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Il giorno in cui conobbi Ken Parker
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Nel marzo 1979, all'età di dodici anni e mezzo, stavo uscendo dalla dipendenza da quel particolare tipo di droga, così pericolosa per un ragazzino (guardatevi "Unbreakable"...), chiamata fumetti.
Può anche darsi che il primo fumetto che io abbia mai letto in vita mia sia stata una storia di Paperino, ma quando ripenso a me stesso bambino ricordo piuttosto pomeriggi interi trascorsi a leggere e rileggere gli albi di Zagor che compravo, già mezzi sbrindellati, talvolta con qualche pagina mancante, nelle edicole dell'usato. Le invenzioni di Hellingen, i viaggi per mare alla ricerca del pisum alatum o del tesoro di capitan Serpente, ma anche le avventure più "impegnate" (come la bellissima "Libertà o morte" ZG 89/92) e quelle inaspettatamente romantiche ("La marcia della disperazione" ZG 112/116, con quel mitico bacio a Frida)... Quante volte ho letto queste storie? Dopo pochi anni, folgorato da "Tra due bandiere" TX 113/115 e "Il figlio di Mefisto" TX 125/128, passai inevitabilmente a leggere anche tutti i Tex di mio padre. Quindi cominciai ad allargare i miei orizzonti a tutta la letteratura (popolare) disegnata: Pinky, capitan Erik, Larry Yuma e le traduzioni delle storie di Asterix e di Lucky Luke che trovavo sul "Giornalino", l'Alan Ford di Magnus e Bunker, l'Uomo ragno e tutti gli altri supereroi pubblicati dalla Corno... Ben presto diventai così bulimico da cominciare a leggere tutto quello che trovavo in edicola, anche dei fumetti palesemente scadenti. Stavo raschiando il fondo del barile, stavo diventando come quei drogati che si iniettano qualunque cosa possa passare per l'ago di una siringa. L'unico fumetto valido che avessi letto fra i più recenti era stato Mister No; valido per il suo essere il primo vero antieroe positivo, per l'ambientazione relativamente moderna (l'Amazzonia degli anni '50) che consentiva a Bonelli di trattare tematiche più vicine al mondo dei lettori e a volte, addirittura, di precorrere i tempi (all'epoca, i movimenti ambientalisti non avevano ancora un grande seguito). Aveva senso leggere lo Zagor di "Fantasmi!" ZG 152/153, un Alan Ford senza più Magnus, un Peter Parker senza Gwen o, peggio ancora, rischiare di ritrovarmi a collezionare Akim!? Pian piano, senza quasi accorgermene, stavo iniziando ad abbandonare i fumetti per cedere alle fascinazioni dalla narrativa di fantascienza (ah, i cari vecchi Urania...). Figuriamoci quindi quanto potesse interessarmi Ken Parker, una serie che, a giudicare dalle anteprime sulla quarta di copertina delle altre serie Bonelli, altro non sembrava essere che l'ennesimo western a fumetti. Non mi curai neppure di comprare il primo numero. Poi, un giorno del marzo 1979, nel primo pomeriggio, mentre aspettavo l'autobus che, da scuola, mi riportasse a casa... più precisamente, mentre mi ciondolavo, cedendo al vizio che cercavo di perdere, attorno all'edicola di piazza Manin, vicino alla porta che si apre su piazza dei miracoli (sì, i grandi eventi fanno restare impressi nella memoria tutti i particolari...), fui incuriosito dalla copertina di "Un uomo inutile", diciannovesimo numero della prima serie di Ken Parker. Lo comprai. Il mio primo numero di Ken Parker. Una nuova droga, di qualità ben superiore alle altre. Cosa aveva di speciale quel fumetto? Come poteva la storia di un soldato arrivato all'età della pensione interessare un ragazzetto di dodici anni e mezzo che sicuramente aveva per la testa tutt'altri pensieri? Beh, a esser sincero, forse mi aveva colpito la sensualità degli sguardi che Natalie lancia a Ken; una sensualità mai vista in un fumetto popolare, neppure nei vecchi Diabolik e Kriminal (sì, nel frattempo avevo recuperato anche quelli...). Probabilmente, però, mi avevano sedotto soprattutto il tratto moderno di Milazzo (al quale si doveva, peraltro, la stessa carica erotica di Natalie) e, magari senza che riuscissi a capire bene il perché, la peculiarità del modo di sceneggiare la storia; ad esempio - lo dico adesso, col senno di poi - le tante vignette senza balloons in cui Berardi e Milazzo riuscivano però a far capire benissimo quel che pensavano i personaggi; ma anche, all'opposto, il fatto che dei dialoghi apparentemente banali, così realistici nel loro mimare dei normali scambi quotidiani, delineassero a poco a poco le personalità e le visioni del mondo non solo dei protagonisti, ma persino di comprimari che stavano sulla scena poche pagine appena. E senz'altro mi aveva colpito l'understatement di Ken, il suo entrare in scena in sordina (compare dopo ventitré pagine, ed è soltanto alla ventiquattresima che ne vediamo bene il volto) per poi continuare a mantenere un "basso profilo"; non per snobismo, ma perché, curioso della vita, ama anche ascoltare gli altri, conoscere le loro storie, e sa mettersi al loro fianco come un compagno di strada qualunque, senza pretendere la macchina da presa sempre su di sé. E perché mi sembrava un Ken saggio, ma non saccente; un eroe, ma non supereroe alla Tex Willer (non fa niente che non riesca a fare anche il buon vecchio Victor McCabe). Recuperai velocemente i precedenti diciotto numeri della serie e da allora non mancai mai all'appuntamento mensile con Ken (periodicità delle uscite permettendo...). Poco tempo dopo - quando, pensando stupidamente che i fumetti fossero roba da bambini, smisi del tutto di leggerli per passare, dopo il periodo Urania, alla vera e propria letteratura -, Ken fu l'unico fumetto che continuai ad acquistare. Per tutta la mia adolescenza, da quel marzo 1979 alla primavera del 1984, quando furono pubblicati gli ultimi due albi della prima storica serie. Eh sì, la primavera del 1984... Un'altra data storica. Ricordo infatti, anche in questo caso, l'edicola in cui comprai, dopo averli attesi per ben otto mesi, "Sciopero" KP 58 e "I ragazzi di Donovan" KP 59. Era un'edicola in via Fillungo, a Lucca, a due passi dal Liceo Artistico... Ma okay, di questo parlerò, forse, un'altra volta ;-)
Ken Parker Collection 10 di Giancarlo Berardi & Ivo Milazzo |
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