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> Che funzione deve avere la critica?

Per definire il ruolo della critica fumettistica la prima domanda da porsi è per chi fare critica, perché definire l'oggetto serve contemporaneamente a definire il soggetto, e può fornire indicazioni utili sul come fare critica.

I referenti del critico sono sostanzialmente due: il lettore, di cui si propone come alter-ego, e il creatore, di cui si propone come guida. Il difficile compito che un intervento critico pone costantemente al redattore è la ricerca di un equilibrio tra questi due poli, che per loro natura tendono verso opposte direzioni. Personalmente credo che la qualità degli interventi venga sancita dalla fiducia che il creatore concorda al recensore; per quanto riguarda il rapporto con il semplice lettore, vedremo in che modo questo può diventare fuorviante.

E’ importante comprendere i criteri che il lettore adotta per eleggere i suoi referenti critici. Partire da un'esperienza personale è sempre il modo migliore per inquadrare il problema, così utilizzerò me stesso come referente.

Quasi sempre le mie scelte sono dettate da motivi contestuali, ma in generale direi che mi oriento in base all'oggetto e all'autore del pezzo, quindi al genere e infine allo stile. Naturalmente è un'analisi fatta a posteriori: la valutazione avviene con rapidità - "chi-parla-di-cosa-e-come" - e servono pochi secondi per percepire la sintesi del tutto (anche se con questo metodo empirico spesso accade di tralasciare cose molto interessanti).

Ovviamente l'oggetto è decisivo e dipende dagli interessi del momento. Per quanto riguarda l'autore la scelta si appunta su critici che ho avuto modo di apprezzare in passato, e di questi leggo qualsiasi cosa, a prescindere dall'oggetto. Il genere spesso è legato all'autore, ma direi che mi soffermo su articoli che indagano fenomeni (dal punto di vista sociologico) e in misura minore recensioni (se voglio orientarmi su nuove letture).

Tuttavia è più esatto dire che in questa sommaria opera di valutazione riesco a intuire cosa non leggere. Arbitro di questa scelta è lo stile. Lo stile rivela molto più di quanto si pensi sulla natura del pezzo. In base allo stile gli interventi che tralascio al volo sono le critiche inutili, le critiche narcisistiche e quelle strumentali. C'è da precisare che alcuni interventi che rientrano in questi parametri sono decisamente interessanti, non tanto in relazione all'oggetto della critica quanto all'autore della critica stessa, in quanto rivelano parecchio della sua personalità, dei suoi rapporti con il medium che adopera, delle motivazioni di fondo del suo impegno.

Le critiche inutili sono sostanzialmente quelle in cui l'autore non va a toccare nervi scoperti e che macinano luoghi comuni e frasi tratte dal Manuale del Bravo Critico Contemporaneo rimescolate per l'occasione. Alla base non c'è una personalità forte e nessuna visione del mondo su cui costruire un discorso.

Le critiche narcisistiche sono al contrario quelle in cui la personalità è debordante, e lo è talmente tanto che oscura l'oggetto della critica. Sono pezzi tormentati da citazioni e da sottili ghirigori linguistici, ed è facile intuire che l'autore non intende comunicare alcun contenuto ma esibire se stesso e la propria abilità retorica in un circo intellettuale autoreferente (dove quasi sempre la platea è costituita dai propri colleghi).

Le critiche strumentali sono le più insidiose. Sono quelle in cui l'autore affonda ma ritrae la mano, non dice ma fa capire, difende interessi occulti, omette per evitare ritorsioni. Tramite piccoli e impercettibili segnali s'intuisce che il redattore ha armadi da non aprire mai e scheletri pronti a saltar fuori come pupazzi a molla.

A partire da questo approccio totalmente soggettivo, mi divertirò - da cultore del Libro di Murphy - a definire delle regole con le quali un critico debba confrontarsi nell’approccio al proprio ruolo.

Prima Legge:
IL CRITICO NON DEV’ESSERE PARTE IN CAUSA

L’affermazione è talmente evidente che si fa fatica ad articolarla per eccesso di ovvietà. Ritengo che sia un requisito fondamentale per consolidare una base, minima, di credibilità. Chi opera nello stesso ambito prima o poi viene sfiorato da interessi in comune. Dal momento che esiste il malvezzo di appuntare i difetti altrui nel tentativo infantile di sopravvalutare le proprie qualità, la critica trabocca di invettive mascherate da analisi, la maggior parte delle quali si configurano come veri e propri atti di ritorsione.

Al lettore, come al pubblico delle arene, piace vedere il sangue. Fa parte della nostra natura animale. Ma la critica è il prodotto delle più alte facoltà spirituali dell’uomo, e questi giochi al massacro sono utili soltanto a rinfocolare odi e a gettare discredito e sfiducia sul rapporto tra critico e artista. E per affermare il ruolo pregnante della critica ripristinare tale rapporto è fondamentale. Questi due ambiti devono procedere su piani paralleli e nutrirsi l’uno dell’altro in un sofferto e tormentato dialogo. Se l’ambito artistico attualmente è così indifferente - se non diffidente - nei confronti della critica è soprattutto a causa di un numero spropositato di critiche strumentali.

Gli interventi critici di fumettisti a proposito di colleghi sono sospetti, non tanto per ciò che dicono, quanto per ciò che omettono, in buona o cattiva fede. In generale è bene che il critico operi attraverso un medium differente, con regole proprie, e soprattutto con propri referenti economici. La critica che opera sul web mi pare risponda in modo adeguato alle esigenze dell’ambito fumettistico. Certo, è sempre possibile l’osmosi da un ambito all’altro (e forse ciò è utile al critico per comprendere certi meccanismi e all’artista per evitare certi errori), ma questo travaso spesso si trascina un bagaglio eccessivamente carico di passioni ed emotività.

Corollario di questa legge è che il critico non possa essere anonimo. Deve garantire quel minimo di trasparenza richiesto dalla serietà dell'impegno, ed è bene che il lettore - attraverso l'identità dello scrivente - possa arrivare a capire chi è, cosa è stato, ma soprattutto quali sono i suoi nemici e i suoi alleati. Le critiche prive di firma o pseudonime (anche quelle dettate dal timore di ritorsioni) occultano il coinvolgimento in interessi comuni, per cui sono da considerare come semplici invettive. Hanno sicuramente dei pregi: a volte sono spassosissime, e spesso squarciano veli di silenzio e ipocrisia su meccanismi insospettabilmente perversi. E’ l’opera di demolizione su cui la critica deve provvedere a ricostruire.

Seconda Legge:
IL CRITICO DEVE PROPORSI EFFETTI COSTRUTTIVI SULL’OGGETTO DELLA CRITICA

Ripeto, allo stato attuale delle cose la missione primaria della critica è ristabilire un rapporto di fiducia con l’ambito artistico, una fiducia persa nel rincorrere il plauso di un pubblico povero di sensibilità ma avido di sensazioni.

E' decisamente inutile stilare un elenco di errori e difetti senza tentare un approccio di indagine alle cause. La mancanza di questa seconda - importante - fase critica è un chiaro segnale: indica che si intendeva colpire per ferire (e quindi che il critico era mosso da astio), e che l'oggetto della critica era la persona e non il suo operato. Questa si chiama aggressione.

La critica dev’essere caustica e urticante senza essere distruttiva, e ciò presuppone un alto grado di maturità e autocontrollo. In realtà - come disse un illuminato - chi arriva a comprendere l'altro non riesce ad odiarlo: andando a ritroso a caccia delle cause, smontando il giocattolo, il critico compie un'operazione utile alla comunità artistica e al tempo stesso attiva un intimo processo di maturazione spirituale di enorme risonanza.

La natura dell’operazione critica all’apparenza è paradossale: fare del male per fare del bene. Ma se così non fosse la funzione stessa della critica non avrebbe legittimazione. Se il recensore pone in luce dei difetti, buon senso vuole che lo faccia perché tali difetti non si palesino una seconda volta. L'artista, reso cosciente delle proprie immaturità, seppur ferito e dolorante dovrebbe ricordare nelle sue preghiere il critico che gli ha permesso di crescere. Uscendo dal paradigma disneyano, sarebbe una perversione del ruolo se il critico augurasse all'artista di fallire una seconda volta. Certo, la critica per vivere si nutre di errori, ma solo di quelli statisticamente regolati dalla Natura delle Cose. Auspicare un perseverare, nel nostro caso, è sicuramente diabolico.

Terza Legge:
IL CRITICO DEVE ESPRIMERSI SOLAMENTE ALL’ATTO DI COMUNICARE

Siamo adulti e l’abbiamo imparato: non sempre chi parla sta dicendo qualcosa, e non sempre chi scrive ha qualche significato da trasmettere. Il linguaggio così come è venuto a configurarsi, con i suoi sinonimi e le mille sfumature di significato, ci irretisce e ci ipnotizza, tenta di avvincerci e convincerci, tanto che spesso crediamo di aver compreso un concetto mentre ne abbiamo dato solo una nostra personale interpretazione. E' il gioco dell'arte contemporanea, in cui l'artista demanda la responsabilità dei propri significati al povero fruitore, il quale - minacciato dallo sguardo competente dei suoi conoscenti - dichiara di apprezzare in pubblico cose che in privato detesta.

Quando un critico ha qualcosa da dire dovrebbe ingegnarsi perché il suo concetto non si confonda come un uomo in bianco al raduno della Mecca. Dovrebbe reiterarlo più volte, a caratteri cubitali. Quando si fatica a comprendere il nocciolo del discorso la ragione è che in realtà il redattore non aveva niente da dire, e quel niente intendeva esibirlo nel migliore dei modi.

Non è soltanto una questione etica, è anche una requisito precauzionale di natura psicologica: il critico giocoliere della parola relega in secondo piano l’artista oggetto della critica, e il confronto genera sfiducia.

Un critico consapevole dovrebbe perfezionarsi nella ricerca dell’equilibrio stilistico: non troppo barocco, non troppo sciatto. E dovrebbe utilizzare le citazioni soltanto per legittima difesa.

Quarta Legge:
IL CRITICO NON DEVE TEMERE LA GRANDEZZA DEL SUO INTERLOCUTORE

Ne "I vestiti nuovi dell'imperatore", un sovrano vanesio sfila nudo alla testa di un corteo, pavoneggiandosi come fosse ammantato della stoffa più elegante. Mentre gli adulti lo ricoprono di complimenti fingendo di ammirarne le vesti, in mezzo alla folla un bambino grida "Il re è nudo!", costringendo tutti a riconoscere la propria ipocrisia.

Nel leggere per la prima volta questa straordinaria allegoria del potere, ognuno di noi si è schierato istintivamente dalla parte del bambino, dimenticando quanto spesso siamo vincolati dai falsi rapporti e dalle nostre quotidiane ipocrisie. Ecco: la critica dovrebbe essere il bambino che grida esattamente ciò che vede. Ma al bambino è concesso gridare grazie al suo status, appunto, di bambino. E tale status, nella critica, equivale al rispetto delle tre leggi precedenti.

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