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" Goliath "

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C’ era una volta. . .
recensione di Vincenzo Oliva



TESTI
Sog. e Sce. Pasquale Ruju    

... c’era una volta Ruju; autore che iniziò benissimo la sua militanza bonelliana, tanto sulle pagine di Dylan Dog che su quelle di Nathan Never, inanellando una serie di storie dal buono al molto buono. Vorrei ricordare NN n.75 "India", e alcune delle sue prime storie per Dylan; nel quarto gigante: la quinta storia "Il vicino di casa"; nel quinto gigante: la prima storia "Il canto della sirena"; e il DD speciale n.11 "Il treno dei dannati".

Dopo queste prove iniziali, però, che ben lasciavano sperare nell’arrivo in casa Bonelli di un nuovo "big", la vena di Ruju si è progressivamente, e sempre più velocemente inaridita, imbolsita, sclerotizzata e, in una parola: banalizzata.

Dal suo ultimo NN, n.94 "La dama di ghiaccio", una delle storie più deboli della produzione bonelliana degli ultimi anni (si veda la recensione) alle recentissime storie per Dylan, buona ultima questa dimenticabile "Goliath", è un rincorrersi di errori marchiani, stereotipi, luoghi comuni, frasi fatte, dialoghi senza alcuna aderenza alla realtà. Tutto questo senza contare il buonismo che Ruju spande a piene mani, sotto forma (non solo) degli immancabili - e terribilmente noiosi - predicozzi che l’autore mette in bocca ai personaggi; in una gara a superare la vena predicatoria dello Sclavi più recente.

"Lanciamo un appello per salvare Dylan dal pericolo di diventare il Savonarola del fumetto!"
   
Anche in questo albo speciale non si è persa l’occasione per fare la morale, e benché l’intermezzo sia più breve e circoscritto del solito (si veda a pag.119 la "lezioncina" che Dylan impartisce a Urizen nella sua incarnazione come Dwight Shermann, che essendo un industriale era il candidato ideale per gli strali dell’investigatore dell’incubo), insisto nel dare il voto alla sceneggiatura secondo quanto da me detto nella recensione dell’albo n.155 "La nuova stirpe". Per altro, in questo caso la storia è molto debole a prescindere dalla predica inseritavi.

"Una storia dimenticabile, con troppi luoghi comuni e frasi fatte!"
   
Soprattutto una storia dimenticabile, come dicevo. Una storia abbastanza campata in aria sin dall'inizio, quando troviamo Dylan coinvolto in una missione di salvataggio in pieno mare perché: "Charlotte mi ha detto che sei un uomo capace di affrontare le situazioni più imprevedibili...". E per un motivo del genere l’indagatore dell’incubo prende la nave (lui??) e si getta a capofitto in un’avventura che, per quanto era dato sapere, aveva i connotati di un’impresa per evitare un possibile disastro ecologico e per salvare le persone intrappolate sulla piattaforma petrolifera Goliath? Cosa c’entra questo con l’indagatore dell’incubo? Bah....

Si prosegue con Elke Kristiansen, capitano donna della petroliera che trasporta il gruppo di salvataggio. Sinceramente non ho idea di quante siano (se ve ne sono...) le donne al comando di navi di quella stazza, tuttavia, se proprio era inevitabile fornire anche questa volta a Dylan la sua immancabile avventura a sfondo erotico-sentimentale si poteva trovare una soluzione che apparisse meno improbabile. Senza contare l’assurdo di Dylan ed Elke teneramente abbracciati, all’aria aperta sulla piattaforma, dopo l’interludio amoroso, Dylan essendo a torso nudo: fino ad allora la storia aveva dato l’impressione che facesse freddo, e anche molto!

Proprio il personaggio di Elke, insieme a quello dell'altra donna presente nella storia, Jenna Walken, evidenzia l'attuale stato di crisi dell'autore: segnalatosi in passato per la cura amorevole e la partecipazione emotiva con le quali sapeva ritrarre le figure femminili (la India del citato NN n.75, e la sirena dell'altrettanto citato gigante di DD ne sono ottimi esempi), Ruju non riesce ad andare, con le figure femminili di questo albo, oltre una rappresentazione puramente funzionale (Elke è la "donna del mese" di Dylan e null'altro; Jenna la donna in carriera), senza tentare un minimo di approfondimento della personalità delle due.

Ruju gestisce molto male anche il "mostro", Urizen. Presentatoci come un essere che mangia altri viventi, assorbendone con il corpo fisico anche la personalità, annullandola nella totalizzante uniformità del proprio essere. In realtà sul finale della storia Urizen sembra avere la personalità e gli intenti di Dwight Shermann, come se fosse stato il boss della Shermann oil a prevalere su di esso e ad usarne come cassa di risonanza della propria volontà. Bah...

Ad affossare definitivamente la storia, provvede poi l’ultima pagina, con la classica trovata finale - non solo vista innumerevoli volte sulle pagine di DD - ma soprattutto (in)degna delle peggiori pellicole horror di serie B: i mostri non sono mai sconfitti definitivamente alla prima occasione perché il mondo degli uomini è cattivo, e la sua malvagità (si legga: la sua non osservanza delle "leggi" naturali) deve essere punita. E tutto questo dovrebbe aumentare la carica orrorifica della storia? Bah!

Per chiudere, una parola sui dialoghi, che, francamente, risultano spesso infarciti di battute fuori luogo e di luoghi comuni (nella "tradizione" della produzione più recente dell’autore).

Un esempio? Eccolo (Dylan, Groucho ed Elke non sono ancora in salvo dal pericolo di finire nel mare in tempesta e vengono tirati su a braccia sulla piattaforma Goliath):

Dylan: "Tra un minuto saremo in salvo. E dopo, se permettete, vorrei poter svenire in santa pace!"

Groucho: Non è una cattiva idea, capo. Credo che ti farò compagnia!"



DISEGNI
Nicola Mari    

... e c’era una volta Nicola Mari.

Già in passato (si veda Il caso Nicola Mari) avevo espresso i miei dubbi sulla "svolta" stilistica di Mari, iniziata con DD n.141 "L’angelo sterminatore" e sulle sue possibili cause, esterne o meno che fossero all’artista. La stima per questo grande disegnatore (che resta intatta, non fosse altro che perché sappiamo quali siamo le sue enormi potenzialità) imponeva che si ritenesse tale svolta dettata da un convincimento profondo dell’artista e da null’altro; alla ricerca di una nuova strada che lo portasse ad ottenere una maggiore leggibilità ed una personale sintesi grafica, seppur a discapito di quel suo tratto nervoso ed angosciante, miracolo di espressività e profondità drammatica, strumento perfetto per esteriorizzare l’interiorità dei personaggi.

Se questo era lecito attendersi da Mari: la ricerca di nuove vie espressive, ed il conseguimento di un nuovo stile all’altezza della sua statura, ora questa attesa non è che una speranza sempre più esile.

"Mari è ancora alla ricerca di una sua nuova dimensione artistica, di una nuova forma espressiva..."
   
Le tavole di questo albo ci rimandano l’immagine di un artista in crisi profonda, che non sa più quale sia la sua collocazione, quale la sua arte, le sue possibilità. Perduta completamente - e vogliamo ancora sperare non definitivamente - la sua forza espressiva (mettono tristezza quegli sguardi spenti dei personaggi: Mari sapeva trasmettere universi di angoscia e di dolore attraverso gli occhi dei suoi personaggi), l’artista resta come "indifeso" di fronte a un disegno che si fa approssimativo, poco curato persino (forse anche problemi di tempo?). E non ne guadagna la leggibilità delle vignette, i cui neri profondi da veicolo - quali erano - della tensione drammatica delle storie, si fanno piatti ed appesantiscono l’azione.

Privatosi (o semplicemente privato?) del fascino racchiuso in quella sua lettura ermetica del testo - eppure in grado di mostrare al lettore ogni minuto dettaglio tragico delle vicende assegnate al suo pennello -, Mari regredisce a disegnatore anonimo, funzionale alla rappresentazione di una normale storia avventurosa; non più in grado di dare alla storia stessa il valore aggiunto della sua capacità di interpretare e vivificare nel profondo i personaggi.

Il giudizio sui disegni appare - ed è - eccessivo. Pur nell’evidenza di una crisi profonda, Mari resta autore di valore. E’ più un "grido di dolore", questo mio, al quale vorrei aggiungere un augurio: lasciato il passato alle spalle vorrei che Mari trovasse questa nuova via di cui sembra alla ricerca, e gli auguro di riuscirvi presto!



GLOBALE
 

Da un albo speciale si vorrebbe una storia speciale. Può sembrare lapalissiano, ma non lo è quando ci si riferisce agli fuori serie della SBE.

Oggi come oggi solo Martin Mystére e Mister No tengono fede in modo consistente alla "filosofia" che dovrebbe essere sottesa ad un albo speciale, con storie che si distaccano (anche nettamente) dalla routine delle serie regolari.

"Anche "Goliath" è uno speciale senza caratteristiche... speciali!"
   

Non se ne distacca certo questo "Goliath", che anzi avrebbe potuto essere ospitato senza colpo ferire nella serie mensile: la storia non ha nulla di "speciale", né, tanto meno, di memorabile. Stano, poi, presta a questa storia una delle sue prove meno convinte come copertinista: quel Dylan mezzo voltato, minacciato da mostri così abituali e stereotipati che più non si può è proprio una cosa miserella, come se l’artista avesse deciso di mantenere il suo sforzo interpretativo al livello di piattezza dell’albo.

Dal prossimo anno, come ricordato anche nell’introduzione di questa avventura dell’investigatore dell’incubo, quasi tutti gli speciali bonelliani rinunceranno all’albetto allegato. Speriamo che ciò sia foriero di storie dallo spirito rinnovato e un po’ più "speciali", perché per quest’anno è sicuramente "Goliath" a dover essere considerato come allegato del Grouchino.....
 

 


 
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