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Toh, un altro mostro. . . recensione di Francesco Manetti Un gruppo di esploratori viene attaccato da un Windigo, un mostro avido di carne umana. Lingua Diritta, la guida indiana del gruppo, riesce a fuggire, ma viene reso schiavo dallo sciamano ojibway Piccola Roccia. Chi porterà allora soccorso ai sopravvissuti? Chi ucciderà il mostro? Niente paura, guarda caso Magico Vento si trova a passare proprio da quelle parti...
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Dopo la ricchezza di situazioni, di personaggi e di ambientazioni della storia precedente (MV n.6/7), non a caso divisa in due albi, Manfredi ci offre, con "Windigo", un intreccio ridotto praticamente all'essenziale, pochi se non pochissimi personaggi e una ambientazione pressoché costante (la foresta nella quale imperversa il Windigo e, dieci miglia più a valle, la capanna dove abitano Piccola Roccia e le figlie di Fuoco Vorace). Tutto ciò non costituisce certo di per sé un difetto. Il problema, se così si può dire, consiste forse nel fatto che i presupposti che stanno alla base dell'esile intreccio sono spiegati un po' troppo semplicisticamente (esempio: il motivo per il quale Fuoco Vorace si è trasformato in Windigo) o sono addirittura ben poco chiari (per quale effettiva ragione Piccola Roccia e le figlie di Fuoco Vorace continuano a vivere a poca distanza dalla foresta dove regna il Windigo? E perché lo sciogliersi del feticcio fa sì che Guardiana si trasformi a sua volta in un Windigo? E perché lei vuole trasformarsi in un Windigo?).
Il vero punto debole del soggetto è però rappresentato dal finale. Lo so che concludere l'albo con la sconfitta del Windigo per mano di un Magico Vento a petto nudo non mi avrebbe probabilmente strappato altro che uno sbadiglio; ma la repentina trasformazione in Windigo di Guardiana mi è parso un colpo di scena assai fiacco, per non dire vagamente ridicolo, vista anche la rapidità con la quale Poe riesce a sbarazzarsi di questo nuovo mostro. Il soggetto, fortunatamente, viene però riscattato almeno in parte dalla sceneggiatura. I dialoghi sono sempre ben scritti e conferiscono un buon spessore psicologico ai personaggi, in particolar modo ai due comprimari principali, Lingua Diritta e Piccola Roccia (peccato che quest'ultimo scompaia praticamente a metà albo). La pressoché assoluta mancanza di didascalie e il situare quasi sempre lo stacco fra diverse "sequenze" nei punti di passaggio fra una tavola e l'altra danno scorrevolezza e dinamicità alla storia. Ho trovato particolarmente suggestivo, inoltre, il taglio di molte vignette. Penso, ad esempio, alle vignette 4, 5 e 6 di pag.57, con la soggettiva del Windigo che cala progressivamente su uno degli esploratori, sovrastato altrettanto progressivamente dall'ombra del mostro stesso. ![]() ![]() ![]()
Frisenda dimostra, con queste sue tavole, di aver ormai raggiunto il primo stadio della sua maturità. Siamo ben lontani dalle incertezze e dal tratto talvolta troppo "spesso" delle sue prime prove sul Ken Parker Magazine. Se è vero che il soggetto è riscattato dalla sceneggiatura, è forse ancor più vero che esso è riscattato dai disegni. O potremmo addirittura dire che forse le stesse soluzioni di sceneggiatura come quella alla quale ho accennato poco sopra brillerebbero assai meno se fossero state realizzate da disegnatori meno abili di Frisenda (formatosi sulle sceneggiature di Berardi, e con Milazzo per maestro!). Suggestivo, ad esempio, il modo col quale, nella terza vignetta di pag.64, Frisenda delinea la sagoma del Windigo. Da notare, inoltre, come Frisenda sia per il momento l'unico disegnatore della serie a conferire un'ampia gamma di espressioni al viso dei personaggi. Persino Magico Vento, di solito perennemente accigliato, viene ad avere, in questo albo così come ne "La bestia" (MV n.4), almeno un paio di espressioni in più ;-). Ancora non del tutto convincente, di contro, e talvolta addirittura poco leggibile quasi tutto ciò che non è la figura umana. ![]() ![]() ![]()
In definitiva, un albo forse non memorabile, forse non imperdibile, ma nel quale si può trovare senz'altro qualcosa di appagante. Mi lascia un po' perplesso il fatto che le storie di Magico Vento sembrino limitarsi, a parte un paio di eccezioni, allo schema eroe vs mostro o entità soprannaturale. E' senz'altro interessantissimo che Manfredi attinga a miti e leggende degli indiani d'America, ma non corre il rischio di ripetersi? E soprattutto, una volta finito il repertorio dei mostri e una volta risolta la rivalità di Magico Vento e di Poe con Hogan, non rischia di rimanere a corto di materiale narrativo? Spero di sbagliarmi, ma, per quel che abbiamo potuto vedere sinora, Magico Vento, ancor più che Napoleone, mi sembrava forse più adatto a una miniserie di una ventina di numeri.
Due parole sulla copertina. Avete notato le analogie fra la copertina di "Windigo" e quella del Nathan Never n.79 "Incubo nello spazio"?. In entrambe è raffigurato il braccio viola di un mostro che sbuca da sinistra e l'eroe sulla destra con un'arma in mano, pronto ad affrontare il mostro. Fra le due copertine mi pare molto più bella quella di "Windigo", perché Magico Vento riempie di più la copertina, perché la mano del mostro è più in evidenza e più "inquietante" nella sua scheletricità e perché, per il modo in cui è posta, essa suggerisce in modo più incisivo il senso di minaccia nei confronti del personaggio. Lo sfondo completamente bianco, inoltre, fa risaltare maggiormente le due figure. Una volta tanto, dunque, il bravissimo De Angelis, al quale è stato persino conferito il premio INCA per la splendida copertina de "Il sogno della farfalla" (NN n.72), viene "superato" da Venturi ;-).
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