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Riusciranno i nostri eroi a salvare la cara, vecchia Mamma Terra?
Life during wartime
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Vi sono alcune considerazioni da apporre a premessa di quanto dirò.
Lucius Shepard, brillante autore statunitense di fantascienza, vorrà perdonarmi se gli rubo il titolo di un suo fortunato romanzo per sottolineare il maggior demerito di questa “Saga della Guerra Terra-Stazioni”: l’assenza, appunto, della vita durante il tempo di guerra. O comunque una sua presenza largamente insufficiente a conferire il giusto spessore narrativo al racconto. Le brevi sequenze più intime - nelle quali Nathan e Legs, o May e Branko, come anche il commissario Galya o chiunque altro, mostrano sprazzi di riflessione sugli avvenimenti circostanti e sulle proprie reazioni ad essi, oppure ancora Andy Havilland vive il suo dramma - sono le parti più riuscite della storia nel suo complesso, a testimonianza della buona qualità della scrittura di Stefano Vietti .
La loro scarsa rilevanza ed incisività nel quadro complessivo è però frustrante per il lettore, ed evidenzia come questa qualità sia stata messa al servizio di una storia il cui sviluppo, come si diceva, è del tutto inadeguato alle potenzialità di partenza. Ugualmente, un tema forte come quello della morte della manifestante Sabine, in cui è coinvolto lo stesso Nathan (che nell’occasione brilla per incompetenza nel modo in cui si occupa della sicurezza del commissario Galya), appare risolto in modo troppo sbrigativo, nonostante poi spetti ad esso l’onore delle ultime tre tavole della saga: poco, fin quando sul logo della testata ci sarà scritto Nathan Never. Troppo assente anche uno sguardo alla vita più quotidiana, sulla Terra come su Melpomene e le altre Stazioni. Certo, Nathan Never è un fumetto d’avventura, ma nei suoi anni iniziali ha mostrato una certa attenzione anche verso gli aspetti appunto più quotidiani della vita nel futuro; tutte cose che sono andate annacquandosi fino a svanire nel corso del tempo.
Tuttavia, neppure in una testata principalmente di avventura, un arco narrativo che nelle intenzioni degli autori è destinato a mutare in profondità le caratteristiche della stessa (vedremo se sarà davvero così nella sostanza) può disinteressarsi in modo pressoché totale di aspetti tanto vitali.
La guerra si riduce così al balletto delle astronavi e alla recita delle missioni di intelligence. Le une e le altre, private dello spessore emotivo di uno sfondo vero, di emozioni e motivazioni umane, economiche e sociali, non trovano acconcio riscatto in quanto – e soprattutto in come – vi avviene. Per circa un albo e un terzo la storia è ben scritta, interessante, avvincente. L'assenza totale o quasi dalla scena di Nathan e degli altri passa del tutto inavvertita - e logicamente: si tratta dell'introduzione e del lavoro preparatorio allo svolgimento della narrazione. Vietti schiera magnificamente i suoi pezzi sulla scacchiera, assegnando i posti e i ruoli che dovranno essere svolti. Poi, dopo aver piazzato le sue pedine in modo splendido, non sa più che farci. Non sa come manovrarle. Gli agenti Alfa dovrebbero essere la crema dell'intelligence terrestre, una vera e propria superintelligence? E invece. Invece Nathan fa il "gorilla" a Nadia Galya, Legs e Link si trovano a fare da carne da cannone in un'azione che davvero non appare di superintelligence (e un'agente Alfa dell'esperienza e capacità di Legs Weaver ha il grado di tenente, poco più di un cadetto uscito dall'accademia?). Dopo di che spariscono o quasi. Luke Sanders e la sua gemella Ross di ordinanza, restano sulla Terra in un luogo che teoricamente dovrebbe avere grande importanza strategica (effettivamente ce l’ha), ma che si rivelerebbe narrativamente importante solo perché il caso vi porta il clone dello stesso Luke, e la cui importanza viene accantonata in fretta dalla totale incompetenza della Galya. L’utilità di Branko si rivela marginale, quella di Sigmund Baginov si intuisce debba essere stata importante, ma si perde ugualmente in un indistinto concentrarsi della narrazione su quel balletto di astronavi e pura recita di missioni di cui sopra.
Vietti ci mostra lungo tutto il dipanarsi della storia l’inettitudine di chi ricopre posizioni di comando. Lo vediamo in chi detiene quelle più “politiche” - dalla Galya al presidente Abraham, da Solomon Darver a Mister Alfa fino alla presidente Ada Morgan: tutti costoro sembrano chi più chi meno, dei pesci fuor d’acqua. Indecisi, contradditorii, riescono sempre a scegliere la soluzione più inefficiente. Lo vediamo tra i militari: molti degli ammiragli e capitani si dimostrano degli incapaci, riscattati magari dal coraggio personale, come Patrick Shea, o dall’improvviso rammentarsi da parte dell’ammiraglio Tolwyn dei possibili usi tattici di un’arma strategica quale la Difesa Missilistica Orbitale. In ogni caso penosamente inadeguati per il comando, troppo spesso buoni solo a mandare alla morte schiere di soldati e a distruggere nugoli di costosissimi apparecchi.
Tutto questo, come anche la follia della Morgan, ha naturalmente una sua giustificazione narrativa: serve a Stefano Vietti per far collimare tutti gli avvenimenti in modo che precipitino nella conclusione, altamente drammatica e spettacolare, della vicenda militare; processo che resta il miglior risultato raggiunto dall’autore. E’ tuttavia logorante osservare il modo troppo artificioso e scoperto con cui di incapacità in incapacità, di casualità in casualità, si giunge al gesto estremo della leader delle Stazioni. Gesto corredato - insieme e prima - dalla mattanza degli agenti Alfa (e di altri, come Nadia Galya), o dalla morte eclatante di Hadija, avvenimenti che non hanno senso alcuno al di fuori della spettacolarizzazione dell’uscita di scena di questi personaggi conseguente alla decisione di rinnovare l’impianto della testata.
Questa artificiosità è messa ulteriormente in luce dallo scheletro della trama militare: la conduzione delle operazioni belliche si apre in modo assurdo: le serre spaziali sono state costruite per conseguire un vantaggio economico e geopolitico fondamentale nei confronti della Terra, eppure restano praticamente indifese.
Ebbene, a parte l’inverosimiglianza di questo vantaggio, perché invece di distruggerle e basta, privando Melpomene di quasi tutta la propria forza negoziale, il governo terrestre vuole impadronirsene con la conseguenza di doversi poi impegnare nella loro difesa (senza che le Stazioni, per altro, facciano alcun tentativo di reimpadronirsi della loro fondamentale arma di ricatto economico)? Quanto è assurdo il fatto che Ada Morgan dica che non si aspettava l'attacco della flotta terrestre? Ma allora perché le serre sono state costruite se poi si ritiene che la Terra non avrebbe dato loro la minima importanza strategica? E’ da tutto questo che si ricava il senso di forzatura che scopre il gioco a incastro di Vietti, depotenziandolo.
Il modo in cui Vietti tratta gli aspetti bellici e strategici, si potrebbe obiettare, può tuttavia apparire realistico (in fondo l'idiozia politica e militare è la merce più comune del nostro mondo), ma ne resta troppo evidente la natura di puro espediente narrativo La conclusione della vicenda politica, con la concessione dell’indipendenza alle Stazioni (quale sia l’effettiva portata e la reale estensione del fatto restano aspetti da verificare), si presta a una doppia lettura, più complementare e contemporaneamente vera di quanto possa apparire in contrasto. Se da un lato vi si può leggere una scelta “buonista” e retorica dell’autore, è pur vero che nel corso della storia è stato ripetuto fino alla nausea che tanto Melpomene quanto la Terra non disponevano di risorse bastevoli ad un lungo conflitto, e ciò sarà anche più vero, per la Terra, dopo il gesto folle della Morgan; a ciò si aggiungano le difficoltà di gestire un’eventuale occupazione delle lontane Stazioni. Il probabile “buonismo” viettiano trova dunque una verosimile e logica giustificazione narrativa. In sostanza, una storia che pur scritta bene risulta alla fine mal scritta. Anche una storia decisamente troppo breve, come si diceva, perché gli sviluppi più squisitamente umani restano troppo sacrificati dal laborioso e compresso dispiegarsi degli eventi.
Sempre buono il lavoro di Roberto De Angelis, che fornisce alla storia una vigorosa interpretazione delle emozioni dei personaggi, una lettura intensa di quello che il lettore intuisce – sa - che essi provano, e che nella scrittura di Vietti è così spesso risultato ellittico. Visivamente epiche e ricche di pathos anche le tavole in cui è di scena la stazione di Urania.
Per ulteriori approfondimenti vedere anche la scheda
della storia, l'l'articolo sui personaggi
e l'articolo sulla guerra che non c'è.
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