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Critics on infinite earths di Moreno Burattini, critico e autore bonelliano
Roman Gubern, semiologo spagnolo con all'attivo anni di ricerche e di insegnamento nel campo dei mezzi di comunicazione di massa (cinema, televisione, letteratura popolare) e noto soprattutto come massimo studioso dei codici espressivi del fumetto, lamenta, nella prefazione all'edizione italiana del suo saggio "Il linguaggio dei comics", come il mondo della cultura abbia cominciato a interessarsi della "letteratura disegnata", solo nel momento in cui l'egemonia sul pubblico di questo mezzo d'espressione entrava in crisi, soppiantato nella sua funzione narrativa dalla concorrenza di altri veicoli di affabulazione, quale, soprattutto, la televisione. Insomma, secondo Gubern, l'"età dell'oro" del fumetto "è passata sotto il naso degli intellettuali senza che questi nemmeno se ne accorgessero" . Nati come forma di comunicazione sociale di taglio estremamente popolare, diffusi attraverso la stampa quotidiana e periodica a grandissima tiratura e dunque facenti parte fin dalle origini dell'ambito della cosiddetta "cultura di massa", i fumetti sono stati a lungo ingiustamente ghettizzati, nonostante con il passare del tempo avessero cominciato a maturare codici di convenzione stilistica e narrativa tutt'altro che banali, fino a raggiungere, in alcuni casi, vette di indiscutibile valenza artistica. Benché tardivo, l'interessamento da parte degli eruditi verso i fumetti, iniziato a metà degli anni Sessanta, ha comunque prodotto una già rispettabile bibliografia internazionale sulla storia, l'estetica e la sociologia dei comics. In Italia, il primato dell'apertura dell'intellighenzia allo studio del fumetto va attribuito a Elio Vittorini. Lo scrittore (ma anche critico, traduttore, giornalista, politico e organizzatore culturale) dichiarava, in una intervista raccolta da Umberto Eco e apparsa sul primo numero della rivista "Linus" (aprile 1965): "Io mi sono sempre interessato di fumetti da tempi lontanissimi, da quando ero ragazzo. Me ne occupavo anche ai tempi del "Politecnico " e ricordo che una volta ho pregato Del Buono di intervenire su certi fumetti americani parlandone non soltanto sotto il profilo sociologico, come succede di solito, ma anche sotto il profilo storico (...) Del resto, uno "spirito di fumetto" c'era anche nel tipo di impaginazione che usavo per il "Politecnico" dove poi c'era una appendice interamente dedicata ai fumetti. Trevisani vi curò la pubblicazione di Li'l Abner e di Barnaby, il ragazzo afflitto dalla psicanalisi. Le storie di Barnaby erano uscite durante la guerra e noi su "Politecnico" ne riportammo due o tre" . Eco, successivamente, avrebbe ricordato quell'intervista meglio inquadrando il tipo di rapporto esistente tra Vittorini e i fumetti: "La forza di Vittorini stava in questo: leggeva i fumetti, si divertiva con freschezza, ne ragionava con rigore critico, cercava di capirli, di farli capire, di giudicarli, nel bene come nel male, senza false compiacenze, senza snobismi. Non li "accettava", li affrontava perché esistevano, e dunque dovevano significare qualcosa, e lui non poteva sottrarsi, doveva gettarsi anche in questa mischia, per chiarire, per capire, per far capire" . La critica fumettistica italiana ha comunque una precisa data di nascita: il 21 febbraio 1965. "Fino ad allora il fumetto s'era trascinato dietro la nomea di intrattenimento adatto solo ai bambini, se non addirittura ai subnormali - scrive il saggista Gianni Brunoro, uno dei "padri fondatori" della critica fumettistica stessa, rievocando quel giorno in un articolo sulla rivista specializzata "If" - Fumetto uguale incultura fu per decenni un'equazione inespressa ma inevitabile, specie nel mondo accademico, amministratore ufficiale della cultura e della critica. Tutto ciò fino a quel famoso appuntamento del 21 febbraio 1965". In quel giorno, a Bordighera, si aprì il Primo Salone Internazionale dei Comics: la prima manifestazione dedicata alla "letteratura disegnata" nel nostro Paese. In precedenza, interventi occasionali e sporadici di natura critica ce n'erano pur stati, ma senza nessuna precisa volontà di gettare i presupposti per uno studio scientifico della materia, senza l'intenzione di organizzare una sua disamina tale da costituire la base per ulteriori approfondimenti, senza la forte convinzione che l'argomento meritasse tanta attenzione. Esattamente quattro anni prima, nel febbraio 1961, era stato presentato quello che oggi dobbiamo considerare il capostipite di ogni opera critica sul fumetto in Italia, "anzi, in Europa", come precisa Brunoro. Una piccola opera che, per quei tempi, esigeva un grande coraggio: era il volume I fumetti, pubblicato nella elegante e prestigiosa collana tascabile dell' Enciclopedia Popolare Mondadori, opera del giornalista veneziano Carlo Della Corte, allora in forza alla redazione milanese di "Oggi". Senza quel libro, è lecito sospettare che solo molto più tardi si sarebbe avuto un riconoscimento ufficiale dei comics da parte del mondo della cultura. Nel 1962 era uscita in edizione italiana, da Garzanti, l'antologia francese I primi eroi, presentata da René Clair e curata da François Caradec; nel 1964 Bompiani aveva pubblicato "Apocalittici e integrati" di Umberto Eco. Però, solo l'occasione fornita da Bordighera servì a gettare le fondamenta per una strategia comune intesa a strutturare verso i comics un tipico approccio critico degno di tale nome. Proprio nel corso di quel Salone, infatti, si tenne il primo convegno di studiosi, sotto forma di una "Tavola Rotonda Internazionale sulla Stampa a Fumetti", svoltasi sotto l'egida di un importante ente culturale come l'Istituto di Pedagogia dell'Università di Roma, diretto da Luigi Volpicelli, uno tra i primi accademici a interessarsi dell'argomento. "Per parteciparvi - racconta ancora Gianni Brunoro - s'erano dati convegno fior di nomi della cultura, dallo stesso Volpicelli al suo assistente Romano Calisi, alla loro collega francese Evelyne Sullerot, da Ernesto Guido Laura a Claudio Bertieri, a Roberto Giammanco a vari altri, compresi Umberto Eco e Gioacchino Forte". L'editore Sergio Bonelli ricorda quei giorni con queste parole, contenute nella sua prefazione al volume "Eroi di Inchiostro", di Antonio Serra, Giovanni Garbellini e Alberto Ostini: "Fino a pochi anni fa, difficilmente il fumetto era considerato un medium a tutti gli effetti, quindi difficilmente qualcuno lo analizzava o lo studiava, sia come fenomeno sociale, sia nelle sue strutture narrative e grafiche. I fumetti sono stati considerati per anni "roba da bambini", un fenomeno relegato all' adolescenza, con risvolti anche diseducativi e quindi potenzialmente "pericolosi". Poi, però, le cose sono cambiate. Dallo storico salone di Bordighera del 1965, in cui l'Università di Roma organizzò per la prima volta un incontro dedicato ai fumetti, molta acqua è passata sotto i ponti: il fumetto è maturato sia dal punto di vista stilistico e strutturale, che da quello contenutistico, diventando spesso in grado, più di altri media, di interpretare la realtà che ci circonda e i desideri e le aspirazioni di diverse "fasce" di pubblico, dai più giovani agli adulti. E così sul mio tavolo sono apparsi articoli, saggi, tesi di laurea... un florilegio di interventi critici che mi hanno inorgoglito come editore e come parte di un mondo che è sempre vissuto in sordina". Pochi mesi dopo la manifestazione bordigherese, usciva in edicola la prestigiosa rivista di fumetti "Linus", diretta da Oreste Del Buono, altra importantissima figura del criticism di casa nostra. L'anno successivo, nel 1966, il Salone si spostò da Bordighera a Lucca, città che da allora è rimasta la capitale italiana del fumetto. Sarebbe interessante (e speriamo che qualcuno prima o poi lo faccia) seguire lo sviluppo della critica fumettistica italiana da quei giorni fino ai nostri, tracciandone la storia. Tuttavia la brevità richiesta di solito alle introduzioni richiede che ci si limiti a tre brevi considerazioni che potranno comunque valere come spunto per ulteriori discussioni future. La prima considerazione è questa: nonostante i fumetti, dagli anni Sessanta in poi, siano lentamente usciti dal ghetto e, sia pur non sempre e non dappertutto, non sia stata più negata a priori la loro dignità culturale, tuttavia gli accademici (o più generalmente gli intellettuali) italiani che abbiano davvero studiato i comics dedicando loro una attenzione costante sono stati davvero pochi. Viene subito in mente il nome di Antonio Faeti, che spicca su tutti per quantità e qualità di saggi critici, ma poi gli studiosi che potremmo affiancargli se volessimo stilare un elenco si conterebbero davvero sulle dita di una mano e forse ne avanzerebbero pure. Dalla lista andrebbero infatti esclusi personaggi illustri come Umberto Eco o Goffredo Fofi, che hanno dedicato al fumetto un'attenzione sporadica e molto circoscritta, e altri ancora, come Vittorio Spinazzola, che ne hanno scritto solo nell'ambito di un loro interesse verso una generica letteratura popolare di genere, senza però volontà di approfondimento, continuità nello studio e soprattutto senza dimostrare completa conoscenza dell'argomento in tutte le sue multiformi sfaccettature. A scrivere sistematicamente di fumetti sono altri personaggi, critici certo molto competenti ma che però non fanno parte del giro accademico o di quel che si potrebbe definire l' establishment culturale italiano, gente che di mestiere fa ben altro: insegnanti, giornalisti, medici, tecnici, operai, commercianti, studenti, e naturalmente persino disoccupati che in attesa di occuparsi si cimentano nella disamina di storie, autori, personaggi. Insomma, critici della domenica nel senso letterale dell'espressione, e non in quello dispregiativo: saggisti e recensori che, per diletto e per passione, impiegano il loro tempo libero scrivendo di fumetti, il più delle volte senza remunerazione alcuna. E meno male che lo fanno: sono loro, e soltanto loro, si può ben dire, che si occupano di fumetto seguendo costantemente l' evoluzione la produzione delle nuove opere e possono dunque dimostrarsi a conoscenza della straordinariamente variegata storia del medium. Altri, anche firme illustri del giornalismo letterario, anche celebrati critici da biennale, sono incompetenti come caproni e non reggerebbero due minuti di conversazione con un qualunque fanzinaro fra quelli, per esempio, che scrivono su Dime Press. Stante questa situazione, nessuna meraviglia che manchi un vero confronto dialettico fra i vari saggisti: non ci sono linee guida o scuole di pensiero, non si piantano paletti che rimangano poi come punti fermi da cui ripartire, non esiste un percorso organico, ogni critico scrive da sé e per sé. La seconda considerazione è che oltre a mancare un vero e proprio criticism (non dico istituzionalizzato ma almeno organizzato e riconoscibile in quanto tale) mancano anche gli spazi su cui pubblicare scritti di critica fumettistica. I quotidiani e le riviste che sistematicamente recensiscono libri di noiosissimi scrittori incapace di incidere minimamente sul sentire comune (i libri che vendono davvero molto sono quelli che superano le diecimila copie, ma già cinquemila sono un successo) non dedicano quasi nessuno spazio a fumetti come Zagor che pure superano le sessantamila copie al mese (e lo fanno da quarant'anni consecutivi). Quando di fumetti si parla è solo per un fatto di costume (Tex e la denuncia del Codacons, Braccio di Ferro che sposa Olivia) o per citare i soliti nomi più orecchiati (Manara) ma di solito chi scrive non dà un quadro realmente informato della situazione, si limita al colore e comunque si tratta di pezzi occasionali. Salvo le lodevoli eccezioni, naturalmente, di certe (comunque micro) rubriche su alcune, ma pochissime, testate. Dov'è che si pubblicano gli articoli e i saggi sui fumetti, dunque? In gran parte, sulle poche riviste di "critica" che girano nell'ambito ristretto degli appassionati: un paio che vanno in edicola comunque con periodicità balorda, scarsa distribuzione e scarsissima fortuna; un altro paio che vanno in fumetteria, o meglio nelle poche fumetterie dove non si vendono solo manga; un ulteriore paio che vengono distribuite solo ai soci delle associazioni che le realizzano. Più varie fanzine difficili comunque da rintracciare. Testate interessanti e ben fatte, ma che non possono permettersi di pagare i collaboratori (dunque, chi ci scrive lo fa gratis con tutti i limiti e le conseguenze del caso), curate da strutture editoriali piccole e non sempre attrezzate se non improvvisate. Oltre a ciò, ci sono case editrici specializzate di limitatissime dimensioni, che danno alle stampe monografie o saggi che di solito costituiscono i cataloghi di mostre (senza il supporto economico degli organizzatori delle quali non sarebbero possibile sostenere i costi della stampa), anche in questo caso raramente gli autori dei saggi vengono remunerati e tutti si realizza ad maiorem dei gloriam. E' chiaro che se chi deve studiare il fumetto sa che non verrà pagato, lo farà nei ritagli di tempo dovendosi prima dedicare a un'altra attività che gli permetta la sussistenza: logico dunque che i saggi, pur curati, siano brevi, dedicati ad aspetti che almeno ripaghino l'autore perché di suo interesse, mentre altri aspetti verranno trascurati per mancanza di "volontari" che si assumano l'onere di indagarli. I grandi editori non pubblicano quasi mai saggi sui comics, mentre sono proprio loro che potrebbero remunerare almeno un po' il lavoro degli studiosi spingendoli a scrivere di fumetti così come scrivono di psicosomatica o di araldica (tutti argomenti su cui le major pubblicano regolarmente saggi, mentre sui fumetti no). E' chiaro che la mancanza di prospettive editoriali interessanti scoraggia i critici che non siano solo dei semplici appassionati a occuparsi di fumetti, e che dunque è proprio questa la causa della mancanza di un criticism di settore. E le prospettive editoriali perché mancano? Verrebbe da rispondere: perché la critica fumettistica non interessa a nessuno, non vende abbastanza, ergo pochi editori hanno voglia di sobbarcarsene i rischi. Però, è anche vero che la critica fumettistica non ha canali distributivi degni di questo nome. Se esce un Oscar Mondadori dedicato a come coltivare i pomodori sulla terrazza (e cose del genere ne escono di continuo) lo si può trovare in tutte le librerie della penisola, però non esce mai un Oscar Mondadori dedicato alla Storia del Fumetto Italiano, che di sicuro è un argomento più interessante. Finché a dire che la critica non vende saranno gli editori della Glamour o dello Scarabeo, i cui libri sono difficilissimi da trovare per il cliente che non sia così motivato da andare in fumetteria o a una mostra mercato, la tesi del disinteresse verso la critica fumettistica non sarà dimostrata. Tant'è vero che un libro che solo apparentemente appartiene alla categoria, "Non son degno di Tex" di Claudio Paglieri, edito da Marsilio e dunque ottimamente distribuito dappertutto, ha venduto benissimo nonostante poi i lettori scoprissero che non di un saggio su Tex si trattava ma di una esilarante messa alla berlina del personaggio in una sorta di testo di cabaret. In altre parole, se i grandi editori pubblicassero sistematicamente saggi sul fumetto e li distribuissero come si deve, facendone parlare poi come si suol fare come per tutti gli altri saggi di altro argomento, si scoprirebbe che la critica fumettistica può vendere e crearsi un pubblico. Infine, l'ultima considerazione: premesso che mancano i critici e mancano gli editori di critica, resta da notare che ci sono bravi critici che si improvvisano editori per superare l'empasse. Giuseppe Pollicelli e Daniele Bevilacqua, per esempio, appartengono alla generazione di saggisti nata sulle fanzine degli anni Ottanta. Però, fin dall'inizio, si sono rivelati autori più dotati della media per qualità di analisi, e hanno finito per spiccare agli occhi di quanti hanno seguito i loro scritti sulle più varie pubblicazioni. Non solo agli occhi degli appassionati, ma anche a quello degli addetti ai lavori. Così, non a caso, sono finiti cooptati in molte, moltissime iniziative editoriali, partecipando alla compilazioni di libri e cataloghi, e all'organizzazione di mostre e manifestazioni. Non solo: si sono anche dati da fare creando essi stessi occasioni per poter parlare e scrivere di quanto sta loro a cuore. Ecco perciò Pollicelli dar vita a fanzine come Kamikaze e Mefisto e addirittura stampare e distribuire per proprio conto una vera e propria collana di saggistica, "I Kazoo". Eccoli insieme ad animare lo Zagor Club e realizzare una eccellente rivista come "Darkwood Monitor". Ed eccoli di nuovo a proporre questo volume che raccoglie alcuni dei loro saggi di argomento bonelliano, apparsi negli anni scorsi su varie riviste e qui rivisti, corretti e aggiornati, oltre che organizzati lungo un percorso coerente che li valorizza. La lettura dei testi basterà da sola a rendere ragione di quanto affermato in precedenza, e cioè di come i critici della domenica su cui si basa lo studio dei fumetti in Italia meriterebbero ben maggiore attenzione da parte dei professionisti della cultura, quelli che invece non lavorano nei weekend e ai quali mancano spesso dei venerdì. I diversi stili di Bevilacqua e Pollicelli, il loro differente modo di affrontare i temi trattati (e che vi siano delle diversità è non solo innegabile, ma anche motivo di maggior interesse nella lettura), si integrano a vicenda e raggiungono comunque una sintesi comune nel medesimo approccio alla materia basato sul grande rispetto verso il fumetto, la cui dignità culturale mai si dimentica o si snobba, sempre si sottintende o addirittura si evidenzia. I fumetti della Sergio Bonelli Editore sono popolari per antonomasia, eppure i due saggisti ne parlano, giustamente, con l'attenzione, la profondità, la competenza che altri al posto loro, ingiustamente, riterrebbero degne di miglior causa. Ne siano prova le due straordinarie appendici, la bibliografia generale sulla casa editrice e la bibliografia sui singoli personaggi bonelliani: uno straordinario lavoro di ricerca, di compilazione, di organizzazione e di analisi di cui, talvolta, neppure i saggi dei luminari sulla letteratura ritenuta "alta" riescono a fare. Non è un caso che proprio i personaggi della Bonelli siano oggetto di questa raccolta di saggi (benché Bevilacqua e Pollicelli abbiano scritto su molto altro): la scelta è paradigmatica e sottolinea la "filosofia" dei saggisti, per i quali non solo i fumetti sono cosa degna di essere studiata e studiata in una certa maniera, ma che anche ritengono di non doversi occupare solo di quei fumetti che una volta si definivano "d'autore" in quanto non seriali (come se i seriali gli autori non li avessero e fossero figli di NN).
Per dirla con Andrea Sani (un filosofo fiorentino anch'egli,
mi perdoni l'ardire, critico della domenica
nel senso che già si è spiegato): "Darò per scontato che il fumetto può
essere arte. Però non accetto la tesi di chi attribuisce validità artistica
soltanto o soprattutto ai comics sperimentali, che violano in modo radicale
le regole standard del linguaggio delle strips. Certamente Il Garage
Ermetico di Jerry Cornelius di Moebius, che rappresenta un notevole "scarto
dalla norma", è un vero e proprio capolavoro, e ben vengano gli autori
capaci, come Moebius, di creare nuove regole. Ma è un capolavoro anche
Paperino e il ventino fatale di Carl Barks, costruito secondo la grammatica
più classica dei fumetti. Il valore di una storia dipende dalla sua
capacità di produrre emozioni, e questo obiettivo può essere raggiunto anche
all'interno del codice tradizionale dei comics" . Appunto come Barks, ma
anche come Bonelli e Galleppini, i creatori di Tex Willer, innovativi nella
tradizione. E come tanti altri autori bonelliani, molti dei quali Autori con
la A maiuscola, benché al servizio della serialità, o forse proprio per quello.
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