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Scheda Enoch

Critica, arte e stimolo creativo
di Luca Enoch, autore di Sprayliz e Gea

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> "se producessimo i fumetti he la gente vorrebbe leggere, se stessimo creando un prodotto di cui i lettori non potessero fare a meno, allora molti problemi sarebbero risolti"
(Alan Moore)

Non capisco bene questa frase di Moore, anche perché non conosco il contesto da cui è stata estratta. Mi fa venire in mente riunioni di marketing tra le teste d'uovo di una grande casa editrice, evoca affannose ricerche di mercato per stabilire quali siano i prodotti che "tirano".

Tutto questo è razionale ed economicamente vantaggioso, ma è anche lontano dal mio modo di "fare fumetto" e, credo, da quello degli "autori" in generale. Quando penso a un personaggio, una serie a fumetti o a una storia non mi pongo il problema "piacerà? Sarà adatta al mercato? I gggiovani lo apprezzeranno?". Tutte domande legittime che una persona responsabile dovrebbe porsi per evitare dei "bagni" in edicola.

Personalmente ciò che mi spinge ad affrontare un determinato argomento o la genesi di un certo personaggio è, per ora, solo il fatto che piaccia a me, che mi interessi e mi appassioni raccontarlo. Atteggiamento egoista e altezzoso, tipico dell'autore completo ;-)

Il prodotto che ne verrà fuori potrà essere fuori mercato, datato o in anticipo sui tempi, ma sarà comunque sincero e genuino. Nel bene e nel male.

> Gli autori si "lamentano" spesso di questa assenza della "critica di qualità" e questa è una delle evidenze della loro depressione, della mancanza di auto-stima, del sentirsi parte di un'arte minore.

In questi frangenti amo molto citare un grande tra i nostri "autori", Fabrizio de Andrè, il quale ripeteva che "non esistono arti minori ma solo artisti minori". Grande verità che fa carta straccia della classificazione accademica tra arti nobili e artigianato.

Io non mi sento meno "artista" di un imbrattatele qualsiasi solo perché questo dipinge ad olio sul cavalletto, ovvero perché usa un "medium" accettato come parte delle Belle Arti (pensate solo al nume artistico di "Striscia la notizia", Teomondo Scrofulo!) Personalmente è così che mi sento, un artista "minore" ;-P

> Ma la maggior parte degli autori definisce il fumetto "artigianato e non arte" quindi non si vede perché la critica "alta" dovrebbe occuparsene.

Eccoci su un bel campo minato. La differenza tra arte e artigianato. Arte, se si vuole prendere una definizione da un'enciclopedia a caso, è la "rappresentazione compiuta di un'elaborazione fantastica".

Bella frase. Ma cosa vuol dire? Che qualunque realizzazione di una cosa che mi balla in mente è arte? Oppure che questa rappresentazione - su carta, tela o marmo che sia - non deve essere finalizzata a un uso utilitaristico? Se studio e realizzo una sedia, non è arte perché sulla sedia ci si siede e non la si appende a un muro? No, a mio parere l'industrial design è Arte a pieno titolo e non a caso molti prodotti di designer sono esposti nei musei di arte moderna di mezzo mondo - come la lampada che ho in salotto!

Leggevo recentemente, su una fanzine, che il fumetto non può essere definito arte perché è un mezzo di espressione che presuppone un committente - l'editore - un mercato ben definito - i lettori di fumetti - delle forme espressive codificate - le vignette e la gabbia della tavola - e vari filtri attraverso cui deve passare prima di arrivare al consumatore finale.

Arte, secondo questo pensiero, è ciò che non ha niente di tutto questo che si frapponga tra l'impulso creativo dell'autore e l'opera finale. L'artista, quindi, realizza ciò che vuole seguendo le sua vena creativa e senza curarsi di coloro che fruiranno della sua opera.

Definizione romantica e un po' bohemienne. Su questa falsa riga allora Michelangelo Buonarroti che realizza gli affreschi della Cappella Sistina su commissione del Pontefice, seguendo le indicazioni della Curia e sottoponendo i propri schizzi all'approvazione del Vaticano, non è un vero artista ma solo un abile artigiano.

Forse la differenza, se mai dobbiamo trovarne una, tra Arte e artigianato sta nella produzione in serie e nella reiterazione di schemi espressivi codificati, come nell'arte manieristica.

> Lancio una provocazione (che ha echi lontani): esiste una critica popolare e una critica d'autore? se esiste questa distinzione, noi di uBC siamo fieri di fare "critica popolare".

Non si capisce perché Gentili voglia mettersi nella categoria della "critica popolare". Perché la critica di uBC non può essere critica "d'autore"? Forse perché suona un po' elitario e antipatico? Una distinzione che vale per le persone che collaborano con uBC, rispetto ai critici blasonati che troviamo sui media ufficiali, è tra la critica professionale e quella non professionale (non uso il termine "dilettantistico", che normalmente viene contrapposto a "professionale", perché oggi ha assunto un significato dispregiativo o per lo meno riduttivo).

Coloro che scrivono su uBC non sono professionisti ma non è detto che non siano "autori" nel vero senso del termine. Al massimo sono autori "minori".

La vera critica "popolare" è quella che si fa tra amici fuori dal cinema, tra appassionati alle fiere di fumetto o nei newsgroup e nelle mailing-list su Internet. Caratteristica saliente della critica popolare, a mio parere e riprendendo ciò che scrive Gentili, è la sua estemporaneità, ovvero il fatto di essere immediata e improvvisata, composta senza preparazione; il suo destino è, inoltre, quello di essere sovrascritta in continuazione, mentre quella d'autore viene realizzata per essere archiviata e rimanere sempre accessibile.

In questo senso qualunque sito che abbia un archivio delle recensioni dei suoi collaboratori, ospita critica "d'autore".

> E allora qual è il vero scopo della critica? serve agli autori? agli addetti ai lavori? al pubblico?

A me, come autore, serve. Serve la critica d'autore, sia quando leggo recensioni positive - la gratificazione professionale è molto importante per noi autori perennemente in crisi solipsitica - sia quando ne leggo di negative - l'incazzatura è un notevole stimolo creativo.

Serve la critica popolare che trovo nei newsgroup, perché mi dà la misura di quanto il mio lavoro sia compreso e per, eventualmente, aggiustare il tiro in base ai fraintendimenti che vengono manifestati dai lettori.

Lettori che, quando ci si incontra pubblicamente, magari non espongono sinceramente le loro perplessità e le loro critiche - forse temendo che non gli venga fatto il disegno per ripicca ;-) - ma che, nell'anonimato del loro nick, si lasciano andare come fiumi in piena.

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