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Perchè non leggerò più Brendon di Vincenzo Oliva Certo, la prima reazione ad una simile affermazione è di fastidio, se non peggio: perché mai dovrebbe importare a qualcuno il motivo (o i motivi) di tale decisione? In realtà non è altro, ovviamente, che un titolo per introdurre un'analisi del penultimo nato in casa SBE e sulle cause - sin qui - che ne hanno fatto un vero e proprio "caso"; con taluni che lo hanno esaltato fin troppo ed altri che lo hanno affossato anche acriticamente (almeno sulla rete). Cercherò di esaminare il personaggio ed il suo mondo con obiettività e con senso critico pur essendo chiaro che non sono tra coloro che lo hanno apprezzato. Tre albi possono sembrare pochi per poter dare un giudizio definitivo (o quasi) su una serie nata per essere, potenzialmente, eterna; in realtà la scelta del creatore di Brendon, Claudio Chiaverotti , di chiarire sin da subito (dal n.1 addirittura) molti aspetti della serie, del personaggio, dell'universo narrativo in cui lo ha calato, giustifica questo tentativo. Le posizioni degli "antibrendoniani" e dei "filobrendoniani" sembrano essersi coagulate in due distinti ordini di pensiero: i primi si sentono presi in giro dalle numerosissime inesattezze, inverosimiglianze, autentici errori scientifici contenuti negli albi sinora apparsi (a titolo di esempio si consulti l' elenco apposito da noi compilato per il n.1), e dalle palesi pecche narrative sin qui mostrate da Chiaverotti (valga come esempio la didascalia che chiude il n.3; didascalia che "uccide" letteralmente il pathos e la tensione sentimentale che l'autore era riuscito sin lì a creare e che riscattavano in parte la banalità, la fiacchezza e le assurdità della trama); i secondi sono stati conquistati dalla "atmosfera" del fumetto Brendon; quel quid impalpabile che fa, anche legittimamente, dimenticare ogni difetto. Vorrei, tuttavia, tentare di dimostrare che - se è legittimo apprezzare un fumetto per la sua "atmosfera" - non è altrettanto legittimo affermare, senza giustificazione altra se non la stessa "atmosfera", che quel fumetto ha un valore oggettivo. Non mi dilungherò sulle motivazioni dei detrattori di Brendon, abbondantemente esposte nelle recensioni dei numeri 1 e 3 e passerò subito ad esaminare la posizione dei suoi fans. "Atmosfera": questo è il deus ex machina invocato con maggior frequenza da quanti hanno lodato il personaggio di Chiaverotti: il ricorso, anzi l'appello che è stato fatto a questo aspetto degli albi si avvicina molto ad un atto di fede, e come tale è inconfutabile: non è possibile convincere con i soli strumenti della ragione chi assuma una posizione a priori (come se fosse, appunto, un articolo di fede). Inconfutabile ma anche limitato: come, infatti, è lecito attendersi da una posizione assunta a priori, non vengono portate prove a sostegno della tesi: perché Brendon avrebbe "atmosfera" (e perché tale "atmosfera" dovrebbe necessariamente far passare in secondo piano i molti elementi criticabili)? A questo interrogativo non viene fornita risposta, perché risposta non può esservi: decadrebbe l'aspetto determinante di postulato che tale "atmosfera" ha assunto. Certo a sostegno del personaggio e di questa tesi vengono portate altre motivazioni integrative, ad esempio si è detto che i disegni sono molto belli ed evocativi; tuttavia questo è quasi un dato di fatto in ambito Bonelli dove sono riuniti moltissimi dei migliori artisti italiani: che un albo Bonelli sia ben disegnato non può stupire né costituire un titolo di merito. Si è sottolineata la bella ideazione grafica del personaggio, trascurando come questo sembri fin troppo un'evoluzione in chiave futuristico-postapocalittica di Dylan Dog (con una strizzata d'occhio all'evoluzione del gusto dagli anni '80 a questi nostri anni '90). Si è detto che Brendon sa far leva sui sentimenti e sa far presa sull'immaginazione dei giovani in particolar modo, e questo è vero. Tuttavia, si è trascurato di far notare come - nell'ansia di ripetere i risultati di Dylan Dog (sulla falsariga del quale Brendon è chiaramente ispirato) - Chiaverotti abbia ricalcato l'esteriorità della creatura di Tiziano Sclavi senza sfiorare neppure la densa materia fatta di incubi, nevrosi, paure profonde evocata da Sclavi. Brendon fa appello ad una adolescenza giocosa, immediata ed immatura i cui traumi sono passeggeri e non fanno male davvero (si veda sempre la "famigerata" didascalia finale del n.3: niente paura i personaggi da voi amati non sono morti: Margareth e Boris torneranno presto trionfalmente su questi schermi!); Dylan ai terrori profondi di questa età così incerta, alle sue pulsioni meno confessabili, quelle che l'adolescente spesso finisce per portarsi dietro, nel profondo della personalità, nell'età adulta. I sentimenti su cui Brendon fa leva sono, dunque, i sentimenti più elementari e questo spiega, in buona parte, perché sia facile cadere nell'esaltazione del personaggio se ci si fa distrarre da questo ammiccamento ai nostri bisogni più immediati (il bel tenebroso che ha successo con le donne è - in questo senso - un personaggio che funziona). A questo mi sembra ridursi l'acclamata "atmosfera" di Brendon: alla costruzione, indubbiamente sapiente ma molto superficiale, di un personaggio pensato per solleticare la fantasia adolescenziale in modo sostanzialmente innocuo e poco impegnativo; operazione che è senza dubbio legittima, purché sia anche dichiarata come tale!
E' evidente, peraltro, che gli entusiasti del nostro cavaliere di ventura continueranno (come è forse giusto) ad amarlo per quello che è, per la sua "atmosfera" :-).
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