prevede il controllo sulla sua storia; Manfredi richiede un intervento più massiccio della personalità del disegnatore: quando affida una storia ad un dato disegnatore, perché l’ha pensata per quel disegnatore, vuole un ritorno da questa persona, e che cioè costui tiri fuori dal suo bagaglio culturale il 50% mancante per completare il lavoro. A volte può essere il 40, a volte il 60, però per completare un albo a fumetti disegnatore e sceneggiatore si devono integrare a vicenda. Per quanto riguarda proprio i due singoli autori, che dire?, sono figure di grande riferimento... Lavorare con Berardi e Manfredi, poi, è un’esperienza importante, per chiunque faccia fumetto oggi in Italia.

Aiutaci adesso a curiosare nella tua bottega... Come lavora Pasquale Frisenda? Lettura integrale della sceneggiatura o ricerca delle tavole con i mostri, lavoro meditato o istintivo?

La mia giornata lavorativa tipo è abbastanza regolare, ho quasi un orario da ufficio, tutto sommato. Di regola lavoro per buona parte della giornata, riuscendo a completare, in media, una pagina al giorno. Ovviamente, siccome non è un lavoro tecnico, può capitare che per una pagina impieghi due giorni, o magari di fare due pagine in un giorno (e preferirei sempre la seconda)...
Il mio metodo di lavoro è questo: quando mi arriva la sceneggiatura completa (e spesso con Manfredi è così) la leggo tutta sottolineandomi le cose importanti dal punto di vista narrativo e della documentazione, e prima di cominciare a disegnare le tavole preparo la documentazione necessaria: ambienti, abbigliamenti, oggetti, armi, anche cose di sfondo, qualsiasi elemento insomma che possano usare i personaggi o che possa essere semplicemente “ambiente”, per caratterizzare una vignetta, una pagina, una scena... Ho una biblioteca abbastanza fornita, di vario materiale: fotografie, illustrazioni, libri di fotografia dell’epoca, cioè che si riferiscono al periodo western, nel caso di Magico Vento, oppure film (nel caso di questo albo per esempio il film di Scorsese Gangs of New York); anche se sfogliando una rivista viene fuori unĠimmagine che mi piace, la tengo da parte, non si sa mai. Poi si comincia... Seguo sempre l’ordine “cronologico” della storia, non faccio nessun tipo di salto... Quando devo creare qualcosa di “immaginifico” faccio degli studi preliminari. È successo così per tutti i mostri che ho disegnato per la serie di Magico Vento: li ho proposti a Queirolo e Manfredi e dopo alcuni suggerimenti sono stati messi a punto e utilizzati. Oppure la prima volta che MV ha indossato la sua “divisa invernale” (n. 8, Windigo), avevo proposto un paio di illustrazioni realizzate apposta. L’ idea è piaciuta immediatamente ed è stato utilizzata. Ogni intervento sul protagonista va sottoposto all’attenzione dell’autore e del curatore di serie. La mia intenzione è sempre stata quella di rappresentare MV sottolineando le sue particolarità e caratteristiche nell’atteggiamento (è uno sciamano), ma anche nelle espressioni. Ho cercato di definire anche il look della cavalcatura di MV, lavorando sulla sella e sulle briglie, cercando di dargli un’idea più “pellerossa”, e cercando di sottolineare le differenze anche con personaggi già esistenti nella casa editrice, come Tex e Zagor.

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Andrea Venturi interpreta Frisenda
(c) 1998 SBE

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Finimenti indiani
Frisenda n.46 (c) 2001 SBE

La tua rinuncia alle copertine è stata dolorosa, o forse le copertine torturano un disegnatore, alla distanza, logorano?

Dipende, naturalmente, da come si vive questo tipo di impegno: per me è stata un’occasione enorme e sono contento di averla avuta, però c’erano delle esigenze a cui io non riuscivo più a rispondere. Ho tentato di trovare un equilibrio tra la qualità delle copertine e la qualità delle pagine che stavo disegnando. Non ci sono riuscito, ho chiesto dunque di essere esonerato dall’impegno delle copertine...

Ma di solito tu ti ritieni severo con te stesso, ipersevero, poco severo o cosa?

Sono molto severo con me stesso.

Con cosa si disegna? Con cosa disegni tu: con la testa, con il cuore o con il ventre? È una questione di raziocinio, di sentimento-emozione o di creatività viscerale?

Direi che è un insieme di cose... Quando si riesce a realizzare qualcosa di efficace significa che questi elementi sono stati utilizzati al momento giusto, cioè si è riusciti a essere razionali per raccontare la storia in maniera chiara, essere viscerali quando devi tirare fuori qualcosa di tuo e essere incisivo graficamente; col cuore direi in qualche modo sempre, perché si deve partecipare a quello che si fa, crederci... Non sempre magari ci si riesce, però...

Domanda da un milione di dollari: il fumetto è in crisi?

Certo non è il periodo migliore. Ci possono essere segnali di crisi, o di stagnazione. Ma credo che il fumetto non abbia problemi di rinnovamento. Almeno, per come la vedo io, è un mezzo di espressione con enormi potenzialità.

E a te, cosa piace? Spesso chi fa l’attore non va mai a teatro, quando uno fa lo scrittore non legge mai un libro, perché quando diventa il tuo mestiere fai fatica a misurarti con gli altri. Tu facendo il disegnatore riesci ancora a leggerti un fumetto divertendoti, e quali ti piacciono?

Io ne leggo ancora tanti... Tanti e di tutto. Anche cose che mi sono lontane, come il fumetto giapponese, e devo dire che ci sono autori che mi piacciono parecchio... Leggo di tutto, perché non ho difficoltà a trovare in ogni serie, in ogni personaggio, qualcosa di interessante. Naturalmente seguo gli autori che mi piacciono di più, e sto attento a quello che esce di nuovo sul mercato. I miei riferimenti vanno da Battaglia a Corben , da Toppi a Miller, da D’Antonio a Moebius. Ho una particolare passione per Alberto Breccia, Enrique Breccia, Mandrafina e nel complesso il fumetto argentino. Sono molto legato a riviste tipo L’Eternauta (almeno i primi 50 numeri), Metal Hurlant, Orient Express.

Visto che stiamo parlando di questo, come giudichi le operazioni di Repubblica tipo Grandi Classici del Fumetto? Sono una bieca operazione di cassetta che se fan bene a qualcuno, fan bene solo a loro, o hanno una loro importanza perché rimettono sotto i riflettori anche cose che tutto sommato non ci sono più?

Io la considero in maniera più che positiva. Su alcune scelte si potrebbe discutere; in particolare alcuni personaggi, posso capire che abbiano un riscontro, ma da qui a farli arrivare su una serie che si definisce Classici del Fumetto, magari è troppo. Questo non esclude la pubblicazione di questi titoli, ma magari in una collana di respiro molto più ampio. In ogni caso, indipendentemente da tutti i discorsi che si possono fare io lo considero un progetto coraggioso e importante. Non so se questa iniziativa o iniziative successive a questa porteranno nuovi lettori, ma in ogni caso credo che qualsiasi operazione fatta con intelligenza e attenzione, tipo questa di Repubblica, male non faccia, sicuramente.

Parlando d’altro, e per conoscerti un po’ meglio: cosa ti piace, a livello di altre arti?

Sono un grande appassionato di cinema, a 360 gradi. Anche qui, come nel fumetto, cerco di guardare qualsiasi cosa, anche ciò che magari è lontano dal mio gusto. Sicuramente il cinema americano, soprattutto la produzione della metà anni Sessanta a tutti gli anni Settanta, è il cinema a cui mi sento più legato. Qualsiasi genere, western, fantascienza, poliziesco, guerra: è proprio un metodo narrativo che sento vicino; titoli tipo Apocalypse Now, Taxi Driver, Il Mucchio Selvaggio, Alien. Registi preferiti: Welles, Kubrick, Coppola, R. Scott, Polanski, Hitchcock, Peckinpah, Spielberg, Scorsese...

E la musica? Sei solito disegnare con la musica?

Sempre direi. Molta e varia. Dalla musica blues e jazz al rock (anche il più duro), ai cantautori italiani, De André e Fossati su tutti.

Senti, tocca fare anche questa domanda: chiude per la Bonelli tutta una serie di testate, alcune anche storiche... Come si deve interpretare questa cosa, sia in seno alla Bonelli, anche senza finire nel gossip, che in seno al fumetto italiano? È segno di qualcosa che non va o è un normale segno dei tempi (qualcosa si chiude perché cambiano i gusti, ma qualcosa di nuovo si aprirà)?

Mi auguro che sia questa seconda ipotesi, che sia un segno di cambiamento. Devo dire che per la chiusura di Mister No mi dispiace molto. Alcune proposte hanno esaurito la loro spinta, e credo che sia inevitabile una chiusura o un ridimensionamento di produzione, anche se può dispiacere molto per alcuni personaggi. Ma ci sono iniziative all’orizzonte, che possono segnare una nuova direzione...

L’ultima domanda è inevitabile: progetti futuri?

Ci sono progetti a cui sto prestando una certa attenzione, in effetti... Una cosa che mi piacerebbe fare e che ho già iniziato a fare è crearmi occasioni di lavoro per brevi storie: dieci, venti pagine da pubblicare in vari contesti, anche fuori dall’Italia. Perché cambiare anche generi, ambienti e anche stile grafico è una boccata di ossigeno ma anche un modo per mettersi alla prova, cioè ce la faccio a fare questa cosa del genere o no? È nelle mie corde? Per me è molto stimolante

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Una splendida tavola da Lontano dalla Pioggia
di Fissore-Frisenda, su Alta Fedeltà 3

In realtà non è tutto qui: stiamo parlando già da un’ora e dieci, ma a costo di fare la figura dei nerd, e senza ritegno, concludiamo l’intervista chiedendo a Pasquale di farci un disegnino. No, in realtà non ci interessa: non siamo di quelli maniaci del souvenir d’autore, e ci sembra sempre che questi prodotti non siano all’altezza della fama dei loro disegnatori; no, è che proprio siamo bastardi dentro, e vogliamo vedere fino a che punto si spinge la disponibilità di Frisenda. Siamo anche intimamente convinti che ci dirà di no, e vogliamo vedere che faccia farà per dircelo. Insomma, vogliamo proprio metterlo in difficoltà, sentirlo finalmente umano e non divinamente disponibile.

Appunto.

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La disponibilità di Frisenda

 
 


 
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