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Sog. e
Sce. Gianfranco Manfredi
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Dopo 11 numeri è piuttosto evidente che l'approccio di Manfredi alla serie è tutt'altra cosa rispetto a quello di Nizzi.
Lo stesso Manfredi, smentendo una sua fuga da Nick dopo l'avvio di Magico Vento, dichiara (Dime Press n.16):
"Scrivere un plot giallo mi viene naturale e lo trovo rilassante come uscire a fare una passeggiata". Oltre che da una innata prolificità dell'autore
(davvero instancabile), forse, però, questa facilità gli viene dal taglio che quasi sempre ha dato ai suoi Nick Raider: il filone di base della serie, quel "police procedural" scelto e spesso utilizzato da Nizzi sulla scia dell'87° distretto di McBain, si fa da parte per diventare altro. Ora thriller psicologico ("Suicidio su commissione", "Il killer della quinta strada"), ora giallo d'azione ( "Las Vegas", "Uragano"), ora persino feuilleton dai risvolti kinghiani (l'inconsueto "Ossessione"). Lungi da noi l'affermare che le sue storie siano plot striminziti scritti in 5 minuti, tuttavia una costruzione della detection meno intricata rispetto ai più "rigorosi" Nizzi e D'Antonio forse gli sveltisce il lavoro.
"Dopo 11 numeri è piuttosto evidente che l'approccio di Manfredi alla serie è tutt'altra cosa rispetto a quello di Nizzi"
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Stavolta, Manfredi si appoggia a uno schema ormai classico (ma inedito per la serie), il rendez-vous di vecchi amici dopo anni di lontananza (da "Il grande freddo" a "Gli amici di Peter", passando per "Compagni di scuola" e altri ancora). Non solo la struttura, ma anche i topoi di quei film ritornano in quest'episodio: i diversi caratteri dei componenti, la conflittualità fra due elementi, le relazioni amorose nel gruppo, la giovane fidanzata di uno dei membri che partecipa da "estranea" al rendez-vous (come Meg Tilly nel "Grande freddo"). Il lavoro sui personaggi è decisamente ben fatto, ed è possibile rilevare come le singole psicologie, ritagliate nell'andirivieni temporale tra presente del racconto e flashback, non restino un esercizio di sceneggiatura fine a se stesso: il cinico e immaturo Casper, quanto il debole e frustrato Mike, non sono solo figure ben delineate, ma motori della vicenda. Uno psico-thriller come questo, ha bisogno, per procedere, di svolte brusche dettate da azioni impulsive generate dai personaggi. E così è, infatti: le scene d'ira del represso Mike, alla base di tutto il caso, sono davvero credibili, perché tipiche di chi patisce problemi psicosociali analoghi. Altrettanto, le bizze di Casper con le donne (Tracy prima e Sylvia poi) mettono in moto gli avvenimenti che portano al finale. Finale ben strano, questo di "Flash back", così inconsueto per la serie: a metà fra lieti fine alla Topolino e grottesco alla Dylan Dog.
Purtroppo c'è da segnalare un grave errore nella continuity della serie: in uno dei flashback i protagonisti partecipano a una festa con tema il "Rocky Horror Picture Show". Il film è del 1975, quindi gli avvenimenti narrati non si possono svolgere prima di quell'anno. Ma l' albo n.33, "Saigon", si svolgeva nel 1971: e lì Nick aveva un'età decisamente più avanzata di quella del giovane Nick di questo "Flash back" (se non altro per il taglio di capelli) ed era già poliziotto, nel Criminal Investigation Department (polizia militare).
Da qui l'evidente incongruità temporale: e dire che di continuity, nella serie, ce n'è già così poca...
  

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Luigi Siniscalchi
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Casualmente mi è capitato sotto il naso il primo lavoro di Siniscalchi in Bonelli: marzo 1993, il Dylan Dog n.78 "I killer venuti dal buio". E' incredibile come il suo segno si sia modificato in questo arco di tempo: della sua appartenenza alla "scuola salernitana" (Brindisi, De Angelis, Coppola) non resta quasi più traccia. Le linee morbide e pulite di quell'albo sono diventate infinitamente più sporche, più raffazzonate.
Il Siniscalchi del '97 sta al Siniscalchi del '93 come un bozzetto sta una tavola finita.
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L'ultima vignetta dell'albo. Disegno di Siniscalchi
(c) 1997 SBE
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Ma, perchè c'è un ma, se il segno di oggi è sconfitto su tutta la linea da un punto di vista estetico, è innegabile che Siniscalchi si rifà alla grande sotto il profilo dell'espressività e della capacità di raccontare. Questo segno così "brutto" racconta magnificamente le scene, coglie le espressioni più calzanti e le fissa sulla pagina con una serie di istantanee di indubbia efficacia. Guardate l'ultimissima vignetta (eccola qui a lato), la luce folle che scintilla negli occhi di Mike Dawson: perfetta. E realizzata con quattro-righe-quattro. Se solo Siniscalchi riuscisse a recuperare un po' della pulizia di quel suo esordio, avremmo davvero degli ottimi disegni...
  
Albo decisamente insolito, di piacevole lettura. Per le prime 80 pagg. c'è quasi il "rischio" di un numero senza cadaveri. C'è un Nick che non fa quasi nulla (a livello investigativo) e c'è pure un finale roboante e consolatorio (a suo modo: all'odioso Casper succede quel che tutti i lettori desideravano succedesse ;-). Un numero così ogni tanto non può che far bene in un momento in cui gli sceneggiatori, dopo 110 nn., iniziano a grattare il fondo del barile, anche se il taglio dato da Manfredi alla vicenda è da usare con molta parsimonia in una serie dalle caratteristiche ben precise.
Ah, neanche a dirlo, c'è la solita meraviglia di Mastantuono a pag.1: lo stile dell'illustrazione può piacere o meno (a noi esalta), ma almeno nell'impostazione delle cover (azzardiamo) Corrado è oggi il numero 1 in Bonelli.
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