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![]() Nella cornice a "misura d'uomo" di TorinoComics, una lunga chiacchierata col primo dei disegnatori dylaniati... Intervista ad Angelo Stano di Paolo Ottolina (con la collaborazione di Daniele Alfonso) Una giacca casual e sotto il maglione a scollo a V, per difendersi dalle ultime zampate di un freddo che non vuol cedere all'incipiente primavera. L'abbigliamento sobrio e curato, elegante ma non artefatto, sembra riflettere la personalità dell'uomo, " un prussiano", come lo definisce Decio Canzio: neanche il minimo accenno a un divismo che pure sarebbe giustificato dal chilometrico serpentone che si diparte dallo stand Bonelli durante la sua sessione di autografi. Occhiali senza montatura inforcati sul naso e, dietro, due occhi azzurrissimi e vivaci sotto l'ampia fronte. Angelo Stano si concede senza fretta, rispondendo col suo accento neutro, quasi privo di inflessioni dialettali, ed è proprio come disse ancora Canzio: "mai una parola di troppo, mai una banalità". Partiamo dal momento in cui lei subentra a Claudio Villa come copertinista di Dylan Dog. Si potrebbe pensare a una scelta quasi "obbligata" visto che Stano era "la prima matita" di Dylan. Ma lei come ha vissuto l'eredità lasciata da un autore così amato dai lettori e con uno stile così lontano dal suo? Villa è ritenuto il miglior copertinista nella Bonelli. Dunque, questo cambio di responsabilità non è stato vissuto serenamente all'interno della redazione: cavallo che tira non si cambia, giustamente. Io ho ricevuto questo onere e questo onore in un momento di sviluppo sorprendente della testata, uno sviluppo esponenziale che non si sapeva neppure dove potesse arrivare. Quando c'è stato questo passaggio di testimone...
Col numero 42 (sfoggiamo la nostra preparazione :-)... Già. Col nr. successivo venivano annunciate 180.000 di tiratura, il che vuol dire un venduto di 140.000 copie. Ma nel giro di un paio di anni siamo arrivati a 400.000! Questo ovviamente non c'entra col copertinista, vuol dire solo che il personaggio aveva assunto una tal forza di penetrazione che camminava da solo. Tuttavia, come copertinista sono stato scelto proprio per i motivi che dicevi tu: essendo stato l'iniziatore della serie e avendo Villa rinunciato al lavoro è stata una successione naturale. E io l'ho accettata con molto entusiasmo: essere in edicola tutto l'anno non è affatto male. Passiamo alla nascita della copertine. Come e da chi vengono create? Le copertine nascono da un'idea scaturita nella testa di Sclavi, per i primi tre-quattro anni, anche con indicazioni molto precise. Invece, poi la responsabilità è passata a Mauro Marcheselli, che preferisce fare dei layout: prende un po' di elementi che ritiene importanti nella storia, li assembla in modo da fare un vero e proprio layout tipo quelli che si fanno in pubblicità. Questo mi agevola moltissimo il lavoro, anche se non sempre, visto che a volte le idee che gli vengono non sono riscontrabili all'interno della storia. E questo sarebbe un altro punto da approfondire: le idee di una copertina a volte sono abbastanza lontane dal contenuto vero della storia. Alcune idee recenti sono state molto brillanti. La copertina di "Belli da morire", con quella serie di Dylan "alternativi" era semplicemente geniale... Esatto: si gioca sul concetto, più che sul riferimento alla trama. L'idea di Marcheselli che percorso segue, a questo punto. Ecco, dopo di che viene proposta al Direttore Responsabile Decio Canzio e, qualche volta, anche a Bonelli, il quale si riserva un "diritto di veto" sul prodotto finito. L'idea mi viene poi spedita o telefonata, e mi vengono dati dei fax -o delle fotocopie quando passo in redazione- di tavole della storia. Io faccio allora un disegno preparatorio a matita, formato stampa e sottopongo alla Redazione per le loro osservazioni. Che strumenti usa per la versione finale? Io uso un segno fatto con un pennarello, di contorno, a cui aggiungo dell'inchiostro di china per evitare un rapido deterioramento e poi uso il tradizionale pennello. Passando ora ai colori, si notano notevoli differenze nelle scelte cromatiche, da albo ad albo. Ad esempio le ultime copertine della serie regolare sembrano diverse... Sì, fino a tre numeri fa, io facevo un disegno in bianco e nero più una copia a colori, ad acquerello. Con questa copia, poi, il fotolitista cercava di ottenere un risultato mediato, il più vicino possibile all'idea che proponevo, un tempo coi retini poi con la colorazione elettronica. In questi ultimi tre numeri, la copertina è passata sotto il mio totale controllo: questo significa che io faccio il disegno e la colorazione elettronica... Colorazione elettronica? Questo vuol dire che lei usa il personal computer per le sue copertine? Qual è il contributo del PC? Alla colorazione e anche all'esecuzione dei bianchi e neri. Anche sui bianchi e neri? Già. La copertina ora in edicola ("Il lago nel cielo", NdR) è fatta interamente al computer. Non si capisce, ma è così. In redazione ho consegnato il file. Non c'è un originale, né si potrà mai vedere. Vedendo i risultati, allora, viene da smentire prontamente il luogo comune che "disegno al computer = freddezza"... Io ho personalizzato ampiamente il software che uso, in maniera che il disegno ottenuto avesse una continuità con il mio. Che software ha usato? I due programmi che uso sono Photoshop e Painter Le copertine degli Almanacchi sono a doppia pagina: doppio divertimento o solo doppia fatica? Mah, più che doppio divertimento sono una seccatura. Non sono molto d'accordo sull'impostazione della doppia copertina, anche perché nessuno, normalmente, prende l'albo e se lo guarda così... Anche perché l'illustrazione è rovinata dalla costoletta dell'albo, dal codice a barre... Sì, è vero e in più c'è da dire che non sempre riescono bene queste doppie copertine. Bisognerebbe ottenere un doppio obiettivo: soddisfare entrambe le visioni, prima e quarta di copertina, e in più dare un'impressione di insieme. Ma certe volte si capisce che c'è qualcosa che non quaglia. Non è che si possano fare miracoli: a volte le idee sono buone e danno la "doppia soddisfazione", altre volte assai meno. Il tutto, però, rientra nella giusta politica di diversificare graficamente le diverse serie con un'impostazione differente. A proposito di copertine recenti: com'è stato fare la copertina "letterata" di "Lassù qualcuno ci chiama"? Beh, c'è stata un po' di polemica intorno a quella copertina. All'interno della redazione, Sclavi e Decio Canzio volevano quella copertina. Bonelli, invece, vide il disegno e disse: ma no, è bello così, non mettiamoci i ballons. Così... non dico che abbiano litigato, ma c'è stata un po' di resistenza da parte di Bonelli. Parliamo un po' di chi ha influenzato il suo lavoro di fumettista. A quali maestri ha guardato, nella sua formazione come autore di fumetti? Quanto alle ascendenze, io, in realtà, ho molto attinto dai fumettari, ma in maniera molto selettiva. Io cominciato con Pratt, ricopiandomi di sana pianta una sua storia pubblicata sul "Corriere dei Piccoli", perché mi affascinava il suo tratto avventuroso e volevo diventare bravo come lui. E Pratt era pubblicato sul Corriere, dove in quegli anni c'erano tanti nomi eccelsi come Battaglia, Toppi, Di Gennaro, Uggeri. Avevo il meglio davanti a miei occhi e non sapevo chi scegliere: Battaglia aveva un fascino indiscutibile come illustratore, Pratt era il miglior raccontatore, Uggeri aveva ascendenze pittoriche, era un po' artista, sovraccaricava le tavole, Di Gennaro aveva una capacità di equilibrio, un disegno compositivamente di altissimo livello, un po' Pratt, un po' Toth. Ed era quello che più si avvicinava a me, in quella fase di apprendimento: capii che non potevo diventare un altro Pratt, mentre invece quel tipo di disegno poteva darmi molto senza influenzarmi troppo. Lei ha citato in passato il suo "legame" con Egon Schiele. Che cosa la lega a questo pittore? Schiele è sempre stato un mio punto di riferimento. Quando lo scoprii, però, non c'erano in giro sue illustrazioni, se non due o tre sull'Enciclopedia di Arte Moderna della Fabbri. Poi all'inizio degli anni '80 dopo che alcune mostre fortunate saccheggiarono Schiele, lo si vedeva ovunque. L'ho trovato il più vicino a me proprio a livello caratteriale. In più, certe sue soluzioni tecniche, che lui adoperava soprattutto negli studi dal vero, le trovavo così forti e innovative che io le ho recuperate nel mio bianco e nero: il segno strusciato, quello che mi dà i grigi, è un po' la trasposizione del segno strusciato nei suoi acquerelli. Ho visto che funzionava e ho pensato: beh, rubo, ma rubo bene. Per fortuna questo "recupero" è piaciuto ai lettori. Certo non a tutti: non a quelli che amano la linea chiara... Ecco, questo disegno, ad esempio (e impugna un disegno di Manara nelle vicinanze), è molto decorativo. Non è che io rifugga dal decorativo, ma tendenzialmente preferisco l'espressività. Facendo Dylan Dog, avevo bisogno di creare un'immagine carica di mistero, di ambiguità, e i grigi erano indispensabili. Non si può fare un Dylan Dog così (e ri-addita Manara). Eppure, quando partì Dylan, la formula imperante era Manara o Moebius: tutti si buttavano a pesce, su questo stile. Io ho persino imitato lo stile Moebius su alcune storie brevi del "CorrierBoy", dove lavorai tra il '77 e l'83. Scoperto che potevo fare una buona imitazione, dissi: ok, sono capace, mi sono divertito, ma a me interessa altro. Cercavo un segno che desse maggior sfogo all'espressività, a qualcosa che arrivasse da dentro e non dall'esterno. E così, trovato questo segno, approdò al n.1 di Dylan Dog... Sì, ma non lo avrei mai pensato. Fu Sclavi a contattarmi, dandomi da leggere la sceneggiatura del primo numero. E io dissi: beh, cavoli... bella! Non me la lascio scappare! Tutto partì come un esperimento, a cui magari neanche voi davate molto credito, vero? Ti dico la verità: io mi sono messo a disegnare e dopo sette tavole, disegnate a matita e basta, mi dissero, senza aver visto una sola inchiostratura: vai avanti così! Quando poi videro le tavole finite, non sapevano che fare, se usare una doppia pellicola, i mezzi toni... Erano un po' preoccupati. Ma poi, è andata, no? Lei ha fatto il n.1. Poi "Morgana", il n.25. Poi "Storia di Nessuno", il n.43. E il 100. Poi, non l'abbiamo più vista. Dov'è finito lo Stano fumettista? Sì, poi ci sono solo storie brevi, disseminate sui Giganti e altre pubblicazioni. Ma qualcosa di lungo in programma c'è, oppure no? Sì. Intanto sto finendo una storia di 44 pagine. Un'altra di 50 pagine è già pronta. Queste due storie appariranno sul Dylandogone di Ottobre. E poi attaccherò con Sclavi una nuova storia lunga. Proviamo a fare un'insinuazione: abbiamo notato come, ultimamente, Sclavi faccia disegnare tutte le sue storie più "importanti" da Brindisi. Un tempo, la coppia delle "storie storiche" su Dylan era Sclavi-Stano. Lei è geloso, artisticamente parlando, di questo fatto? Nooo -con tono quasi sdegnato-, io ho disegnato talmente pochi episodi che mi metto al di fuori di questo tipo di ragionamenti. Loro hanno fatto il Dylan Dog, io sono stato molto marginale. Vero, anche, che le copertine sono un impegno notevolissimo. In certi periodi, facevo anche 30 copertine l'anno, ora sono sulle 22-23. In più c'erano tutte le illustrazioni per iniziative varie, esterne alla testata. Nel campo dell'illustrazione, il controllo della Bonelli è più ferreo che sulle tavole, e l'attenzione che io devo metterci è molto maggiore. Inoltre, sono stato impegnato per anni con la Scuola del Fumetto, di cui sono ancora collaboratore. Nell'ultimo anno, in più, come già accennato, mi sono dedicato all'uso del computer applicato alle copertine. Comunque, indiscutibilmente, sono lento. In "Morgana", lei ha disegnato un suo alter ego. Com'è stata quell'esperienza di autorappresentazione? Tieni presente che quello era un personaggio funzionale alla trama, non è stato pensato per dare a me la possibilità di rappresentarmi. Sclavi aveva pensato questo personaggio, un disegnatore di fumetti, che non a caso si chiamava Crandall Reed (citazione di Reed Crandall, disegnatore della EC Comics, NdR), e mi disse: se vuoi puoi interpretare se stesso. Io ne approfittai perché, come modello, ero sempre disponibile. Sennonché, essendo la sceneggiatura di Sclavi concepita "a blocchi", non sapevo cosa sarebbe capitato successivamente: se ricordate la storia, a questo personaggio ne capitano di cotte e di crude! Bacia in bocca una vecchietta bavosa, finisce sfracellato attraverso i vetri, poi viene addirittura divorato da Morgana, sbatte la testa contro una tomba ed è divorato dalla vecchietta... Però, alla fine, Sclavi "mi" fa finire la storia come disegnatore. E' stato piacevole, perché è sempre divertente vedere proiettato un proprio clone sulla carta, ma chiaramente non sono io.
Parlando di programmi futuri, visto che Stano in Italia è un nome di punta e visto che molti grossi autori italiani hanno cercato gloria all'estero, in Francia soprattutto: lei ha delle ambizioni, in questa direzione? Ad esempio pensa al recupero di quel "Blade" citato sul bel volume che "Lo Scarabeo" le ha dedicato tempo fa? Ho un problema, da diversi anni: avendo, appunto, l'ambizione di realizzare una storia che non necessariamente fosse legata al fumetto popolare bonelliano, mi sono rivolto alla collaborazione di uno sceneggiatore di tutto rispetto come Renato Queirolo, autore di "Rebecca". Il quale, subito mi propose di fare qualcosa insieme, non appena mi presentai a lui. Ma questa storia che dovevamo fare insieme ha proceduto, sempre, molto lentamente e con molti periodi di interruzione: per via dei suoi impegni, non della mia cattiva volontà! E' una storia di carattere fantascientifico, "Blade" è il titolo di riferimento. E' una storia che terminerò da solo, se proprio non riesco a costringere Renato a pubblicarmela, perché non è possibile che una storia così bella e intrigante non veda la luce. Già c'è una bella trentina di pagine, tutte molto impegnative e quindi, mi sembra un peccato... Avevate già avuto contatti con qualche editore? Ce la aveva accettata in blocco la Dargaud, pagandoci anche 14 pagine quando ne avevo disegnate solo 4. Poi la Dargaud è stata assorbita da una specie di "Edizioni Paoline" francese, e siccome la storia aveva contenuti un po' forti, noi ci siamo ripresi i diritti e attualmente dovrebbe trovare un'altra collocazione.
Nel frattempo, Stano è uscito negli Stati Uniti. Cosa pensa dei baffi di Groucho cancellati? Beh, quello è stato accettato giocoforza, c'è la questione dei diritti degli eredi di Groucho Marx, i quali hanno depositato i tratti del volto di Groucho. A me personalmente diverte vedere questo Groucho senza baffi, è curioso l'effetto che fa. E quanto alle copertine di Mignola? Quella è stata una scelta editoriale precisa della Dark Horse, bisognava proporre quest'oggetto nuovo con qualcosa di familiare. Questo non significa che le copertine di Mignola procureranno necessariamente un interesse maggiore nel pubblico, ma innegabilmente è un autore molto affermato. Devo dire che non sono male, ma la faccia di Dylan Dog mi sembra molto affrettata, ed è un peccato. Domanda apparentemente banale: ma Stano lo legge Dylan Dog? Sì -subito, con decisione. Poi, tentenna e...-Nnno...Veramente, devo ammettere non tutti i numeri. Ad alcuni do solo una scorsa veloce, se mi attrae lo leggo, altrimenti no. E cosa pensa dello stato attuale della testata? Siamo ormai oltre i 150 numeri. Dopo quasi 13 anni di vita, la testata ha subito molte trasformazioni. Si sa che il pubblico dei lettori è diverso da quello del primo Dylan Dog. Pochi sono quelli che resistono dall'inizio. E anche se non si può trovare un'idea geniale ogni mese, ogni tanto c'è una bella idea che risolleva il tono della testata. Purtroppo ci sono anche delle cadute, che un "serial" non può non avere, dovute alla mancanza di freschezza. Bisogna anche considerare che Sclavi ha dato il meglio di sé nei primi anni della serie, ma poi è andato in collasso, fisico e psichico, non solo per il successo enorme che portava responsabilità enormi, ma proprio per la fatica fisica di scrivere così tanto. Sentendo la tranquillità con cui accetta i ritocchi sul suo lavoro (vedi i baffi di Groucho scomparsi, ad esempio), viene da pensare che Angelo Stano consideri se stesso nulla più che un "onesto artigiano", alla faccia della critica che non lesina l'appellativo di "artista". Artista o artigiano? Io mi considero un artigiano. Non mi considero affatto un artista: l'artista è uno che produce opere che, in primo luogo, soddisfano le sue esigenze intime di comunicazione e che non necessariamente devono avere come riferimento i gusti dell'interlocutore. Se poi ci sono tanto meglio, ma l'artista è uno che produce una cosa di cui sente veramente il bisogno e lo fa con un linguaggio che non si preoccupa di essere immediato. Il fumetto, invece, è un linguaggio che deve rispondere a un interlocutore preciso, il pubblico, ma in più è un prodotto fatto a più mani. Ci sono così tanti interventi che alla fine il prodotto non può non avere qualcosa di industriale. E quindi è giusto considerarla come un'opera di artigiano, senza che questo sia considerabile come uno sminuimento del prodotto. Penso che l'arte sia un'altra cosa. E non mi considero un artista solo perché faccio degli studi di nudi. Per chiudere, una domanda in puro stile Marzullo. Ha dato di più Stano a Dylan Dog o Dylan Dog a Stano? Penso che Dylan mi abbia dato moltissimo. Io ho dato, spero, un contributo importante, non solo nelle copertine, ma anche per lo stile di disegno, che non era tipicamente bonelliano. Ma la testata avrebbe potuto camminare benissimo con le gambe di altri disegnatori. Tutti noi disegnatori siamo importanti. Ecco, piuttosto, quello che credo è di aver dato qualche stimolo in più ad altri disegnatori: avendo disegnato il primo numero in quel modo, ecco che altri hanno pensato: "Bene, allora anch'io posso fare in Bonelli qualcosa di diverso dal cliché del disegno di Tex". Perché allora il disegno bonelliano era quello Tex. Con quel tipo di disegno, ho spinto altri a un tipo di disegno più rivolto alle esigenze di un'espressività personale. Ma indubbiamente ho ricevuto più di quanto ho dato. |
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