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Nota: lo speciale "Abissi di Dolore" di Dylan Dog e i relativi grandi autori sudamericani NON esistono: recensione e schede, uscite il 1 aprile, costituiscono il "Pesce 2001" di uBC.
Orrore per tutte le stagioni Perché Dylan è ossessionato dagli incubi? Il suo psicanalista ce lo racconta, e noi passiamo un anno in compagnia di ossessioni e personaggi, per scoprire infine che tutto era già stato scritto nella vita di Dylan e in quella di chi gli stava vicino...
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Primavera: ecco sulle collassate edicole d'Italia arrivare (potrebbe rimanere ignorato?) l'eccellente primo numero di una nuova collana dedicata all'Indagatore dell'incubo. Si tratta di una succosa novità tutta sudamericana, a riprova di come il vergine terreno d'oltreoceano possa essere fonte di nuova linfa per una produzione nazionale sempre più stereotipata e legata al tranquillizzante stilema del già visto. Come già era accaduto con l'ultimo Dylan Dog Gigante, albo in cui Robin Wood aveva rielaborato i temi canonici di Dylan per partorire un'interpretazione unica del personaggio, anche Simon Anchoa non è da meno, anzi, ci regala una storia che si situa ben più in alto di quanto sia stato capace di fare Wood.
A cominciare dal soggetto (che solo per l'idea di fondo della storia onirica vissuta dal punto di vista dello psicanalista invece che del sognatore sarebbe degno di menzione), limato e levigato come un meccanismo ad orologeria, in cui niente succede nel momento sbagliato, ma tutto è perfettamente funzionale alla narrazione, e tutto acquisisce dimensione simbolica quando si comprende, nel finale e non un attimo prima, la chiave di lettura di tutto ciò che nella storia è avvenuto. Una dimensione che solo Tiziano Sclavi aveva saputo raggiungere, sebbene soltanto in storie poco comprensibili quali il n.43, "Storia di Nessuno". Ebbene, Anchoa in questo supera il maestro, donando a Dylan Dog una chiave di lettura diversa, simbolica, antropologica (e non più solo psicanalitica), mille miglia lontana dagli standard a cui la serie ci ha abituato. Ed è uno choc questa lettura, in cui tutto si rincorre, dall'apparizione dei personaggi onirici che raccontano la propria storia, alle due storie d'amore di Dylan che si mischiano tra loro senza apparente soluzione di continuità, per poi svelare solo alla fine (ma il lettore lo intuisce già molto prima, e la lettura ne acquista in gusto) che Rachel e Moneta sono le due facce della stessa medaglia. Estate:
quella dei sensi, dei personaggi. Anchoa, nei panni di un Dylan mai così serio e al contempo
indeciso nei riguardi della propria vita (basta leggere lo scambio di battute con la Morte a pag.65),
dimostra di aver davvero incontrato tutti i personaggi del Sogno e di averne colto l'essenza profonda.
Come non rivedere un volto conosciuto dietro la maschera indossata da Mnemosine? Anchoa ci cala in un
sogno che è catarsi, ricerca di se stessi attraverso i ricordi comuni. Ricordi che sono, e Anchoa ce lo
dimostra con le infinite suggestioni che ci regala, parte di un substrato globale, di una sorta di
"memoria collettiva" della nostra umanità, quasi un fil rouge che lega gli uomini di oggi, a qualunque
latitudine essi si trovino, con quelli di ieri e quelli di domani (rappresentati nell'albo da Guillaume
e William, che non a caso hanno lo stesso nome espresso in due lingue diverse). Come non rivedere in
questo alcuni degli episodi onirici di "Las puertitas del demonio" (specialmente il conflitto-dualismo
tra Azrael e Lucipher)?
In definitiva, Anchoa riesce dove molti prima di lui avevano fallito: resuscita Dylan dalla condizione
di "zombi" in cui da tempo si trova (forse da quando per l'ultima volta si è incontrato con Xabaras?),
per dargli una nuova identità: riprende il personaggio tormentato dello Sclavi degli anni d'oro, ma gli
dona una nuova linfa solare, onirica, personale, facendolo diventare più "persona" e meno "personaggio".
Emblematico che in questa trasformazione caratteriale Dylan diventi anche meno sicuro nei suoi rapporti
con l'altro sesso, trovandosi forse per la prima volta a dover scegliere tra due donne diverse (ma
uguali...) e alla fine ritrovare se stesso.
Autunno: quello della decadenza, del disegno che attende l'inverno, e vuole morire. Questa prima prova bonelliana di Alberto De La Trucha non ci pare infatti all'altezza della sua fama. Il tratto disomogeneo e a tratti raffazzonato dimostra come questo lavoro sia stato per lui occasione di sperimentazione, ma soprattutto (e ci duole farlo notare in maniera così diretta) un modo per raggranellare denaro ai danni di Bonelli (che, risaputamente, è di manica generosa con i disegnatori di fama), ma senza considerare Dylan Dog un impegno all'altezza della propria celebrità. Ed è un peccato, perché in passato De La Trucha ha dimostrato a più riprese di essere un grande del fumetto, un eccelso narratore per immagini. Forse il giudizio tanto basso nei confronti del suo lavoro potrebbe sembrare ingrato: a nostro parere, è un giudizio corretto. De La Trucha, in sue opere passate, si è trovato ampiamente a proprio agio con le atmosfere horror, tanto più se in coppia con Anchoa, con il quale fin dai tempi de "Las puertitas del demonio" (opera graficamente non molto riuscita, perché ancora legata a vecchi canoni estetici) ha dimostrato di essere in perfetta sintonia. Ma se De La Trucha è stato un capostipite di un nuovo modo di illustrare brivido e sentimento con "El Mago" (impossibile dimenticare la scena del cavallo impiccato nel quarto episodio della serie), evidentemente ha ritenuto che il fumetto "popolare" (per quanto possa essere popolare questa serie speciale, concepita proprio per dare lustro ai grandi autori internazionali) non fosse all'altezza del suo nome, disegnando tutto con la mano sinistra. Evidenti e vistosi gli errori di anatomia (guardate per esempio il volto di Groucho a pag.21 e confrontatelo con quello di Mnemosine a pag.88: a parte i baffi, sembrano la stessa persona, che non somiglia né a Groucho né alla Mnemosine vista nelle pagine precedenti), grossolani gli sfondi e le prospettive (incredibile il camion alto quanto Dylan a pag.133!). Nell'introduzione, Tiziano Sclavi ribadisce più volte (quasi per giustificarsi?) che De La Trucha ha effettuato decine e decine di studi preparatori andandosi a studiare molti albi di Dylan, per creare una propria interpretazione del personaggio. In questo riesce, e Dylan è sicuramente riconoscibile e al contempo personale e originale; solo che questo lavoro di "studio" finisce per influire pesantemente sulle soluzioni grafiche: confrontate la vignetta qui sotto, opera di Roi (tratta dal n.33, "Jekyll!"), con quella a fianco, che compare a pag.180 di questo albo! Notate niente di strano?
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Inverno: sarà un lungo inverno, quello che dovremmo aspettare prima di poter leggere il nuovo numero di questa collana. Ma l'attesa non sarà certo vana, se la storia sarà paragonabile a questa: peccato per i disegni davvero pessimi, che rovinano irrimediabilmente una storia altrimenti perfetta. Una nota di merito invece per la veste editoriale: sia la carta patinata che la copertina semirigida sono un segno dell'impegno profuso nel voler fornire uno speciale davvero "d'autore". Anche le rubriche (pur brevi) sono interessanti e ben concepite. Ultima nota positiva infine per la stupenda copertina di Angelo Stano, davvero inquietante e claustrofobica; positiva inoltre la scelta di non far disegnare la copertina direttamente a De La Trucha, che probabilmente avrebbe rovinato anche l'aspetto grafico.
Vedere anche la Scheda della storia.
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