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Diavoli angelici assieme ad angeli infernali (e che nessuno citi Dan Brown, please). Un Dylan Dog fragile ago di una ancor più fragile bilancia, costretto, come forse mai prima d'ora, a confrontarsi con se stesso!
Polvere e Cenere. . .
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...ovvero ciò che si cela dietro i nomi dei due protagonisti di questa storia... ...ovvero tutto ciò che rimane dopo aver assaporato l’amaro calice di una “condanna a vagare sulla Terra per l’eternità, con l’obbligo di non interferire, costretti ad agire in senso contrario alla propria natura, e immortali”... ...ovvero quanto sembra rimanere, da un certo punto di vista, dei caratteri e del mondo dell’Indagatore dell'Incubo.
Prima domanda: La storia ha un inizio ed una fine? La “vera” storia inizia chissà dove e chissà quando, proseguendo in maniera (forse volutamente) affannata attraverso la ricostruzione degli eventi precedenti, fino alla sua naturale conclusione, a pag.57. Nota: La Barbato non è nuova all’utilizzo di un’architettura del genere: esempio analogo è da ricercarsi nel n.189, laddove però la presenza di un poderoso “spiegone” finale – caratteristica ricorrente nella prima fase produttiva dell’autrice – presenta quantomeno il merito di stabilizzare il binario della narrazione entro una conclusione tutto sommato “ad effetto”, ma in definitiva compiuta.
Seconda domanda: E’ ancora possibile parlare della cosiddetta “Triangolazione della Barbato” (cfr. l’omonimo articolo)? Nel primo scontro abbiamo Dylan-Bello, Dust-Brutto e Ash-Cattivo. Il bello ed il brutto sconfiggono il cattivo. Nel secondo si aggiunge Leslie-Brutta (che va a rafforzare non solo Dylan), ma compare anche un Ash che da Cattivo si trasforma in un alleato del Bello, contro un Dust che invece da Brutto si è convertito a Cattivo. La domanda quindi è: l’autrice ha questa volta volutamente aggrovigliato lo schema della triangolazione (perché, consciamente oppure inconsciamente, è indubbio che l'abbia fatto), oppure è nuovamente un caso? E' intanto da notare che la copertina (che richiama una vignetta dell'albo) ripropone esattamente la scena del duello. Cambia insomma ancora la caratterizzazione dei personaggi, ma resta comunque "il duello" quella costante narrativa che per Paola Barbato rappresenta il culmine della narrazione in una storia di Dylan.
Terza domanda: Ash e Dust sono semplicemente le due facce di una stessa medaglia? Dust è la polvere che deriva dalla consunzione, Ash è la cenere vomitata dalle fiamme.
Un desiderio corrottosi nel tempo, innervatosi lungo una spirale di autoreferenzialità, ed arenatosi infine nell’impossibile sillogismo di un comprendere PER il comprendere. Un infinito e logorante gioco di rimandi. Logorante, appunto. Fino all’estremo disfacimento. Fino alla polvere.
Ash, come cenere, ha dalla sua l’apparente lucentezza di ciò che, per un attimo, sopravvive all’abbraccio del fuoco. L’apparente grazia di un aspetto androgino che racchiude il veleno del serpente, contrapposta alla rude ma più sincera trasandatezza del suo “duale”. L’apparente conoscenza del reale e degli uomini, propria di chi ha abitato una dimensione a questa inferiore, prendendola così come immediata e necessaria coordinata di riferimento.
Quarta domanda: A cosa è realmente predestinato Dylan Dog?
Volendo partire da più lontano, il successo di Dylan è stato dovuto prevalentemente al fatto che egli incarnava tutta una quantità di ansie giovanili tipiche della seconda metà degli anni ‘80. Vegetariano, salutista, animalista, un conflitto ansioso e irrisolto con le donne; idealismo di quegli anni, rifiuto del dramma (culturale, dopo gli anni ‘70 in Italia) in favore dell'ironia. Piaceva semplicemente perché incarnava quello che molti avrebbero voluto
essere, era semplicemente lo specchio di una visione sociale ancora non realizzata, slegata da un modello morale e sociale che appariva "vecchio". Sclavi ha poi tentato di "rimodulare" Dylan con i tempi, che però sono cambiati più velocemente di lui. Negli anni '90 Dylan non è più stato "altro" dal lettore, ma è diventato icona della contestazione, in quanto incarnazione non più di un idealismo teorico, ma di stili di vita concreti e non accettati da tutto il panorama giovanile. Anzi, la dicotomia tra due diversi modi ("impegnato" e "leggero") di vivere la gioventù ha fatto sì che Sclavi si perdesse nella rimodulazione del personaggio, abbandonando quello che di nuovo Dylan aveva apportato a livello culturale e toccando invece temi sociali, politici e sconfinando in una retorica che ovviamente non funzionava più. Palese conseguenza di ciò è stato il fatto che Dylan, da un certo punto in poi, ha (necessariamente) iniziato a campare di rendita, ritrovandosi per certi versi arroccato su uno stereotipo di avventura horroreggiante che però non aveva più niente di realmente innovativo. Medda ha fatto probabilmente il miglior Dylan del periodo, perché aveva cose da dire nonostante il personaggio, che nel suo caso ha recuperato il ruolo di "spettatore" di vicende non sue.
L'extrema ratio della Barbato, perpetrata attraverso il già citato tentativo di dare a Dylan una struttura nuova, più legata alla continuity e più personale nell'evoluzione caratteriale, sancisce definitivamente l'umanizzazione di Dylan, togliendolo dal limbo ideale in cui è rimasto per un decennio a rappresentare uno stereotipo che non esisteva più; una prospettiva complementare del medesimo fenomeno si manifesta d'altronde anche nell'intenzione di attribuire, probabilmente in un futuro neanche troppo remoto, un passato a Groucho (anche qui, citazione en passant nell'albo di una situazione ancora irrisolta).
È quindi a questo proposito significativo che ad evidenziare tale necessità (ma lo era poi davvero?) sia stata un’autrice con un passato da lettrice che, una volta passata dall’altra parte della “barricata”, ha sostanzialmente operato un’evoluzione di questo modus interpretativo, basato su una non meglio specificata necessità di restituire Dylan (sia esso icona, uomo o personaggio) ad una dimensione soggettivamente più reale. Quello che esce quindi da questa storia è un personaggio stravolto, piegato nelle sue caratteristiche costitutive alle necessità di confessione pubblica dell'autrice. Sclavi usava le storie per farlo, per denudarsi, la Barbato fa uso del personaggio, dandogli in tal modo una dimensione umana che non aveva, e che lo banalizza, svuotandolo di significato simbolico.
Cenni conclusivi: Dylan Dog è nato e si è strutturato come specchio dei tempi, riflessione sui tempi, filtro dei tempi. La sua formula si è rivelata vincente per questo motivo, e naturalmente si tratta di una formula gravosa, perchè i tempi mutano, si evolvono, triturano i propri simboli. Quanto meno quelli che non sanno reinventarsi. Come accade a Dylan nelle mani della Barbato che, appunto, NON lo reinventa - che ciò sia conscio o meno - ma lo trasmuta, da simbolo in persona. L'attribuirgli un passato, a lui come - chissà - a Groucho, l'attribuirgli dei possibili futuri, una continuity, questo significa: trapassare dall'icona all'essere umano.
Il resto ne esce invece quasi come "maltrattato", con un accostamento tra bianchi e neri dagli esiti altalenanti, ed una galleria di fisionomie non sempre coerenti tra loro (tra cui alcuni visi di Dylan e - molti - di Leslie). Dall'altro lato, l'apparente androgina purezza di Ash spicca (e per fortuna!) come un pugno nell'occhio, permettendo all'autore di raggiungere i 4/7 della valutazione finale (ovviamente, unitamente ad una non celata ricerca dell'effetto e dell'inquadratura spettacolare: basti pensare alle pag.53, 72 ed 87). E' quindi d'obbligo aspettarsi ulteriori passi in avanti verso una più compiuta maturazione stilistica.
Vedere anche la scheda della storia
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